Critica Sociale - anno XL - n. 3 - 1 febbraio 1948
60 , 'CRITICA SOCIALE il quale non sòlo indica i rapporti ideologici e sto– rici che tale documento ha con i pensatori sociali– sti francesi del sec. XIX, ma ritierie che non occorra ricadere nel fatalismo ottimistico degli utopisti per correggere il preconcetto marxista, bensì basti ten~r conto della volontà umana, che, nello svolgimento ~torico, compie un'azione efficiente e non trascura– bile. V'era dunque nel «Manifesto» questo colorito de– terminista, che ai semplici poteva suggerire una spe– cie di fanatismo mussulmano, per affrettare il fine fatalmente previsto, una specie di machiavellismo sociale, che legittimava l'uso cinico di qualsiasi mez– zo per ottenei'e il «radioso» fine. Già H Dietzgen, quasi anticipando un pensiero politico del Croce, scriveva che « mezzi » e « fine » son concetti rela– tivi, poichè ogni scopo speciale è anche mezzo, ed ogni mezzo è anche scopo; sì che, in definitiva, lo scopo sacrosanto santifica ogni mezzo, se ed in quanto questo è utile (15). Ecco la parte che da un lato ha contribuito a far considerare la dottrina politica come sottratta ad ogni influenza etica e dall'altro lato ha giustificato la prassi realistica e spregiudicat! del bolscevismo. Così s'ebbe la storiografia che prospettava la sto-. ria in vitro, come determinismo di fatti, tutti ugua– li, tutti necessari, tulti giustificati, si trattasse di Gengis-Kan o di Lincoln, e s'ebbe la dottrina politi– ca che si riassume nell'eticità, non-in quanto si subordina a principi morali (come se questi ap– partenessero ad altra attività umana), ma in quanto • accetta la logicà della politica e si serve dei soli mezzi di attuazione offerti dalla politica (16). Le osservazioni del « Manifesto » sulla base eco– nomica dello Stato, delle leggi, del diritto sono alla radice di questa concezione, che generalizza una constatazione limitata ad una fori;na sociale e ridhl– ce l'attività giuridica ad attività economica, le leggi ad espressione seriza residuo del diritto e lo Stato. - al governo, ad un rapporto d'autorità, che ha di fronte come nemici quelli .che non lo accettano (17). Questa dottrina del Croce, nudrita di elementi he– geliani e marxisti, ·aveva ottime intenzioni e non vo– leva che i moralisti chiedessero allo Stato quel che non poteva d[!_re; ma voleva che essi promovessero la coscienza ed il costume morale affinchè gli Stati potessero concorrervi (18). Accadde invece che a tale dottrina si riferirono i sacerdoti del fatto com– piuto, i sostenitori dell'amoralismo (ridotto ad im– moralismo) politico, gli entusiasti della forza co– me unico strumento politico ed allora il Maestro avvertì che la storia è lotta di ideali etici e non di vantaggi economici, di partiti politici e non. di clas– si (19) e... il Croce non fu più crociano. Si tornava al semplice buon senso ciceroniano, pel quale nep– pure nel governo dello Stato è lecito seguire l'utile preferendolo all'onesto, come dimostravano gli e– sempi di Aristide e di Temistocle (20). Ma< il messianico pessimismo del « Manifesto », per quanto sia stato superato dagli eventi storici e dalla critica economica e sia stato rettificato dalle prefazioni successive dell'Engels (1872, 1883, 1890)·; per quanto debba essere compreso nell'insieme del– la dottrina marxista e soprattutto illuminato dal fi– ne umano che è additato così spesso dai due Mae– stri, nel ·corso delle loro opere; è diventato, nel 1917, ·motivo fondamentale ed eccitante del movimento bolscevico che, dietro l'esperienza russa, lia senz'al-· tro rimesso il socialismo sul binario dell'impoveri– mento proletario e della rivoluzione violenta. Il libro del Lenin - Staio e rivoluzione (21) (15) Op. cii., pp. 138-144. (16) CROCE: Elementi di politica, Bari, 1925, p. 20. (l 7) Ibidem, p. 327 e Filosofia della pratica, Parte 3•, Bari, 1915. (18) CnocE: Aspetti morali della vita politica, Bari, 1928, p. 85. (19) Orientamenti, Milano; 1934, p. 46. (20) De Officiis, I. 3°. (21) Milano, 1920 . . BibliotecaGino Bianco è tutto un esasperato tendenzioso commento del « Manifesto », per dimostrare la tesi precedente, che, dal Lenin diligentemente rafforzata con cita– zioni abilmente· scelte dalle varie opere di K. Marx e di F. Engels, divide l'umanità in due blocchi con– trapposti: quello dei rivolùzionari (bolscevichi) e quello degli opportunisti (formato dai «borghesi», dai socialisti d'ogni tinta, dai democratici, e da al– tri ... «filistei»). Con'ft1tare l'infantile concetto leninista dello Sta– to, che - inteso come stabilità dell'ordine sociale. secondo regole di costume o di diritto - è condi– zione naturale della vita associata, è coevo quindi alla Società stessa, perchè è un'esigenza profonda– mente umana; confutare un·a teoria che, mentre vuol dimostrare la inutilità dello Stato, fonda ·e legittima la forma più/ oppressiva ed inumana di Stato, ci ·pare superfluo. Basti osservare che, se da un lato t' nel vero il Lénin allorchè s'appoggia al marxismo per dimostrare che lo Stato, in un regime di classe, è organo di coazione e, come tale, dovrà- scomparire una volta scomparsa la divisione in classi; èlall'al– tro lato egli è poi nell'er.rore - in linea teorica e storica - allorchè dice che lo Stato « compare do– ve, quando e finchè i conflitti di classe non possono essere ccmposti oggettivamente » (22) ed in linea interpretativa, perchè lo stesso Engels nel luogo citato dal Lenin, riconosce che con la divisione del– le classi « è diventato necessario un potere colloca– to apparentemente al di sopra della Società, desti– nato ad attutire il conflitto ed a mantenerlo nei li– miti dell'ordine ». Quindi resti pure l'ideale accarezzato anche dal Fichte, che· lo Stato debba a poco a poco rendersi sempre meno necessario, convertendosi da organo di coazione in puro organo di educa;ione, in una comunità di esseri liberi; ma non si dica che, per giungere ·a questo fine, si debbano esasperare i con– flitti di classe e, ·con la violenza, si debba istituire lo Stato col << proletariato organizzato in classe d'o– minante »; si d_ebba cioè passare, non ad una eli– minazione di classi, ma aè una sostituzione di clas·– se. Non è buon argomento appoggiarsi a citazioni anzi che ragionare. Anclie se il marxismo fosse base di quell'arida spietata prassi .che attua oggi il bol– scevismo, il quale dopo 30 anni non può ancor'a convertirsi in socialismo, non ostante che la Russia. per le sue immense ricchezze, po&sa chiudersi nella sua autarchia; di fronte ai -dolori sofferti dal popo– lo russo, alla ferocia disumana dei mezzi di domi– nio, noi, realisticamente, dovremmo rivedere la no– stra posizione e correggere le previsioni. Ma non è così, perchè (detto in breve) tanto per il Marx (23)' quanto per f'Engels (24) il « comuni- - srno è una questione d'umanità, non soltanto una questione operaia ». L'Engels anzi auspica. _che . il Partito domini « l'elemen~o brutale della nvoluz10- .ne per prevenire un nuovo Termidoro » pensiero che non è cancellato dàlla Prefazione in cui si dice che finchè duri l'egoismo capitalistico, la rivolu– zio~e dovrà essere opera della sola èlasse lavoratri– ce (25), opera d'una classe che ha il diritto perchè essa rappresenta la sofferenza per eccellenza (26) e che, per il suo stesso interesse, deve servirsi dei mezzi meno violenti per assicurarsi la vittoria (27 1). Portalo il comunismo sul piano della violenza di una minoranza contro la maggioranza, rappresenta– to sotto forma di dittatura spietata ed indiscrimi– -nata, persecutrice di chiunque, perchè osa avere un pensiero diverso, sia pure in letteratura, sia merite– vole d'essere condannato alla. morte lenta come « reazionario e traditore »; qul!sto comunismo può pure appellarsi a singole frasi dei testi «sacri~- (22) LENIN, op. cit. p. 7, (23) Pagine di fil. polil ., ;,. 167. (24) La condizione del.le classi o[Jeraie in Inghillerra, Roma, 1899, p. 237. (25) Ibidem, p. VII. (26) MAJtK: Sacra famiglia, Roma, 1909, pp. 30 e segg. (27) ENGELS: Lotta di classe in Francia, Prefazione, Roma, 1902, pp. l 5 e segg.
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=