Critica Sociale - XXXV - n. 11-12 - 1-30 giugno 1925
134 CRITICA ,SOCIALE preoccupazione paurosa del domani, nel quale lo sconoscimento di ogni loro utilità si presenta quale minaccia di negato diritto alla vita. Il .ri– volgimento sociale, minacciato come il mitico mil– lennio, si profila così oscuro e spaventoso nelle imaginazioni: e intanto il disagio della vita si · aggrava di giorno in giorno per le incomposte agitazioni e interruzioni continue dei pubblici serviz1, per l'aumento del costo della vita, cui le classi medie in gran parte sono impossibilitate a far fronte; mentre il tenore della vita operaia mo– mentaneamente si inalza,· per l'aumento dei sa– lari e la limitazione degli orari di lavoro. Umiliate dalla inferiorità cui si trovan ridotte, le classi me,die veggono nell'avvilimento di simile inver– sione delle rispeltive posizioni anteriori un an~ ticipo della futura sorte angosciosa, che una ri– ·voluzioné minaccia loro; e la disperazione le spinge a reagire. Il primo movimento fascista nelle città è, sopra tutlo, insurrezione di c1assi me– die, alla riscossa contro il temuto rivolgimento. sociale e contro _ogni offesa e minaccia alla pro-· pria ragion d'essere, alla propria posizione ge– rarc11ica, alle proprie ideologie. Ma la delusione rapida di una politica a ser– vizio della plutocrazia, che offende c"oi suoi me– todi il bisogno organico di libertà e di ordine giu– ridico, connaturato alle classi medie, e il dile– guarsi dei fantasmi .paurosi che le- avevano os– sessionate nel periodo dell'incomposto e ·caotico fermentare dei malcontenti e delle inquietudini proletarie, hanùo operato ben presto una muta-– zione profonda, permettendo una più serena e · reàlistica visione e valutazione delle cose, e un ritorno alla coscienza di solidarietà materiali e spiritùali con fa classe lavoratrice. Le classi me– die cittadine tornano in maggioranza a gravitare nell'orbita della democrazia, e ad accostarsi al socialismo: perciò il problema dell'atteggiamento v~rs.o·di loro si pone dinanzi ai partiti proletari; ed è· sentito nella sua gravità dagli stessi massi– malisti, che non si nascondono (Avanti, 31 mar– zo 1925) che senza la simpatia e con l'avversione di questi ceti sarebbe impossibile al proletariato ogni conquista del potere. b) Esercenti ed artigiani. Nella discussione del problema, conviene anzi– tutto sgombrare il terreno da quei gruppi che sono inscindibilmente legati al capitalismo. Me– diatori, avvocati di affari, e simili professionisti, la cui funzione sussiste solo come strumento del– l'organismo ca"pitalistico, potranno anche talora, individualmente, per cause accideRtali, aver sim– patie per il proletariato; ma, come ceto, non pos~ sono che gravitare nell'orbita di quel sistema, che crea e mantiene la loro ragion -d'essere. ,. D'altra parte gli esercenti e gli artigiani, in -quanto tali, si trovano in una posizione alquanto oscillante -ed•ambigua. La loro funzione si ~sercita in rapporto alla clientela, dalla quale pertanto non possono straniarsi e disinteressarsi: sotto questo rispetto l'ascensione economica delle grandi masse, l'elevazione generale del tenore di vita della popolazione, sembra assicurare una base più larga e più sicura ~Ila fortuna economica e alla forza sociale di quelle classi, che non do– vrebbero pertanto esserle ostili, m,a vederla con simpatia. C'è però· il rovescio della medaglia. Non tanto per il fatto che gli esercenti sono le– 'gati al capitalismo per il credito, senza del quale non possono fare, e gli artigiani essi pure, seb– bene in minor grado. Più importanza ha un altro fatto. L'elevamento del tenore di vita delle masse dal quale è condizionato l'eventuale eslendersi ~ i~t~ns_ificarsi della domanda, per esercenti ed ar– hgiam, da parte della clientela, rion si produce BibliotecaGino Bianco se non per mezzo di una organizzazione ed azione di classe; che da una parte mette gli artigiani, aventi dipendenti salariati nella loro azienda, in conflitto con e!'isi e quindi con, le aspirazioni e rivendicazioni proletarie; dall'altra associa all' a– zione di resistenza quella di cooperazione (di pro– duzione e di consumo), che tende ad elimirrare artigi:;ini ed esercenti del pari, restringendo via via -sempre più il loro campo di attività. Ond'è che, ùrtati e minati nei loro interessi, essi sono portati a rivolgersi contro il movimento proleta– rio: e le distruzioni di aziende cooperative ope– rate dal fascismo, e le dispersioni di mezzi di produzione e di consumo, in esse accumulati con . sacrifici costanti ed assidua fatica del proletariato, hanno avuto solitamente per attori o inspiratori individui appartenenti ai ceti degli esercenti e degli artigiani. Tuttavia questi ceti ·risentono la instabilità ed incertezza della loro posizione, soggetta ad oscillazioni continue a· seconda del variare delle pond'izion4 dei mercati, della produzione, del cre– dito e della valuta, e presa nella morsa della con– tradizione, fra il bisogno che hanno di un mi– glioramento economico della loro clientela e il verificarsi di una azione eliminatoria verso loro stessi nella lotta per la elevazione proletaria. Man.ca pertanto in essi q'Uell'altaccamento tenace al proprio stato, che caratterizza i medi ceti agrarì. La fame .di terra di costoro non ha negli artigiani ed esercenti l'equivalente di una fame di officina o di bottega propria. Essi accettano spesso, e con facilità, di diventare impiegati di altre aziende maggiori; o salariati di otficine in– dustriali, quando veggano che sia possibile con– seguire per tale via il vantaggio di una maggiore · sicurezza e tranquillità di vita. E per questa ragione, se non è possibile averli alleati o amici, fin che l'azione proletaria abbia ad urlare inevitabilmente i loro interessi, non ·è a supporre in loro un'ostilità irreducibile e inelimi– nabile per un programma di socializzazione. Sa– ranno avversar1 nel. corso della lotta; ma s:i ri– concilieranno senza troppa difficoltà,. all'indo– mani, coi vincitori. c) I ceti medi intellettuali. Le -basi reali del loro orientamento sp.iritue.le. · E veniamo ai meài ceti inteliettuali dei profes– . sionisti e degli. impiegati. C'è fra queste due ca– tegorie una differenza non trascurabile: che dove . gli uni, nelle oscillazioni del costo della vita, hanno una possibilità di immediata rivalsa sopra la clientela, gli altri, specie gli impiegati pubblici '( che debbono mettere in moto, per le variazioni di stipendio e di carriera, tutto un pesante e far– raginoso meccanismo, e. lottare contro le_ limita– zioni dei mezzi dispònibili) sono vittime più pron– te e doloranti della svalutazione della moneta ( 3). Ciò li pone (è vero) in quella condizione di nuove plebi, di cui parlava Treves, per la discesa verso una miseria non meno accentuata di quella del proletariato; ma non genera in essi tanto una fratellanza di dolore e una solidarietà di coscienza con questo, quanto un senso di rammarico, che (3) Massimo Fovel, in Rivoluzione_liber_a!e del 19_arr_ile1925? fonda essenzialmente su questa d1vers1ta una d1v1s10ne dei cel1'medi in appartenenti al gruppo dei produttori (che, adem– piendo un lavoro utile, possono. sviluppare una loro propria azione di elevazione e di emancipazione) ed appartenenti alh classe clei consumatori: gli uni animati dall'idea, eminente– mente progressiva, di lavoro, e orientabili verso una democra– zia che non si rifiuterà a nessuna esperienza storica desunta da tale idea; gli altri animati dall'idea, fondamentalmente con– servatrice, perchè parassitaria, di consumo. Non so condivi-. dere tale divisione: per la quale ad es. l'ingegnere è pr-0duttore se libero professionista, consumatore se del genio civile o , delle ferrovie; e così il medico o l'avvocato etc. Quindi anche le conclusioni politiche mi paiono infondate. ·
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