Critica Sociale - anno XL - n. 2 - 16 gennaio 1948

CRITICA SOCIALE 33 Io penso che ciascuno di noi dovrà non soltanto attuare scrupolosamente le direttive che il Partito darà in materia di organizzazione ma anche contri– buire a tracciare, con suggerim;nti e discussioni quelle direttive. ' ,, . . . Se democrazia vuol dire· effettiva partecipazione del popolo alle deliberazioni relative alla cosa pub– blica, non c'è dubbio che l'ignoranza è il primo dei suoi nemici. L'ignoranza, come la pancia vuota ren– de eff!_mera qualunque libertà elargita nei c~dici: che cosa delibera, che cosa decide colui che non ha idee in testa'! Si sente ripetere che la democrazia è in crisi io tutto il mondo, ed io cre<;l.oche una delle chiavi per -spiegare le cause di questo malessere ce la dia Mor– ris L. Ernest quando scrive: « Su due miliardi di persone che esistono sul nostro pianeta, il 60 per cento, cioè 1.200.000.000, è ancora completamente analfabeta ». Pér questo motivo non insi,steremo mai abbastan– za sulla necessità che hanno i partiti, i quali vo– gliono difendere la democrazia, di promuovere e sollecitare tutte le iniziative - di qualunque- ge– nere esse siano - tendenti a diffondere l'istruzione e la cultura. Noi abbiamo iri questo campo vecchie e gloriose tradi;i:ioni (le università popolari anche in città medie e piccole, i corsi per disoccupati, le scuole serali, ecc.) che dobbiamo riprenderé senza indugio. Ma io credo che, anche guardando solo al pro– blema specifièo e più limitato di organizzare il no– stro Partito in modo da farne una società di uomini . operanti e non di pali che ascoltano, possano soc– correre mille accorgimenti pratici, alcuni dei quali verrò enumerando a scopo puramente esemplifica– tivo. 1) Rende1·e pubbliche le sedute preconsiliari, cioè le sedute - ora segrete - che i gruppi dei consiglieri comunali del nostro Partito 'fanno prima della riunione del Consiglio per deliberare la linea di condotta. Perchè le riunioni dei Consigli Comunali van de– serte? Si dice che è colpa del disinteresse dei cit– tadini e non si pensa che quel disinteresse è effetto e non causa. Che cosa deve andare a vedere il cit– tadino quando sa che il comportamento dei singoli g1uppi è stato stabilito in precedenza, in Camera r:hari talis? Rinunziando senza danno alla furbizia delle deli– berazioni segrete, il nostro Partito deve riunire sem– pre in pubblica udienza - magari in piazza, se si può - il suo gruppo consiliare per discuteve l'ordi– ne del giorno della futura seduta comunale, e dare a tutti gli intervenuti - iscritti o simpatizzanti o cu– riosi che siano - piena libertà di disct1ssione, pur lasciando, beninteso, ai consiglieri il diritto di restar fermi nelle proprie opinioni. Avremo i seguenti van– taggi: a) maggior interessamento, e quindi contributo alla maturaziòne politica del popolo, chè i problemi del luogo (costruire quel ponte? e il finanziamento? e le disposizioni di legge?) sono il primo e più im– portante gradino della scala politica. Non è i_ndi– spensabile che ogni uomo abbia un suo meditato parere sulla questione della Camera unica o delle due Camere ma è indispensabile che lo abbia sulla qµestione d;l ponte o delle tasse o delle cooperative della sua città, così come è indispensabile che ogni lavoratore abbia. piena coscienza dei problemi che riguardano la sua categoria. _ _ In Italia invece avviene esattamen-te il contrario: troppa ·gente ha convinzioni radicate sulla questione delle Camere e non su quella del ponte della sua ·città ed è questo un sintomo di faciloneria para– gona'bile alla pretesa di_ far l'università senza aver frequentato le elementari; b) daremo la dimostrazione che il nostro Parti.– lo è veramente la famosa « casa di cristallo», ed è cosa indispensabile per un Partito che si vuol porre come microcosmo della società futura; e) gli' elettori avranno iÌ modo di sceglier me- ibliotecaGino Bianco _glio i loro uomini nelle prossime elezioni, evitando la iattura dei tanti consiglieri che scaldan le panche; d) ed avranno, soprattutto, il modo di scegliere il prop_rio partito. Ci son disorientati e perplessi, in Italia, anche perchè i programmi sui muri sono tutti uguali. Son diverse le conc·ezioni della vita che stanno alla base di quei ptogrammi, ma non è attra– verso la metafisica, cioè l'astratto meditare sui prin– cipii di libertà o di giustizia sociale o di cristiane– simo e via discorrendo, bensì solo attraverso l'im– mediato contatto col lavoro concreto che gli uomini di up determinato partito compiono per calare nella viva materia politica i principii del loro orienta– mento che il cittadino riesce a scegliere la strada più confacente alle S!J.e- idee, al suo temperamento, alla sua condizione sociale. 2) Rendere pubbliche le assemblee di Sezione, per ragioni che sono in buona parte analoghe a quelle del punto precedente. Le Assemblee non aper- te al pubblico dovrebbero essere ecceezionali. · Ma non c'è da illudersi: qui verrebbe pochissima gente nuova, perchè la vita dei partiti non interessa più: Forse, abbinando la prima proposta alla se– conda e facendo coincidere le riunioni preconsiliari con le Assemblee di Sezione si può ottenere qualche frutto. . 3) Centro Studi. Tra il far cadere sugli iscritti direttive e programmi precisi e fotangibili (prassi dei partiti non democratici) e il lasciare che gli iscritti decidano da sè e mandino, dal basso verso l'alto, le loro direttive (prassi dei partiti che si credono democratici e non lo sono, perchè è prassi che allo stato attuale delle cose si riduce a garantire sempre il trionfo di quei due o tre tromboni che non mancano mai in ogni Sezione, e che non trovano ostacoli seri alla loro rettorica,' perchè sono di fronte a uomini poveri di idee), c'è una terza via, che è indubbiamente la più seria: far circolare molte idee, far conoscere quello che hanno fatto altri, ed attra– verso ciò far n,ascere convinzioni proprie in cia- scuno. , Ci sarebbe da fare, in proposito, un discorso lungo sulla necessità che ha oggi la cultura socialista italiana di guardare fuori casa e di studiare quello che hanno fatto e detto gli altri, invece di improv– visare. E di tradurre questi sguardi fuori casa in cultura spicciola e facilmente comprensibile, di guisa che il maggior numero di compagni vi possa accedere. Il socialismo italiano (e il Paese con esso) ha dor– mito per un quarto di secolo ed ora deve ricupe– rare il tempo perduto. Noi siamo nelle condizioni della cultura italiana del primo settecento, la quale. avulsa e straniata dagli sviluppi del pensiero euro– peo a causa della Controriforma, dovette; nella se– conda metà del secolo, assimilare a tappe accelerate quello che gli altri avevano maturato mentre noi tenevamo ,le bende sugli occhi. E si peccò, agli inizi, di eccessivo ossequio verso tutto ciò che veniva d'oltralpe, ma fu un passaggio neGessario per rial– lacciarci al mondo. Oggi ·noi siamo .lontani, non sol– tanto dalla cultura, ma anche- dalla tecnica, dalle scienze e dall'economia europea. Un Centro Studi che, resistendo alla tentazione - tanto forte nell'animo degli italiani - di fare della accademia, dica in forma piana come gli altri partiti socialisti europei hanno affrontato il problema della terra, della scuola, ecc. e attraverso quali evoluzioni e «ritorni» sono passati, e perchè; un Centro Studi che sulla scorta delle esperienze. altrui vari progetti di soluzioni proprie e li proponga ai compagni quali spunti di discussione (magari attraverso l'invio nelle Sezioni di oratori che trattino di argomenti solidi: una specie, insomma, di cattedra ambulante del Centro Studi), contribuirebbe a rimettere il nostro Socialismo nel circolo del più avanzato socialismo europeo. Si correrebbe il rischio, in questo modo, -cli pec– care di intellettu?lismo, risolvendo a tavolino e sulla scorta del pensiero altrui ·i problemi nostri? Può darsi, ma è sempre meglio che non far nulla o far male. Tanto più che gli italiani - per uno spirito di mimetismo che è loro fonato, e che è compren– sibilmente più accentuato dopo venticinque anni di chiusura forzata - tendono già a modellare i propri

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