Critica Sociale - anno XL - n. 6 - 16 marzo 1948

CRITICA SOCIALE 133 fenomeno inverso, per cui ia mancanza di esercizio porta all'atrofia dell'organo specifici\. E purtroppò vi sono opera.i e operaie co~tretti tutto il tempo del– l'anno, e per molti anni, a fare lo stesso lavoro sem– plice, meccanico, monotono e tale tuttavia éhe · non consente nè distrazioni nè ·quell'autentico riposo, nè quella autentica ginnastica dell'intelletto che è data dalla varietà del lavoro. Eppure anche' questo lavoro, apparentemente tutto meccanico, non esclu– de una attività intellettuale (per quanto più penosa) tendente al continuo perfezionamento del prodotto– nello spazio e nel tempo. Anche qui si vede il la– voro delle mani, ma l'intelletto ché non si vede, re– calcitra a rimanere assente,,perchè la sua assenza semplicemente assurda. Una comparazione fra B gra– do d'intelligenza delle due categorie (come fra due individui della stessa categoria) sarebbe teoricamen– te possibile farla; ma cOIDe farla praticamente? Es– sa impli·ca una uguale preparazione al collaudo. Co– me· si può sapere se un operaio sia intellettualmentr superiore, inferiore od uguale ad un non operaio se,- part!!ndo ass~eme, il primo ha dovuto, .ostaco., lato da forze estranee a quelle intellettuali, arrestar• si alla cultura elementare (primo collaudo), mentn il secondo, non intralciato dagli stessi ostacoli, hr potuto, sia pure stentatamente, penosamernte e senza particolari predisposizioni intrinseche, arrivare 'ma– gari buon ultimo al tra_guard_o del diploma, dellr laurea? · C'è bensì qualche volta là mosca bianca, l'outsider dell'autodidattis mo. M a questo argomento ci porte· rebbe troppo !onta.no col discorso; ci basti dire et.e per noi che s criviamo queste note, l'autodidattisrn,: non è che dell'analfabetismo esasperato che 'lllalclt volta, invèce che strapio.mbare rassegn;to su se stes– so (come avviene quasi sempre), punta i pieùi in-– trepido e caparbio, brucia le tappe .. swta in alti,. Ma. questa è l'ecc;.ezione, per non dire la mostruosità· e noi dobbiamo studiare sulle categorie e sulla re'. gola. · E la regola è che la forza della in tellettilalità si misura non dal suo punto d'applicazione (emargi– nare una pratica, erudire una scuola di bambini, procedere al montaggio di una locomotiva, svuota– re un ascesso),. ma dalla intensità e vigo-ria con cui quella forza viene applicata. E solo questo grado di intensità collauda e gradua l'intellettualità, senza tuttavia stabilire una netta e definitiva demarcazio– ne. Ma vi è un'altra cosa che seleziona l'intellettualità e la autentica; ed è il bisogno della più ampia e uniYersale libertà nella attività dell'intelletto. Liber– tà di studio, di critica, di riesame del pacifico e del– l'accettato, di dubbio, di• nonconformismo. E soprat– tutto un alto grado di dignità umana dòvrebbe di– stinguere l'intellettualità, alta, bassa o,.media che sia, si tr_atti di operai o di non operai. Ma chi sono gli· intellettuali che sentono questo bisogno, questa dignità umana? Sono forse la turl;la di sofi, sofisti, artisti, filosofi a11aChilone Chilonide, mimi e bàllerini' del pensiero, vivacchianti in tutti i tempi sotto le mense dei tiranni., serqpre pronti a legittimare il successo· oggi e pronti domani a pren– dere atto ed imbrancarsi in una « realtà effettuale » contraria al successo di i_eri? E' forse quella col– tura ancillare, avente tutti gli istinti del camaleon- · te o della seppia e capace di ovunque « ambientar– si» e di tutto intorbidire? Sono forse i funamboli che coll'ombrello della loro intelligenza, anzi della loro erudizione, ballano sulla corda tirata in direzione op– posta dalla tirannide e dalla libertà di pensiero? E' forse quella categòria che nella .patria di Galileo r di Giordano Bruno è sempre pront!l fare da ciurma a quel qualsiasi scafo o schifo che in quel momento ha o pare che abbia il vento in poppa, salvo a cam– biare frettolosaru.ente, grottescamente bragozzo o rot– ta col camJ;iiar dei venti? Durante i venticinque an– ni di fascismo lo abb~amo visto questo intellettua– lismo che si autodefiniva aristocrazia del pensierr– te non ne era che 13 ruffalda oclocrazia morale) 111oslrare le sue vergogne nelle più invereconde ca– priole del parologismo. Per questa gente erano « bordelli intellettuali » la « Critica Sociale » di Tu– rati e Treves, «L'Unità» di Salvemini, «Volontà» di Calamandrei, « Rivoluzione Liberale » di Gobet- , ibliotecaGino Bianco ti, «La Voce» di Prezzolini, e così «Humanitas» «Con– scientia », « Critica Politica », ecc. E sapevano inve– ce che era proprio in quei « bordelli .,,-che era te– nuta accesa, con una purezza, una intrepidezza e una povertà che avrebbe dovuto farli vergognare, la fiamma di una ben diversa intellettualità. Sapeva– no, sia pure vagamente, di essere loro le povere me– retrici del pensiero, incapaci di dire di no a nes– sun magnaccia della politica, che con la minaccia, fa violenza, il ricatto e, soprattutto, il disprezzo, aves– se voluto attrarle nella sua spelonca, per adibirle a strani misteri di « mistica fascista» e per la forma– zione razionale dell'uomo mussoliniano. Secondo noi, hanno quindi ragione e farrno bene gli staliniani ad adibire i cosidetti intellettuali che entrano nel loro partito, o che comunque lo fian– cheggiano, agli umili servizi della « educaz-ione mar– xista-ìeninista dei compagni» e della « classe ope– raia»: ad impedir loro di imboscarsi, di isolarsi, di cousiderare la tessera come un parafulmine, come una polizza d'assicurazione contro i danni... della p~ossima rivoluzione staliniana; la paura della qua– le toglie .Iorp i sonni e gli ultfmi residui di serietà e di dignità intellettuale. GIOVANNI CORRADINI Capitalismo ~ Socialismò secondo Arturo Labriola Sebbene con ritardo, riteniamo opportuno esaminare que– st'opera del Labriola (1), poichè essa attiene ad argomento di viva attualità. Nell'impossibilità di discutere si11JZolarmente tutti i problemi su cui l'autore si è soffermato, ci limite– ~emo ad un'analisi che investa soprattutto le conclusioni .più rilevanti cui la critica del Labriola sembra pervenire. Intanto, occorre rilevare che il volume in oggetto presen– ta- un difetto. che diremo formale: il titolo 'di esso, infatti, « al di là del capitalismo e del socialismo», lascerebbe pre– sumere una critica dei due sistemi, la quale, eliminando gli inconvenienti e gli errori ad entrambi, inerenti, ne tenti il concreto superamento con· la proposta di un terzo termine. Invece, nulla di tutto ciò: la critica c'è, ma è ,diretta quasi esclusivamente al sistema sodalistico; e, per quel poco che essa si rivolge a quello capitalistico, non smette di essere critica del socialismo, in quanto le pecche del primo sono dal Labriola rilevate soltanto in seguito alla identificazione di esso col secondo sistema. Del rimedio poi, cioè del terzo astro che dovrebbe sorgere dalla eclissi dei due sistemi an– tagonistici analizzati, nel libro non si· fa parola; si notano qua e là dei tentativi di indicare la via del superamento, m:, l'autore si guarda bene dal dare loro sviluppo. A questo fondamentale difetto che, come abbiamo detto, è piuttosto formale, un altro se ne aggiunge, di natura pro– priamente metodologica, e così grave da viziare ed invali– dare tutto il contenuto del libro: il Labriola, infatti, sente il bisogno di avvertire continuamente che la sua critica pre– scinde da ogni considerazione che non sia di pura scienza economica, col che ·implicitamente riconosce èhe, ove esca dal chiuso della scienza, ht sua critica si sfalda e perde ogni valore sostanziale. Ma c'è di più: ammesso pure che si possa prestar fede ad un'economia pura, per qual ragione considerare il fenomeno economico dall'unico angolo visua– le di questa presunta scienza, se le sue radici si <lira.mano in tutti gli aspetti della vita normale ed umana? Ma se il libro del Labriola non è accettabile nel suo a– spetto cnteriologico, ancor meno ci sembra lo sia nella par– te sostanziale. L'Autore infatti insiste sul motivo per il qua– le il socialismo non sarebbe un necessario derivato della so– cietà capitalistica, ma un fenomeno di tutti i tempi, collega– to a .tutte le torme di società di cui la storia conosca i mo– delli, per cui esso, i'n sostanza, in nulla si differenzierebbe dalle numerose rivolte che intessono la trama della vita so– ciale di tutti i tempi, e si richiamerebbe agli stessi principi da cui quelle ribellioni eran guidate--: protesta dei miserabili, censura dell'ordine sociale, aspirazione ad un riassetto della vita consorziale capace di annullare ogni squilibrio tra le torze antagonistiche e di organizzare politicamente gli e– lementi diseredati per la realizzazione di dette finàlità. La vera essenza del socialismo quindi 1 per il Labriola, è una protesta contro la miseria; ecco perchè - egli dice - non I (1) ARTURO LADRIOLA, Al di lti del capitalismo e. del socia- lismo - Roma, ed. Faro, 1946.

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