Critica Sociale - anno XL - n. 2 - 16 gennaio 1948

CRITICA 'SOCIALE 3'7 i! bl?cco sla~o, costituito ormai praticamente da tutto l 9nen_te e il Su~-Est europeo, preme in direzione d1 occidente e d1 nord. E' questa_ una s~tuazione particolare della Europa alla quale 11 ~on.t!nente americano è completamen– te estran1:o, s1cche la determinante delle due oppo– ste forze ~n co~trasto non è uguale, perchè il fattore dei;nog~afaco e~1ste sola~ente in Europa fra l'Oriente e I Occidente: 1_1 Sud e il Nord del no.stro continente.· fn sostanza e Il processo dialettico della storia che ancora una volta si rivela nel senso marxista più ort~dosso, _p_erchè la _ideologi!l e la conseguente di– rettiva pohhca non e la causa ma l'effetto di una situazione di natura prettamente economica che da un lafo è determinata solamente da intere;si indu– striali e commerciali e dall'altra è sorretta anche e soprattutto, dall'aumento costante della popolazio'ne e dalla conseguente sua necessità di industrializ– zazione e di espansione. . Io penso perci~ che fino a quando i popoli, spe– cialmente europei, e i loro governanti non si sa– ranno convinti della esistenza di questo dato di fatto positivo nel nostro continente ,e della sua im– portanza decisiva e in ogni modo preponderante, non potranno esattamente valutare quanto sta oggi accadendo e perciò seguire una l:inea oli c0nolotta · consapevole dello sviluppo del processo storico in atto, che per .noi si concreta sostanzialmente in forma consona a una piena ortodossia marxista. NessQno può infatti logicamente opporsi ad un fatto naturale, fisico, come quello della pre.,ssione demo– grafica, perchè si tratta di una realtà biologica; e la resistenza ad essa è ingenua come quella di un uomo che volesse conseguire la immortalità. I popoli di Europa che non conoscono l'aumentQ progressivo delle unità che li compongono debbono perciò considerare le necessità di tutti i popoli (-il nostro compreso) che sono in continuo progressivo aumento, per di più con prevalenza delle età gio– vani; ciò che significa che !il fenomeno non è 'di breve durata, ma destinato a continuare nel suo sviluppo. . Secondo elemento, anch'esso da me modestamen– te messo in evidenza nei miei precedenti studi, è quello del radicale mutamento di posizione nel mon– do della Gran Bretagna e della conseguente sua progressiva e sempre maggiore inserzione nel si– stema politico èontinentale europeo. Ceronetti lo nota e accenna alla campagna di Churchill, conser– vafore ferocemente antisovietico ,per la creazione degli Stati Uniti di Europa,_ma non mi sembra che metta sufficientemente in relazione l'atteggiamento del vecchio leader della borghesia britannica con la politica estera laburista· del Foreign Office. Formalmente si tratta, è vero, di due atteggiamenti dìversi; sostanzialmente la politica estera britanni-– ca sta subendo, volente o nolente, la influenza dell!J, sua europeizzazione, che si intensifica sempre più rapidamente. Può avere Londra interesse oggi, e ancor più domani, che l'Occidente europeo divenga mancipio, più o meno apertamente o ufficialmente, dell'America? Non segnerebbe questo fatto la fine della sua stessa indipendenza e la sua retrocessione a quasi colonia della principale delle sue colonie? Sintomi eloquenti rµi fanno ritenere che l'Inghil– terra comprenda il pericolo. A parte le_ questioni sintomatiche della non convertibilità della sterlina e dei trattati commerciali saggiamente stipulati con la Russia, di cui fa cenno anche Ceronetti, altri sin– tomi vi· sono della necessità sentita dall'Inghilterra di fare unà sua politica prevalentemente europea; . condizione necessaria per la sua sopravvivenza e conseguente ripresa. Fra i tanti noJI si può trascu– rare e sottovalutare l'atteggiamento della rappresen– tanza inglese alla recente conferenza di Anversa dei partiti socialisti. Le opposte parti gli hanno data una interpretazione a mio avviso troppo ristretta, mettendo in evidenza specialmente le preoccupazio– ni relative ai rapporti tra il socialismo orientale e 1,uello occidentale. Bisogna convincersi che in ogg; i problemi di politica interna sono d~ven;1ti secon~ dari, perchè quasi totalmenti; subord1~ah a quelh di politica estera, an_che se s1 tratta di un~ grande nazione èome l'Inghilterra, nella quale poi nessun partito politico immaginerebbe di potere assumere 1blioteca G, o ,anco un atteggiamento contrastante con quello dei propri uomini al governo. Il_sintomo è perciò assai più significativQ_ di quan– to sia stato finora messo in evidenza agli effetti della -politica inglese in Europa e nel mondo. Quanto all'Italia, la sua posizione· è particolar– mente delicata e perciò un suo atteggiamento ben ~efinito ed inequivocabile può avere una grande importanza. Essa infatti, per il costante suo aumento demografico, non può sottrarsi, per legge biologica ad avere interessi e bisogni simili a quelli degli altri popoli europei in progressivo aumento. La biologia non conosce frontiere nè ideologie politiche; è la forza fondamentale della vita; come tale emana dall'inconscio ed è perciò irresistibile. ' D'altra parte la posizione dell'Italia nel Mediter– raneo le assegna, con la sua saldatura continentale a_ll'Eur?pa centrale, una particolare funzione equi– hbratnce, consona anche al suo spirito, al suo co– stume fondamental~ente occidentali, che rappre– sentano, .anche essi, forze inoppugnabili naturali, alle quah sarebbe vano tentar di resistere. Forse questi due elementi naturali, fisici, in un _ci;rto senso ed in determinati limiti, spiegano, meglio di qualunque altra considerazione, la grave crisi in– t.erna,_ anche ideologka e politica, che ci travaglia. Le mie modeste considerazioni di studioso solitario mi portano a concludere che la politica estera· pro– pugnata da Ceronetti deve essere la concreta attiva espressione di una ferma e proclamata volontà no– stra di neutralità, e perciò io ritengo che, per rea– lizzarla, sarebbe indispensabile preparare, come suol dirsi, il terreno per rendere accetta da tutti indi-· stintamente una nostra solenne dichiarazione di neutralità. · · Ad· essa naturalmente dovrebbe corrispondere quella forma di organizzazione militare che valga a difendere il nostro diritto di rimanere neutrali e perciò la nostra integrità territoriale e che, come più volte ho scritto, non può essere che la nazione armata. Perciò gH articeli recentemente apparsi sul Corriere della Sera cirea la crisi dell'esercito mi hanno lasciato, non esito a dichiararlo, molto in– differente. Che l'esercito terrestre italiano sia in crisi lo sanno tuHi e non c'è davvero bisogno, pur– troppo!, di proclamarlo. Il pericolo è che la crisi si risolva facendone uno strumento bellico merce- , nario di altri belligeranti, ciò che diverrebbe mate– rialmente impossibile se la difesa militare del Paese dichiaratosi neutrale fosse organata come quella svizzera. ' Senonchè è evidente che anzitùtto si deve avere una chiara ed inequivocabile linea di politica estera che francamente, con tutto il rispetto per gli egregi · uomini che hanno sopportato e sopportano il peso deJ governo, non vi è stata finora, forse anche per la forza degli eventi; come giustamente anche Ce– ronetti rileva. Stabilito in modo non equivoco il nostro atteggiamento nel campo internazionale, se ne debbono trarre le logiche conseguenze per una politica estera e conseguente politica militare, adatte e convenienti al nostro paese., Io penso che non sia ancora divenuto impossibile seguire la via della neutralità, anzi credo che, se noi trovassimo il modo per attuare una simile politica, non gioveremmo soltanto al nostro Paese, ma assol– veremmo un compito ben più alto e più vasto, per– chè potremmo anche avere il vanto, nel prossimo futuro, di aver contribuito ad evitare un nuovo con– flitto e, con esso, la probabile fine dell'Europa come entità spirituale e come unità di produzione e di lavoro iRdipendente. Certamente una simile politica estera, e cdnse– guentemente militare, presuppone, come necessità imprescindibile, la volontà ferma di grandi masse e cioè del popolo lavoratore. Problemi come gli at– tuali e in particolar modo come questi non si pos– sono evidentemente risolvere da un ristretto cenaco– lo di pensatori e di studiosi e neppure dalle élites care a Vilfredo Pareto. Sono oggi i milioni· di uo– mini che lavorano, per vivere, col pensiero ·e col braccio, che devono esprimere la loro volontà, po– tenziando, con il loro consenso, l'opera faticosa e grave di coloro che, atti alla bisogna, cerchino di realizzare le fortune della Patria e dell'Europa nel mondo. LEO~ARDOGATTORoISSARD

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