Critica Sociale - anno XXXVIII - n. 18 - 15 settembre 1946

296 CRITICA SOCIALE per la sua sostanza intrinseca, per i riflessi inadeguati che ha sulla coscienza nazionale\ Che si ,tratti di elevazione de.I te nore di vita e ·di diffu_ sione della· cultura; di bonifica e.di vie di comunicazione; di modern,izzazione dell'agricoltura e di connesso s:vil4ppo in• dustriale; di educazione politica e di progresso civi.!e;·di ca• se, di ~cuole e di ospedali; di sistema tributario e doganale da rinnovare e d1 maggiore giustizia nella politica finanzia– ria e bancaria; che si tratti di condurre nel pieno del cir– colo dell<1vita moderna una importante parte del nostro pae- . se; su questo. siamo tutti d'accordo, e si fa presto a dirlo. I singoli problemi tecnici, che çondizionano l'intera 'questione, debbono essere oggetto dello studio serio ed appassionato _dei competenti [n ciascun campo. Ma, se s1 vuol giungere a risultati soddisfacenti, l'imposta– zione va fatta nel suo insieme. O, per essere più chfari; il quesito essenziale ·da porre è questo: con quale sistema si potrà affrontare e risolvere la questione? e chi sono coloro che potranno farlo efficacemente? Con ciò, finalmet1te, si rag– giunge l'aspetto umano, e, quindi, fondamentale del .pro· blema. Noi meridionali abbiamo constatato i· risultati disastrosi della politica accentratrice dello Stato italiano nel periodo di separazione dal Settentrione, quando si è potuto misurare in quali condizioni di effettiva soggezione e dipendenza noi vi– viamo per i b.isogni più elementari della vita. Allora, la no· stra au'to~ufficienza, dopo 50 anni di colonizzazione dispen– diosissima in Africa, è apparsa quasi pari a quella di una colonia. Pur avendo contribuito ·potentemente e-oni nostri prodotti, col nostro lavoro e con gli ste~tati risparmi, cop le rimesse dei nostri emigranti (che oggi sono la grande forza politica e morale su cui l'Italia· può contare nel mondo) allo svilup– .po del commercio •interno ed all'equilibrio di quello estero; noi meridionali sappiamo che una economia ed una· finanza polarizzaté versò il Nord hanno troppo 'spesso sacrificate le più deboli e ma:! difese energie del Sud. Ma non possiamo contare sulla speranza che cessi l'egoismo, fatale anche se non sacro, dei frateJ.li delle altre regioni,; così come non pos · siamo attendere dal persistere di un sistema ciecamente uni– .tario quel rovesciamento di indirizzo,. che sarebbe il primo ·passo di una politica volonterosa nei confronti del Mezzo– giorno. D'altr;i parte, una simile attesa _diaiuti e di interventi de– gli altri sarebbe il riflesso di una sfiducia in noi stessi, e la implicita accettazione di un giudizio di inferiorità che è smentito dalla storia di ieri .e di oggi. E' smentito· non solo e non tanto dalle opere dei grandi, che approfondirono ·l'or– ma dell'ingegno meridionale in ogni eampo dell'attività uma– na; non solo e non tanto dai segni dell'oscuro lavoro col– lettivo che operai e contadini, partiti· miseri e disperati dalle nostre sponde,, hanno saputo imprimere in tutto il. mondo, a dimostrazione di quel ·che possono fare non appeiia sono sottratti alle soffocanti difficoltà che in patria stroncano lo ,slancio della loro volontà e la temper~ della loro capacita; ma è.smentito qui stesso, dove la natura matrigna è combat– tuta o~i giorno in disumane condizioni di povertà di mezzi, di avversità e di ostacoli. . Una politica paternali~tJca, cui ha incliriato la J?igrizia spi– rituale e non la convenienza degli interessati, ha fatto fallì• mento; come è fallito, nei suoi stessi scopi unificatori, quel– l'accentramento che fu imposto in nome ,di una ma)e intesa tutela dell'unità della patria. L'Italia meridionale ed insula– re,. nella centra'izzazione che fu a base della Costituzione del nuovo ,Stato sorto dal primo nostro Risorgimento e che fu poi esasperata nel ventennio fascista, ha pagato gravosamen• te la contròpartita di alcun~ leggi speciali che sono state ·ad essa. elargite ogni tanto. Questa strada è sbagliata e bisogna · cambiarla. · ·La salute del Mezzogiorno sarà conquista dei meridionali. Molto probabilmente si parlerebbe meno di contrasto ·tra · Nord e Sud, se una opportuna autonomia avesse lasciato, nel -seno dell'unica famiglia italiana, dasc~na delle parti consapevolmente arbitra de'lle proprie sorti: - « La salute del Mezzogiorno non pµò essere che l'opera e, se occorre, la conquista dei meridionali »· - ebbe a dichia· rare !'on. Lucchini agli albori di questo secolo. Prima an• cora, cioè 84 anni fa, Carlo Cattaneo, di.scorrendo sul Peli– tecnico delle· necessità d_ella Sardegna,. e riportando il. di~ scorso al gener.ale, batteva sullo stesso chiodo: « Ciò. che 1m- . porta è aver gente che vi pensi, che vi pensi davvero, e che abbia costante interesse a pensarvi». Solo con !.'autogoverno degli interessati si'può raggiungere un :tale scopo. Non che io voglia: dire che l'autonomia sia il tocca-sana, sia il rimedio unico e sµ.fficiente per eliminare i mali··che af– fliggono il Sud; ma essa è la base e la premessa insostitui- BibliotecaGino Bianco bile di ogni altro provvedimento. E' come la cerniera che apre alla vita il contenuto finora compresso ed ignorato del– le energie profonde di nobilissime regioni. . Oltre i motivi tecnici e politici che la suggeriscono, ve ne è uno di carattere psicologico, il quale ne rende infinitamen– .te utile l'attuazione. ,'Con essa. non solo si darà possibilità di adeguare ordinamenti, amministrazione e disposizioni alle situazioni ambientali delle varie regioni; ma anche, e so– prattutto, si darà ai meridionali la responsabilità di provve· dere a.Ile proprie esigenze. Così, se non sapranno farlo ade· guatamente, non avranno che da imputarlo a se stèssi. Essi saranno avvicinati al gov.erno; forse non sbaglierei neppure se dicessi che saranno riconciliati con esso, poichè la distan,· za che separa il grosso delle popolazioni meridionali dal po– tere politico, concepito come completamente estraneo ad .es• se, è infinitamente maggiore che altrove. Uno dei più insistenti rimproveri ehe si fanno a tait 'po– polazioni è che si disinteressano della vita ·pubb.lica. Si attri– buisce ciò alla ignoranza di larghi strati· sociali, ad una· dif– fusa apatia ed a quello spirito di servilismo, che esistereb– bero tra esse a sintomo di inferiorità. I meridionali, ·si dice, preferiscono, per indolenza, lasciare ad altri la cura e la re– sponsabilità di decidere delle !oro sorti. Vi è in quelle spiegazioni soltanto la parte appanscente della verità. -Si trascura quell'intimo senso di çlisperata sh• ducia, di incredulità e di pessimismo, secondo cui, checchè si faccia, qualunque regime st affermi, per i meridionali si ·tratterà sempre ed unicamente di .cambiar padrone. Mutate le insegne è le intestazioni nei· pubblici atti, .il timone della· barca rimarrà ugualmente nelle mani di altri. Il potere ef- . fettivo è, così, lontano fisicamente .e moralmente dal contadi– no,dall'operaio ed anche dar piccolo proprietario e professioni~ sta· del Sud; costoro hanno una tale sensazione indistrutti– bile, della sua irraggiungibilità che, se dovesse rimanere in– tatta la centralizzazione· dello Stato, pur dietro il paravento di una modesta autonomià locale, essi non crederebbero mai di poter minimamente influire su di esso. Da ciò la mancan· za di qualsiasi stimolo ad interessarsene. Questo è il lato- più trascurato- della ·questione meridie– nale; ed è stato così perchè gli astri della politica, della economia e della finanza che se ne sono ·occupati ed han fatto testo finora, amavano tenerlo in ombra, per rendere un ulteriore servizio alla monarchia µnitaria, accentratrice, sospettosa di ogni autonomia. • Se vogliamo dare uno sguardo al passato, troviamo che il sentimento di estraneità dal governo della cosa pubblica si è consolidato attraverso una situazione storica, protrattasi, senza parentesi di ri!icivo, per millenni. Il Ghisleri sintetiz– zava felicemente una tale storia, nella relazione sulla « Que– stione meridionale» al Congresso Repubblicano del 1903, ·quando ricordava che il Sud, per duemila e cinquecento an– ni; è caduto passi;vamente da una dominazione ·all'altra. Vi' si sono succeduti da padroni: Greci, Romani, Bizantini, Nor– manni, Angioini, Aragonesi ; se lo sono disputato Francesi e Spagnoli, e poi s_onosopraggiunti i Borboni. Infine, a. coro– namento, i Savoia. Il Sud è stato sempre dominato, mai pa– drone di se stesso. E quale dominazione! Il ìsistema di op• pressione è s'tato uniforme da parte di tutti : legalizzare l'ar• bitrio dei pochi per_lo, sfruttamento dei più. . Così che, 'oggi; ~arebpero state ·inutili le lotte e le soffe– renze per spazzare, la ·monarchia, se la repubblica non por• tasse al capovolgimento della politica al riguardo. l\vvicinato il governo alle classi nostre della campagna, data loro la sensazione immediata della diretta influenza che potranno esercitare sul destino proprio e delle proprie cose, vedremo che esse porranno tutta la loro ostinata volontà a comprendere, discutere, intervenire decisamente' nella vita dell,p Stato. ' L'autonomia deve essere politica e non solo amministratj– va, entro i limiti di una salda unità nazionale, çhe non saril scossa, ma rafforzata, se ciascuna parte avrà maggiore li– bertà di movimenti per potenziare le sue energie, secondo il proprio genio particofare, le proprie tendenze ed attitudihi. Sj deve avere il coraggio di rifarè punto e da capo: total– ménte. Nè sarebbe legittima la sfiducia sulle capacità ammini– ~trative del popolo meridionale. Forse non è neppure .ne-· cessario, per la dimostrazione-di quanto dico, risalire a quel che ne ha scntto F. S. Nitti. riproducendo la relazione di Vittorio Sacchi, uomo di fiducia inviato da Cavour nel 1861 neJl'e:x: Reame delle· Due Sicilie, per riordinarvi' finanze ed amministrazione. Il Sacdìi, infatti, non aveva potuto fare altro che ammirarvi il sistema tributario, adegua:to alla na• tura del nostro ·patrimonio, il sistema amministrativo e l'or• ganizzazione bancaria. Tutto questo: purtroppo, fu poi di• strutto' dalla .indebitata e pesantissima amministrazfone pie– montese, che ha dato. struttu;a allo Stato italiano.

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