Critica Sociale - XXXVI - n.8-9 - 16 apr.-15 mag. 1926
CRITICA SOCIALE 117 parte puramente storica e documentaria. Non è nn riassunto del libro che intendo fare, bensì una s1;>eciedi estratto Liebig, il quale mi auguro possa p~acere ai cucinieri che hanno per còmpito di for– mre al proletariato l'alimento spirituale. È una teoria sgorgata dalla pratica e collaudata da una quadrilustre esperienza. I Convien ricordare che il movimento operaio ita– liano è di origine rivoluzionaria e che è stato in ogni tempo ispirato da un « credo » politico ete– rodosso. Che i suoi ispiratori si chiamassero Maz– zini, o Bakunin, o Costa, o Turati, non conta. Ciò che va rilevato si è che le associazioni non anima– te da idea1ità politiche non fanno parte del movi– mento di cui ci occupiamo. Anche il sindacalismo cosidetto riformista, in quanto mira alla totale li– berazione del proletariato, è rivoluzionario nei fi– ni, cioè contrario alle istituzioni cap·italistiche; è, in altre parole, politico. Tolta la nieta ideale, la finalità rivoluzionaria, non si può più parlare di sindacalismo in senso stretto, ma di corporativi– smo, il quale può ei;sere, all'opposto, rivoluziona– rio nei' metodi e conservatore o agnostico in poli– tica. Poichè, dunque, furono in ogni tempo i partiti rivoluzionar1 a suscitare il movimento operaio, non apparirà strano se questo è stato sempre un fatto subordinato al fatto politico: Giuseppe Maz– zini si adoperò per federare le « Fratellanze », da lui fondate, in una vasta organizzazion_e naziona– le, che, secondo i suoi intendimenti, avrebbe do– vuto facilHare la soluzione del problema sociale, riunendo il la varo e il capitale nelle stesse mani; ma il suo tentativo non sortì esito felice, causa l'immaturità dell'ambiente. La propaganda maz– ziniana non poteva essere compresa che dalle mi– noranze più colte, delle città, mentre il socialismo, col denunziare gli antagonismi di classe e col pre– dicare la solida.rietà fra gli oppressi, trasse facil– mente le grandi masse operaie e contadine alla ribalta della storia. La meravigliosa fioritura di Leghe e di Camere -del lavoro, che il 1901 ci presenta, era stata pre– ceduta da una larga seminagione di idee socia– liste in un'epoca particolarmente favorevole ario– ro germoglio. Per un certo tempo 1~ resistenza sembrò non essere altro che il socialismo in dive– nire .. Senonchè il socialismo parlamentare, con alla lesta la social-democrazia germanica, tena– cemente abbarbicalo ·al concetto che il Sindàcat.o fosse utile se ed in quanto era di ausilio all'azione politico-parlamentare del partito, tendeva a su– bordinarlo a sè o almeno alla sua particolare con– cezione rivoluzionaria. L'azione direlta, preconizzata dal sindacalismo rivoluzionario, altro non è stata, in fondo, che la reazione alla pratica troppo elettorali.stie~, e for– se, più ancorà che ad essa, a quel generico pessi– n!ismo che parlava al non fare ed all'attesa mes– sianica dell'evento rivoluzionario. Quale fiducia si può riporre nell'azione sindacale se si è convin– ti a priori che essa non modifica i rapporti di clas– se e non riso I ve il problema sociale? Il movimenlo operaio non vive che per l'azione. Si può credere che la ginnastica scioperaiola sia un non senso e l'espropriazione violenta dei capita~ B ,b 1 . listi un~t<>_pia...,manon si può negare che il sin– I 101eca \..:J I rTo tj1,anco dacalismo rivoluzionario ha servito a correggere -l'eccesso parlamentarista e a infondere nei lavo– ratori quella fiducia in se stessi e .quella volontà di azion~, per le quali soltanto potranao· essere qualche cosa nel mondo. Comunq_ue è certo che, allorquanq.o i nostri più autore-voli organizzatori meditavano di costituire la Confede,razione del Lavoro, obbedivano preci– samente al bisogno di fare, di muoversi nella real– tà della vita, di allentare le ritorte che tenevano l'organizzazione avvinta ad un troppo dogmatico verbo politico. Essi intuivano la necessità di fare una politica sindacale autonoma. Erano dei buo– ni riformisti ligi alla corrente di destra del partito, ma propendevano a valorizzare il Sindacato met– tendolo alrp.eno alla pari col Partito. Le revisioni di destra e di sinistra operatesi in quel turno di tempo non avevano lasciato indifferente il prole– tariato italiano. L'azione diretta non aveva affatto bisogno di es_pliçarsi nella forma dello scio_perori– vdluzionario, ed essa appariva come un'integra– z10ne C1eI1'azionemediata, parlamentare. 11 Principii fondamentali del Sindacato Il Sindacato (?peraio moderno fu variamente de– finito da tutti coloro che lo studiarono. Economi– sli, &ociologi, storici, uomini politici, organizza– tori ne fissarono i caratteri e gli scopi ·con una formula rispondente più o meno ane loro parti– colari opinioni e concezioni. Nella stessa parola « Sindacalo » ( o « Lega ») è implicito il concet– to di ,una associazione fra gente della stessa condi– zione, che intende procurare a se stessa dei mi– glioramenti. Il Sindacato è « l'impr-esa dei miglio– ramenti », i quali non sono delimitabili a prior;. Il Sindacato non si forma se non vi è negli operai l'intenzione di lottare contro lo sfruttamento ca– pitalistico. Il Sindacato deve quindi incardinarsi su questi principii: 1) La solidarietà fra lavoratori è tanto più produttiva di effetti benefici quanto più è estesa. Il primo vantaggio che gli operai traggono· dal loro associarsi in Sindacato di resistenza è di ri– durre al minimo la concorrenza tra loro stessi, rendendo più difficile il peggioramento .delle loro condizioni anche se rimangono in atteggiamento passivo. La piccola Lega isolata offre scarsa ca– pacità di resistenza ed è sprovveduta di qualsiasi forza per svolgere un'azione attiva, specie dopo che gli imprenditori si sono organizzati a loro vol– ta. C'è, dunque, uno stretto rapporto fra i successi o gli insuccessi delle lotte del lavoro' e l'ampiezza e l'unità dell'organizzazione. Il verificarsi di questa prima condizione influisce vantaggiosamente an– che nel senso di diminuire il costo delle conquiste operaie, perchè basta la presenza di una forte or– ganizzazione ad ,eliminare molte cause çii con– flitto. 2) Ma il rendimento dell'organizzaziol!e non dipende sollanto dal numero, dall'affiatamento e dalla combattività degli.organizzati. Cosliluiscono altrettanti elementi di successo l'abilità dei capi, la disciplina e lo spirito di previdenza dei grega– rì. Se una controversia sbocca nello sciopero o nella serrata, le probabilità maggiori di vittoria sono per la parte che è in grado di resistere di più e di infliggere un danno alla parte avversa. È quindi necessario che l'organizzazione sia forte
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