Critica Sociale - anno XL - n. 6 - 16 marzo 1948
126 CRITICA SOCIALE d'allarme contro l'inflazione, che è veramente la piovra dei lavoratori e li esaspera inutilmente in una lotta sorda per la salvaguardia del proprio salario reale, dalla quale sono travolti inesorabilmente. Non possiamo ora che riaffermare l'esigenza di orientamenti verso una moneta da avviarsi alla stabilità. N è i11flazione nè autarchia. Ora, se il reddito della collettività italiana non .aulnenta che per immissione di nuovo -risparmio e di nuovi· capi_tali esteri, e se il processo inflazionistico è considerato la più {Ìericolosa delle sohtzioni, ancorchè capace in un primo tem– po di attivare un risparmio coatto, il dilemma inevitabile è questo: o chiuderci in casa e fare dell'autarchia, attivare il risparmio, ci lasciar entrare con tutta la larghezza possibile i capitali, da qualunque parte del mondo vengano. L'autarchia l'abbiamo già sperjmentata: ieri cominciammo a pagarla con una riduzione del livello di esistenza del Paese; oggi la pa– ghiamo con la perdita secca del patrimonio che si sottrasse alle attività più economiche per immobilizzarlo in attività non economiche. Vogliamo seriamente rifare il tentativo? A me pare che le lezioni della storia dovrebbero far riflet– tere il Paese, prima di ritentare_ costosi esperimenti falliti. Quì ci sono i nazionalisti di nuovo conio che non hanno , il coraggio di ripresentare l'autarchia sotto questo voc.abolo, ma che dicono: lasciar entrare capitali stranieri significa « perdere l'indipendenza». Ma quale indipendenza? Quella economica non esiste. Non c'è paese al mondo che ·abbià in– dipendenza economicà, neppure gli Stati Uniti, neppure la Russia, che pure godono di estese risorse naturali. Quanto all'indipendenza politica, ammesso che ci sia oggi nel mondo qualche paese che voglia attentare alla nostra, è bene chiedere ai nostri lavoratori se ritengono di poterla assicurare riducendo a metà l'attuale loro livello di vita: ciò che condurrebbe, invece, ..a mio avviso, ad un grave inde– bolimento della loro indipendenza politica effettiva. li neo nazionalismo economico degli estremisti di destra e di sini– stra è il pericolo piìi gi:ave che i lavoratori possano paven– tare; ci porterebbe inevitabilmente alla miseria e al'.a guerra. Aumentare il reddito colÌett;vo. Non si aumenta la ricchezza di un Paese attraverso il tragico rimedio di ·decuplicare o centuplicare i segni mo– netari; non si aumentà con le fotmule autarchiche. Quindi: primo, niente politica economica a suono di fan– fare reali o repubblicane. Il nostro Paese deve attuare cott immediatezza una politica economica che elevi, attraverso l'aumento del dividendo nazionale, il livello di esistenza dei lavoratori; che assicuri la massima occupazione possibile at– traverso l'utilizzazione più saggia dì tutte le loro risorse sviluppando decisamente e concretando quelle latenti e .fi~ nera trascurate; che promuova con ogni sforzo il razionale utilizzo delle possibilità produttive del Paese; che eviti lo sfruttamento di rendite <diposizioni a favore di gruppi pri vilegiati; che consenta di mettere tutti i- capaci in posizioni iniziali non sperequate ; che non lasci djsperdere o sciupare, o addormentare, il tesoro di energie di cui disponiamo. ·Tutto ciò non è possibile se ci attardiamo nelle lusinghe autarchi– che <:lepredatrici del lavoro, se speriamo che, andando peg– gio, si finirà per andar meglio, .o che lo stellone d'ltalia, e non il nostro sforzo,. potrà farci uscire dal marasma. Noi desideriamo che l'avvenire dei lavoratori sia opera di' loro stessi, e soltanto per le loro capacità, gradualmente cr~– scenti, di emanciparsi, essi abbiano il sacrosanto diritto di conquistarsi la dirigenza della vita collettiva. Sono cose vec– chie, lo so, già dette, assai meglio, da Filippo Turati; e allora fischiate, forse dagl_i stessi che le fischiano oggi. Ma è titolo d'.onore per me· ripeterle. Problema produttivo e pianificazione. Bisogna che non. ci· dimentichiamo che sènza una maggiore produzion<0 del Paese nessuna possibilità esiste, non soltan- · to di elevare il livello materiale di vita .d'oggi ma anche di inantenere l'attuale. Ci sono condizioni di partenza innega– bilmente non liete, ma ve ne sono anche di favorevoli. Si è· eliminata l'atmosfera di incertezza, paralizzatrice nell'azio– ne, circa le conseguenze economiche del Trattato di Pace; vi è la possibilità di indirizzare il credito attraverso adatti congegni di cui si è fatta utile esperienza; non pesa piìi sull'economia italiana la grave deficienza di materie prime fondamentali che cosfituì una delle limitazioni più -gravi per· la ripresa industriale ed economica; il problema dell'impor– atzione si p1:1òdire· risolto _nelle sue grandi linee; si andrà BibliotecaGino Bianco· formando nel 1948 una disponibilità maggiore di capitali at– traverso il piano Marshall ; esiste infine una visione meno nebulosa degli anni precedenti sugli aspetti salienti della no~ stra economia; dei fabbisogni e dei problemi essehziali da risolvere. In particolare, io credo, è ormai chiaro a tutti èhe gli interventi statali non debbano 1 esser decisi sotto l'as– sillo di situazioni di emergenza, o sotto la pression<" di chi grida di ,più, anche se ha meno ragione dei silem.iosi; e che invece si debbano stabilire organicamente gli ordini di urgenza, la portata e la concatenazione dei problemi da ri- ' solvere. Forse nessun momento sarà così propizio come il quadriennio che ci sta dinnanzi per una politica economica ' organica e attiva. E' in tutto il mondo il momento dell'esi– geriza programmatica, di quell'esigenza che noi additammo fin dai primi giorni del dopo-guerra. Il Piano Marshall ed i lavoratori. Ho detto in altre occasioni che il cosidetto piano Marshall non è soltanto il fatto· più importante nel mondo economico europeo di quest'anno, ma anche il piìi importante per l'e– conomia italiana. Esso dovrebbe consentirci di risolvere il gravissimo tema del riequilibrio della nostra bilancia dei pagamenti; cioè evitarci di ottenere un altro temibile equi– librio a costo di gravissime sofferenze per il Paese e di una ineluttabile contrazione del livello di vita dei lavoratori. Ciò è chiarissimo e niente affatto misterioso. Un Paese co- . me il nostro, nelle ,attuali condiziqni, non può prendere sul serio l'ipotesi del suicidio come soluzione dei problemi eco-· nomici; e avrei reputato delittuoso, in assenza di altre ·pro– poste concrete ed immediate, un nostto rifiuto di partecipa– re alla conferenza dei « sedici» a Parigi. D'altra parte l'Eu– roua, sommamente imm'iserita da due guerre mondiali, deve ·acconciarsi a vedere ridotto fortemente il proprio livello di esistenza e a rinfocolare guerre civili e ·a rincrudire la sua , involuzione iniziata, se non è in condizioni di riattivare le proprie risorse produttive attraverso prestiti ingenti. Si può preferire di affogare eroicamente cantando il proprio di– sprezzo per chi vi butta generosamente un salvagente, ma io cr-edo che gli interessi dei lavoratori italiani non siano con– formi a queste soluzioni letterariamente eroiche. Dopo le due grandi .guerre, il primato industriale è pas– sato ad un altro continente. L'Eur-Òpa deve apprestarsi a sfamare per il i96o 6oo milioni di abitat1ti compresi i 179 della Russia europea, cioè 104 .milioni più del 1930 e 207 piìi del. 190P, proprio mentrè questo continente, dopo due secoli in cui fu l'officina del mondo, assiste a un deperi– mento grave dei_propri impianti non rinnovati. 0 La congiuntura internazionale è in gran parte allacciata all'attuazione del Piano Marshall, che può rappresentare un con tttivo anche alla crisi mondiale da varie parti ritenuta probabile, oltrechè un sostanziale aiuto all'Europa: esso rap- · presenta il più grande tentativo finora tentato di solida-' rietà economica internazionale, nella convinzione che il mon– do è uno, e che la civiltà moderna non consente l'ospitaliero « reparto isolati» nè le quarantene per i malati di povertà. Tutto ciò, evidentemente, aon significa allentare i nostri rapporti economici con gli altri paesi finora hOn adetenti al Piano Marshall; anzi ci deve' invitare ad estenderli. La ec'onornia nQn conosce punti cardinali ; ed è dovere nnstro di evitare, nei limiti delle nostre possibilità, che si formino due Europe economiche. Non dobbiamo avere, nè vogliamo ave– re alcun sipario di· ferro nei nostri traffici, che abbiamo bi- sognu di stimolare e di espander-e. - ' E' altresì stretto dovere nostro, se veramente intendiamo difendere gli interessi dei lavoratori, di assicurare una ese– cuzione del cosidetto Piano Marshall che ne garantiS'ca tutta l'efficjenza in favore dei lavoratori italiani. . Rispettare gli impegni « ptodilttivi » assunti a Parigi, col– legare gli aiuti Marshall con una ripresa organica dell'e– conomia italiana, evitare che questi aiuti si risolvano, come J?;li aiuti precedenti, in consumi, oppure in laute rendite di posizione: ecco l'assunto che dobbiamo proporci. La diffe– renza con le offerte precedenti è questa: che si passa dal– l'aiuto consistente in medicinali e in grano all'aiuto formato da materie prime e da strumenti per lavorare meglio e di pif!. Disporremo, con ogni probabilità, di questo fondo lire dr 400-500 miliardi. Aggiunti al risparmio monetario italiano, che potrà valutarsi almeno ad altrettanto, avremo una som– ma notevole;_che dovremo destinare saggiamente. Dobbiamo quindi preoccuparci di formulare, nell'interesse dei lavora– tori, dei pros-rammi i quali evitino che con il fondo lire si torni a fare un'economia di consumi, propagatrice di pigri– zie stagnanti, anzichè un'economia di fertile produzione.
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