Critica Sociale - anno XXXIX - n. 11 - 1 giugno 1947

192 CRITICA SOCIALE ammaestramento dall'esperienza storica. Dal 1861 in poi idi uf– fici statali a base regionale si sono rivelati per lo più ineffi• cienti, e così è accaduto anche degli enti con ci~coscrizimie re– gionale. La maggior llarte di essi ha avuto br~ve vttn,_ n~n. ostant_e non esistesse nessuna prevenzione contraria: Jl che s1gmf1ca. evi• dentemente, che ~li interessi non riuscivano a coagularsi sul piano regionale. In caso cli verso, infatti, a~1che se. la lettera della leg~e fosse stata contra:-ia, la forza degh even~1 avreh_be certo · creato una prassi regionalistica in molti settori, statali e non statali. Se ai sono per contro ipertrofizzate le Prefetture, questo significa che :;li interessj si coagulavano con. facilità nel campo provinciale; e in mailcanza di altri organi adatti, le Prefetture assumevano i compiti relativi alle nuove esigenze. Neppure si è fatta luce una istanza regionale in quel breve re.G_entissimo periodo rivoluzionario ~he i~ .molte regioni ~•Italia hJ seguito la liberazione, quando 1 autonta dello Stato e era e no'n c'era, e gli alleati intervenivano solo nei casi in cui fos– sero spinti da un immediato interesse. E' allora che si sono ri– velate, per la forza stessa degli eventi, le più profonde e più serie e~igenze del rinnovamento politico amministrativo della na– •zione. Vedemmo allora i C. L. N. comunali assumere compiti che le Giunte mai avevano avuti, denunciando così la ntcessità di allar~are la sfera dei poteri del Comune; ved,emmo i C.' L. N. provinciali, attivissimi, guidare i Prefetti e didgere la vita della Provincia, così da far intendere ad ognuno l'utilità di un organo provinciale che a\sumesse ben più ampie funzioni di quelle de• volute alle rachitiche Deputaziotli provinciali. Viceversa i C. L. N. regionali (a cui, grosso modo, dovrebbero corrispondere i pro– gettati parlamentini regionali) non solo non riuscirono il più delle volte a svolgere la benchè minima funzione, ma neppure, sovente, ad esistere. Si dirà che tale risu1tato· era inevitabile,· posto che la re– gione ancora non esisteva nell'ordinamento italiano; ma si di– mentica con ciò che anche in politica la funzione crea l'organo; onde se vera~ente gli interessi regionali si fossero imposti, non avrebltero fatto a men0 di trovare l'organo rivÒluzionario atto ad esprimel'li al di là delle formule amministrative d~l vecchio. Stato impotente. Anche dal punto di vista storico, la tradizione italiana è net– tamente sfavorevole alla regione; e stupisce grandemente che uo– mini che vanno per la maggiore abbiano sostenuta la tesi con:– traria. Le terre meridionali, ad esempio, sono state unite per· seèo1i In un unico Stato, le cui circoscri;ioni amministrative pos– sono considerarsi rispondenti, grosso modo, alle provincie co'sti– tuite dopo l'annessione,. non c~rto · alle regioni. Nello stesso Stato Pontificio le region~ (Lazio, Umbria, Marche e Romagna) non hanno mai nvuto un riconoscimento qua'lsiasi, e il decentramento anuni•istrativo si attuava attraverso cil'coscriziorii pure non molto dissimili dalle attuali circoscrizioni provinciali. La regione in– somma non ha mai avuto il minimo rilievo nella storia italiana, anche se in qualche caso (repubblica di Genova, granducato di Toscana) si ebbe in certi periodi della ~toria coincidenza tr 1 a certi staterelli italiani e le attuali regioni dell'atlante geografico. · Del resto il fatto che da ogni parte d'Italia Ci giungano, all'As– semblea Costituente, petizioni intese a reclaìnare l'istituzione di nuove regioni è assai :,ignificativo. Il Salento, la Daunia, · il Sannio, la Tuscià, ecc. altro non esprimono che la particolare ambizione di determinate città, le quali tentano di varare nuove regioni, spesso cervellotiche, per non perde11e il prestigio di ca– poluogo: il che ~erto non accadrebbe se esistessero un sentimento e unu tradizione regionale. èi si lasci dire una modesta e sola apparente paradossale verità: e cio~ che, se la costituzione· do– vesse preveder'e un non dìfficile ptocedimento per la creazione di nuove regioni, tra pochi anni ogni vecchia provincia ,la tro• 'veremmo trasformata in regione. Così poco viva è sernnre stata in Italia l'aspirazione regiona– ·listic.i, che si è tratti t;lvolta a pensare che molti si siano la– sciati trascinare verso quesi:a posizione dal timore di non sapere ·come altrimenti rbolvere le questioni recentemente insorte della Sicilia, della Sardegna, dell'Alto Adige e deUa Valle d'Aosta. Alto Adige e Valle d'Aosta sono territori alloglotti ed è natu– rale che ab~iano aspirazioni autonomistiche. Sicilia e Sardegna, nell'atmosfera della disfatta, hanno avanzato ampie rivendicazioni ~auto'nomit;tiche, cui nessun,o, per timore di peggi0; ha avuto il coraggio di opporsi; onde oggi 'la loro autonomia non è nem– ·meno più posta in discussione. Mantenere la struttura unitaria per ·il rimane:1te della ·nazione, quarido alcUne regioni non sono più inquadrabili entro questa stessa. struttura, sembra a molti contradittorie; onde il loro accedere, pur , senza eccessiva con– ,vinzione, alla teai regionalistica. Eppure in ;ealtà, a parte la questione aostana e alioatesina, che ririettono del resto piccoli territori di confine, nulla impedi– rebbe Eli mantenere la struttura unitaria nel continente, ricono– scendo Slle isole, non attraverso la costituzione, ma. attraverso una legge specia~e, la tanto reclamata autono~ia. Alla quale forse •un giorno, normalizzata da un lato la sitna;ione poli~ca internazio- BibHoteoa Gino Bianc nale e rivelatasi dall'altro la seria inlenzione del governo di ri– solv~re la questione meridionale, le isole stesse finirebbero per rinuuciare. Città e provincia hanno basi storiche e attuali, L'Italia, si dice a 1·agione, ha una storia soprattutto munici– pale, come ha dimostrato proprio- il Cattaneo, considerato il mar;- - gior esponente della· tesi federalistica, che trova la sua espressione oggi nel regionalismo. Ciò significa che le cellule vitaJi di ogni attività sono state lungo il cors'o dei secoli le nostre gloriose città, quelle che oggi rappresentano, salvo rare eccezioni, ,i ca– poluoghi di provincia. Si tratta di una tradizione, la ql!ale in molti casi ha la sua lontana radice nei municipi romani e non si è d~l tutto interrotta neppure nell'alto Medioevoi Nel Centro e nel Nord i grossi comuni, dai tempi di Federico I e 'di Fede– rico 11, non hanno mai cessato di essere centri economici, am_– mi-nistrati vi, culturali, finchè essi sono diventati di norma i ca• poluoghi di provincia del regno d'Italia dopo il 1861. La città con il suo contado (leggi: capoluogo.' di provincia attuale e ter- , ~itorio provinciale) esprime insomma la vera tr~dizione italiana. Gli ottant'anni e più di vita unitaria, attraverso il nuovo re– gime amministrativo, hanno poi noli solo rinsaldato quelle che potevano essere le tradizioni anteriori, ma ~ddirittura creato uno moderna struttura provinciale di natura economica, amministra• tiva, culturale, ecc. Oggi le strade, le. ferrovie, tutte le comurica• zioni insomma fanno ·capo al capoluogo di provincia. Le banche accentrano in esso tutte le grosse operazioni; i mercati convo• gliano verso di esso la maggior parte dell'attività economica della provincia; gli scambi, sulla base del principio della complemen– tarità, si svolgono per 'un'altissima percentuale ira città e ter- , ritorio rurale circostante, foi-nendo la prima i prodotti indu– stria.lì e ·in genere le merci df importazione attraverso i grandi magazzini, e fornendo il secondo i prodotti agricoli; le industrie tendono a prendere sede rielLi periferia dei capoluoghi di pro– vincia. Gli stessi professionisti (avvocati, notai, ingegneri, me• dici-speciulisti) sono concentrati, salvo ·eccezioni- relative a qualche grosso -centro, nel capoluogo provinciale. Le scuole medie raccol– gono in genere nel capoluogo gli studenti di qua~i tutta la pro– vincia, e ivi hanno S'ede le istituzioni cult1:irali di ogni llòpecie. Pedino la ger.archla ecclesiastica tende ·ad adeguarsi alle CÌl'lco– scrizioni provinciali, , specie nel Settentrione. Anche il fi:iuo eh~ i trib~nali, fuori dei. capoluoghi di provincia, si sono rivelati quasi ovunque non vitali, dimostra appunto che tutta la , vita si accentra nei capoluoghi stessi. I pericoli dell' ordinamenta regionaliStico. E' dunque su 'un terreno privo di ogni presupposto regiona– listico che la Costituente Italiana' dovrebbe nelle prossim~ setti– mane da~e una base regionale alla giovane repubblica. OZioso è a questo proposito prendere in esallle lQ materie che il progeito ,, attdbuisce alla competenza legislativa esclusivq o susSidiaria del-– l'ente 'regione. Non si tratta infatti di determinare fino a che pu·nto ci si debba arrestare, per evitare che la competenza le– gislativa attribuita slla regione pregiudichi l'avveni~e della Re– puhbliça; la sola esistenza di una ,qualsiasi potestà legislativa re– gionale, con la conseguente possibilità di creare: conflitti ,tra le– gislazione dello Stato e della regione, basta a porre in essere un reale per'icolp antiunitario. La regione legiferante costituisce insomma un vero ente politico vivente nell'orbita dello Stato: e non si può fingere .di ignorare quali conseguenze deriva,no da questo fatto. · Già sul piano psicologico, con l'istituzione di una regione quale quella prevista' dal progetto di statuto, i tristi residui di particolarismo, assopiti ma tutt'altro che scomparsi, r.iprendereb– bero inevitabilmente vigore.' La tendenia dd borghese lombardo o piemontesé a considerar~i quasi dj razza ~uperiore rispetto agli Italiani al di sotto di guella che oigi si usa chiamare linea << gotica » la tendenza dei meridionali a rinchiudersi in un iso• lamento sospettoso di fronte ai presunti loro sfruttatori 1etten• - trionali, il campanilismo del Veneto che giunge, tra l'altro, fino alla ostentazione della pa,rlata- dialettale, e insomma tutti i noti e meno noti particolarismi riceyerebbero senza dubbio grande in• cremento, approfòndendo così i solchi tuttora esistenti, e in par– ticolare quello, così doloroso, che separa Sud e Nord. Ma .ben maggiore è i1 pericolo allorchè il particolarismo si estrinseca addirittura nel campo economico.·. E quando, ad· esem• pio, apprendiamo che la nuova regione dell'Emilia lunense re. clama la provin~ia della · Spezia per avere uno sbocco al mare, .o q~ando sentiamo che la Sicilia e la Sardegna, approfittando della semiautonomia di ,cui godono in regime di Alto Commi• sariato, già riescono a imporre balzelli e divieti di esportazione e di importazione, non, possiamo far a. meno di pensare che il regionalismo varato dalla Commissione dei 75 fatalmente, in un paese come l'Italia, costituirà una remora allo sviluppo della pro,. duzione e del commercio nazionale. "

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