Critica Sociale - anno XXXVI - n.11 - 1-15 giugno 1926
CRITICA SOCIALE 163 tod,o. Buono o men buono che fosse, un metodo, con la sua logica,· con_ la sua continuità, con. la sua sper1- mentazione fino alle conseguenze conclusive e pro-· banti! · , No. Si iniziava un'opera cii organizzazione nelle cam– pagne: dopo. un poco, venivano gli ipercritici a spar– ger dileggio sulle illusioni e scherni sul gregge del «contadiname». Si seguiva una direttiva di ministe– rialismo: bisognava limitarla, mett~rle il preservativo, misurare i voti col contagoccie, fare de,l·malthusiani– smo (come oggi i socialisti francesi) e a vere, di un a tatlica, il danno e le beffe, e non i vantaggi. Si pro– clamava un atteggiamento di intransigenza: ma, « caso per caso», ma luogo per luogo, i contatti non cessa.– vano, i corridoi e le anticamere ministeriali non eran mai deserti di deputati ... t1ltra-rivoluzionarr, ~ quel «me– todo » non aveva esperimento nè pieno, nè sincero. Si gridava un programma di rivoluzione: e lo si preparava senza risolutezza, e lo si attuava... come nel 1919-20: sì da raccoglierne tutti i pericoli e le i.at - • ture, e nessun frutto. La stessa andata al potere - di cui il Hosselli, male interpretando una proposizione del compagno Treves in un suo noto discorso, ci imputa di aver, con poca coerenza, riconosciuto la impossibilità - fu resa inat– tuabile dall'estremismo, che poi, dal canto suo, non realizzava le sue promesse di conquista rivoluzionaria. Si doveva osare ugualmente? Può essere. Ma non fu colpa di masse incrostate a piccoli benefizi materiali, di Cooperative o di l,eggine protettrici. Se fu, fu colpa di capi, di uomini rappresentativi: e non questione di etica o di sentimento, ma di politica o di intelletto. Costoro furono troppo ligi alla disciplina unitaria del partito, ebbero troppo rispetto della maggioranza? Ma anche in ciò non fu spirito di bigottismo, o calcolo di. ·schivare responsabilità. Fu convinzione che, se l'asce- sa al potere non poteva essere un'avventura ministe– riale di uomini, consacrata all'impotenza, l'asc3sa al potere di un Governo necessariamente misto sarebbe soltanto riùscita efficace, quando tutto il partito o la gran maggioranza del proletariato organizzato avesse consentito ed avesse prestato ad un Governo misto la collaboraz:one più fiduciosa, entusiasta, convinta, fino al sacrifizio. Ora, a tanto tempo di distanza, sondando le espe– rienze seguìte di poi, e commettendo lo sproposito dia– lettico di sentenziare quali sarebbero state le conse– gùenze di un fatto non avvenuto, se avvenuto fosse, si può anche intuire che le masse, per quanto inebria– te dello spirito massimalista, avrebbero, riscuotendo in sè il non mai interamente morto spirito realistico, suf– fragato del loro favore un gesto di audacia. Ma è in– certissima la sapienza del poi, e il non averne tentato prima l'esperienza è responsabilità politica -di di'.ri– genti, che non si può tfrare senza arbitrio ingiustificato ad accusa del movimento proletario, guasto da una pre– dicazione e da una pratica di gretti vantaggi, svaporato di ocrni elevata coscienza rivoluzionaria, beatamente o cullantesi nell'attesa di placidi tramonti di istituzioni e di bonarie abdicazioni di classe, etc. etc. etc. Cerchino, i «giovani», di conos~ere addentro la vera storia del socialismo italiano, e di giudicarla, parte per parte e nel suo complesso, in giusta luce di tempi e di ambiente; e ne trarranno grande equità di giudizio, e sarà buon vantaggio per la causa comune. NOI. BibljotecaGino Bianco Il mito· .. ·ftella prod_uzione I diversi Governi che si succedettero in Italia dopo la fine della guerra, così lontani fra loro per i programmi e i metodi di politica interna ed estera, si trovarono però concordi nel giudizio sulla condizione necessaria e sufficiente alla ri– costruzione economica del Paese, impoverito dal lungo conflitto. Lo sperpero enorme di ricchezza l'indebitamento dello Stato, il danno dei rallen~ tati scambi internazionali non potevano, secondo i nostri governanti, trovare altro rimedio che non foss~ quello di uno sviluppo intensivo della pro– duz10ne. · Primo fu Nitti a lanciare la formula di sal– vezza: « Produrre di più e consumare di meno ». Ma di questo binomio, solo il primo termine fu adottato: il secondo non soltanto rimase lettera morta, ma fu sostituito da un imperativo opposto, quello di rifarsi, con una v.ita gioconda, çlella lunga astinenza imposta dalla guerra. Tutte le classi sociali vollerò migliorare allora il loro te- . nore di esistenza. · Sopravvenuta, per le classi lavòratrici, Tera delle vacche forzatamente magre, p:erdurò, anzi dilagò sempre più, nelle altre classi, il lusso, e la spensierata tendenza ad accnesoere i consumi di tutte le cose, anche più voluttuarie. Il primo termine, invece, come dioemmo., fu ri– gorosamente osservato, e fatto proprio da tutti i Governi successivi. A consigliarne l'adozione, si aggiunsero, alle consideraziòni di, 'ordine econo– mico, quelle di ordine demografico. L'Italia, si disse, contiene più. uomini di quanti possa nu– trire, e il loro numero aumenta in ragione di quasi mezzo milione ogni anno. Come li potrà sfamare, come potrà evitare una paurosa disoccupazione, se non moltiplicando le ,proprie· industrie, se non accr~soendo indefinitamente il numero delle. fab– briche cbe impiegano maestranze operaie? Così, dall'incremento della produzione si aspettavano infallibilmenbe tutte queste forlune: la scomparsa della disoccupazione; la possibilità di far fronte,, con l'esportazione di prodotti manifatturati, al– l'importazione inevitabile di grano, di carbone,. di cotone, di petrolio, di forro e di altre materie gregge; il modo di provvedere le divise •estere occorrenti al pagamento degli interessi e delle quote d'ammortamento dei debiti statali verso l'E– stero; e, infine,, la conquista dei mercati mon– diali, facilitata all'industria italiana dalla svalu– tazione della nostra moneta e - da tre anni in qua - dalla legislazione sociale e sindacale osta– colante le agitazioni operaie. Quindi il prodigioso crescere dell'investimento di capitali nelle industrie, che in pochi anni salì da dieci a trentacinque miliardi di lire. Quindi an– cora l'espansione tecnica e finanziaria delle sin– gole aziende, le favolose immobilizzazioni in fab– bricati e in macchinario, l'emissione a getto con– tinuo di nuovi titoli azionari, di nuove obbli– gazioni, l'accensione di debiti-con l'Ester-o, insom– ma una forma di « inflazionismo industriale » che venne ad aggravare l'inflazionismo monetario già in atto. Il quale ultimo, alla sua volta, •era pur esso una conseguenza, e forse la più funesta, della ele– fantiasi pr-oduttiv8c, della esagerata fioritura indu– striale. Una industria fortemente sviluppata esige una grande abbondanza di ca_pitali: di capitale circolante, per paga.rie stipendi e salarì e materie aregge; di capitale fisso, cioè di somme da impie– ~are in impianti e in istrumenti di lavoro. Se la ~icchezza reale del Paese non è sufficiente a que– sti cr-esciuti bisogni, si supplisce creando una ric– chezza fittizia, cioè stampando biglietti di Banca.
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