Critica Sociale - anno XXXV - n. 9 - 1-15 maggio 1925

120 cnt1.'ioA soot.A.L:m ghilterra a volere sinceramente la pace e ra concilia– zione europea e a volere la politica dell'arbitrato là dove essa è fin d'ora già possibile, lascia_ndo che il tempo educhi i Dominions a trovarla conveniente an– che là ove ora non sembra tale. Tali sono le ragioni 1 in vir.lù delle quali la repulsa del Protocollo di Gi– nevra da parie sua è in so_stanza un modo di isolare Je varie questioni per affrontarle l'una dopo l'altra Iungo la linea della minor resistenza, e non ha nulla a che fare con le derisioni sarcastiche lanciate ai prin– cipii cardinali - e non solo alle incidentali deficienze - del Protocollo dal nazionalfascismo italiano e tlal capo del Governo. Nell'ultimo suo discorso alla Camera dei Comuni, il Chamberlain ha anzi lasciato intravve– dere che, per conto suo, sar~ felicissimo di poter e– stendere la sfera d'applicazione dei prfncipii dell'arbi– trato pur là ove ora, seoondo il Protocollo, sarebbe :Im– possibile. Ogni Governo inglese_ 1 anche oonservatore, sa che una politica la quale conducesse a una grave crisi, in cui il Governo rifiutasse di sottoporre una. data questione all'arbitrato o non accettasse un ver– detto arbilralP, non troverebbe soldati per -la_sua ese– cuzione, franlumf'rebbe l'Impero e rovinerebbe il par– tito e il Governo che se ne rendesse responsabile. Un Governo conservatore potrà differire eia uno li– berale o Jabourista nell'esser più lento ad abbandonare le idee diplomatiche del passato, nell'attenersi alla let– tera più che aUo spiri lo dell'adesione alla Lega, ecc., ma nelle liuee direttive vitali e nei momenti critici non_ può più agire diversamente. E questo è. ciò che differenzia la politica estera britannica dall'italiana. La britannica è semplice f' chiara, imposta da circostanze definite e permanenti, economiche e politiche: una 00111 pagine di 430 milio– ni d'abitanti, sparsa su un quarto della superficie ter– restre e sparpagliala in varì continenti, non può es– sere tenuta unita se non da 11na politica pacifiea, che non susciti il minimo dissenso interno. L::i. po– litica estera italiana attuale, pur quando non è in– trinsecamente cattiva, è militante e militaristica, co– me quella del J{ai$er, che ad ogni momento agitava Ja sciabòla nella guaina; è una politica cli rassegnazione provvisoria ed irritata ai metodi e alle ideologie della pace basala sul consenso di lutti ed evolventesi di comune accordo; senza le risorse di cui godeva la Germania imperiale per giunta! E per cli più è una politica estera, che non emerge o non si vede· che · emerga dalla coscienza del Paese, il quale non è nean– che libero di discuterla, e forse non capisce e non si cur.a riemmeno di capire ov'essa conduca! ANGELO CRESPI. Il PR~Blf MA Dtllt [lA~~"I MIDI[ Necessità di definire e distinguere. Fervono oggi, nel campo socialista e fuori di esso, le discussioni intorno al problema delle clas– si medie e ctei loro rapporti, attuali e futuri, da una parte con le classi capitalistiche e plutocrati- .. che e colle t~ndenze politiche di conservazione e reazione, -dall'altro col movimento proletario e con le aspirazioni progressi ve e le rivendicazioni socialiste. Ed io ho ragione, sotto un certo rispet– lo, di compiacermi d'avere rinviata fino ad ora la trattazione di questo problema, che già da un paio d'anni a .questa parte intendevo compieré sulle colonne de1la Critica so.eia/e) sentendone di -giorno in giorno crescere l'interesse e l'importan– za. Oggi il fervore del dibattito, effetto naturale della ayvertita urgenza del problema, risveglia la consapevolezza di questo in tanta gente, che rico.:. nosce la realtà viva e il peso di una questione solo BibliotecaGino Bianco quando sente il rumore delle dispute. Quando fat– tenzione è risvegliata, i tentativi e gli sforzi di chia– rificazione corrono meno il riscllio di cadere nel vuoto: e che di essi ci sia tuttora bisogno appare dal fatto stesso che non c'è ancora un accordo si– curo neppure sulla determinazione precisa- del– l'oggetto della disputa. Che cosa si deve intendere· per ceti e classi medie? Uno scrittore di Rivoluzione liberale ha sostenuto una tesi alquanto paradossale, che me– rita di essere richiamata. Non esiste ancora in Italia un ceto sociale individuale ed autonomo,. (egli sostiene), cui si possa dare il nome di cetq medio; è mancata fra noi una rivoluzione liberale e una classe borghese capace di difendere la li– bertà, come ebbero invece Germania, Francia e Inghilterra·; ma questa classe media, 'gllardia del– la libertà) si vien costituendo fra· noi nel proleta– riato industriale organizzato, che nori è più il Quarto Stato, oggi, ma il Terzo Stato, che fu nulla e sarà tutto. Ceto omogeneo, relativamente colto, non più miserabile economic~menle ed es·ercitato nelle lotte.politiche, esso non può essere più rele– gato fra i ceti umili e le classi abbiette; nel quarto stato invece van cadendo i ceti inlellettuali di im– piegati, prÒfessionisli, ecc. In questa tesi-paradossale di Angusto Monti è un'esagerazione di un concetto caro al Missiroli: _che alle vecchi,e · classi medie intellettuali altre . nuove siano andate sostituendosi, venute su dal cooperatjvismo e dalla organizzazione economica promossa dal socialismo. li criterio di disUnzionc, che il l\,Jonti adotta, per distinguere i ceti medi dalle classi umili, il terzo dal qua11o stato, è nt>l tenore di vita e nel grado di sviluppo della co– scienza politica; ma se la conquista di consape– volezza e di meno bestiali condizioni di esisten– za debba differenziare la classe media dalle altre, vien meno la distinzione fonçla.ta sulla reciproca posizione e sui vicendevoli rapporti di interessi e di finalità ·e di aspirazioni fra le varie classi sociali. L'interesse e fo sforzo del proletariato or– ganizzalo è di elevare ad ugual .grado di orga– nizzazione e cli consapevolezza i più umili e di-– seredali, per cosliluire l'_unità compattà è formi– dabile della classe, aspirante all'abolizione dei privilegi e delle divisioni di classe. Ora, social– mente e storicamente, la classe è. costituita dalla sua funzione e.posizione nella economia e dall'a– zione politica e dall'atteggiamento spirituale che a quella si accompagna. E per ciò, come ve– dremo, si deve parlare di ceti medi o classi inedie al plurale e non al singolare, distinguendone cioè . una moltiplic~tà irreducibile e ben differenziata; ma, sempre, l'espressione classe media deve si– gnificare l'occupazione di una posizione interme– dia (economicamente e spiritualmente) fra il pro– letaria lo da una parte e la borghesia vera (capi– talismo agrario e industriale e plutocrazia finan– ziaria) dall'altro. La medielà della posizione non può stare ne.Ila misura dei mezzi finanziari di cui gli appartenenti al ceto medio dispongano; non può stare nel tenore di vita e nella quantità di agi che si concedano: misure variabili e oscillanti a seconda di circostanz·e individuali e generali, relative alle condizioni dei mercati, allo sviluppo .della concorrenza, al valore della moneta, all'or– ganizzazione per la conquista di migliori patti d'impiego e di stipendio, ecc .... Ma sta invece nel genere della funz,ione sociale esercitata, nelle con– dizioni che essa implica e in cui si svolge, nei rapporti che viene a generare con le altre classi sociali, e nell'orientamento spirituale, quindi, che viene a determinare con la formazione delle ideo– logie proprie e caratteristiche delle. classi stesse. E solo questa medietà comune fra i due estremi permette, nonostante le differenze irreducibili di

RkJQdWJsaXNoZXIy