Critica Sociale - anno XXXV - n. 9 - 1-15 maggio 1925
116 CRITICA ~OClAff~'E di una immensa campana, riempiscono gli spazi e svegliano tutti L dormienti. L'on. Mussolini mai potrà sottrarre all'Italia gli echi del primo mag– gio estero. È impresa che supera tulle le' sue pos– sibililà, che sfida la sua onnipotenza. La sua leg– ge è troppo territoriale. E neppure lo è abbastan– za. Mentre il primo maggio nel porto di Genova le sorvegliate corporazioni italiane accudivano a] lavoro usalo, con rassegnazione schiavistica, su– gli alberi delle navi estere -anco·rate si issavano i palvesi, dai ponti si spiegavano i canti festosi dei marinai e sosta\:a l'opera dél carico e dello scarico. Il paragone accorava i nostri, rìon li di- .straeva dall'idea, l'idea anzi si fissava, inquieta, esasperante nel tumulto intimo di una grande mortificazione, di una grande ingiustizia che li degradava in confronto dei compagni dell'ampio mondo. Che rispondere infatti alle voci di invito e di meraviglia di quei lavoratori stranieri? Che gli italiani hanno adottato un altro givrno da con– sacrare al lavoro; il natale di Roma? Ma tutte le nazioni hanno un loro genetliaco da celebrare, senza che esso escluda il giorno proprio destinalo alla cel_ebrazione del lavoro da emancipare: un calendimaggio della classe ritualmente costituita . oltre le barriere statali fra tutti i figli della s'er– vitù capitalistica, aspiranti alla redenzione del la- ' voro. U,a festa del 21 aprile, quanto si voglia au– gusta per sè e per le reminiscenze virgiliane, sia pure per deèreto consacrata alla apoteosi del La– voro, non ,esprimerà nella sua intenzione che l'e..: saltazione della potenza del lavoro considerata come virtù produttrice, sarà come l'idoleggiamen– to di u.n'altra forza della nalura più consapevole e apprezzata. Ma ciò non cesserà di essere, in doppio modo, inutile ed insufficiente; prima pet– chè, anche la· celebrazione del lavoro· in sè, trat– tandosi di un fatto universale, non può avere una forma etnicamente limitata; secondo, perchè l'i- . dea, che vince il mondo e domanda rito mon– diale non è l'idea del lavoro-potenza, ma l'idea del lavoro-potenza da liberare dalle catene del capitale. Questo, anzi, è il contenuto essenziale e principale -dell'idea e nari è sostituibile. Per– ciò il V,enturr Aprile. non sostituisce il Primo Mag– gio, in quanto che, se pure il 21 aprile rende onore al lavoro come forza della natura e fon– damel).to di ogni fortuna della patria, non con– templa il lavoro in rapporto della presente forma economico-politica in cui viene sfruttato .e così sembra consacrare per f'eterno la forma vigente. Sotto tale aspetto il 21 aprile non solo non sostituisce il prfmo maggio, ma si aderge in con– trasto d~l primo maggio. In questo, la classe la– lavoratrice internazionalmente unita denunzia il regime capitalistico di produzione; nel « 21 apri– l_e» il regiµie capitalistico è fuori di causa, e il non essere oggetto di accusa lo suppone oggetto di ossequio. Ora ciò è nettamente antistorico. Non occorre, ·infatti, essere socialisti tesserati della tes– sera unitaria, o di alcuna al tra, per riconoscere che tutta la storia del lavoro si caratterizza dalla costante e perpetua volontà del lavoro di arri– vare a fare proprii i proprii frutti, riducendO' nelle sue mani il dominio dei mezzi e <leali stru– menti della produzione. Dallo schiavo dill'epoca pagana al servo medioevale; dal. servo medioe- , vale al salariato moderno la marcia del pro– gresso è se.s,nata dalla crescente libertà nel la- BibliotecaGino l:jianco . voratore di garantirsi sulla produzione una parte sempre più proporzionata alla sua fatica. Questa · marcia che si illumina di consapevolezza sem• pre più grande ad ogni tappa, si infervora nell'i– deale di consolidare un dì il l,avoro e il capitale nelle. stesse mani. Quella sarà la libertà piena, assoluta dell'uomo, a cui impetuosamente sospin– gono le libertà particolari che furono il labaro delle grandi rivoluzioni, dalla libertà morale, glo-:– ria del cristianesimo, alla libertà civile e politica, gloria della enciclopedia e dell'era democratica borghese: sempre gli uguali sotto un punto si appoggiarono su questo punto per diventare uguali sotto gli altri. È la lattica che non fu mai discussa in alcun congresso, trionf ala dalle pro– fondità dell'istinto storico di classe, in cui liberlà e uguaglianza sono concetti - e fatti - equiva– lenti, di uso promiscuo, che si · rappresentand nella formala: la libertà è soltanto tra uguali ... Di qui è chiaro l'arbitrario della dislin– zione tra la questione politica e la questione eco– nomica del proletariato.- Se anche - ed è inso– stenibile ne1le presenti circostanze di intollerante imperialismo fascista - si potesse credere che il « 21 aprile» consacri l'uguaglijlnza politica dei cittadini italiani, i lavoratori italiani non po– trebbero non affermare col « 1. 0 maggio» la loro volon,tà di uguaglianza economica, all'unissono dei voti e delle speranze del ptoletariato inter– nazionale.' Nè in ciò è lesa per gli italiani l'idea della nazio– ne più che lo sia per tutti i lavoratori degli altri paesi. L'idea di nazione è un'idea che si amplia, che si integra ed amplificandosi ed integrandosi si sostanzia di contenulo·universale ed umano. Il concorso solidale internazionale degli sforzi per l'elevamento della classe operai.a torna in incre- . mento -della nazione, come - ove fosse possibile - la loro assoluta separazione lascierebbe coloro, che si fossero stroncati da quel concorso, in·con– dizioue inferiore, la -quale sarebbe di netto detri– mento del valore assoluto della nazione nel si– stema sempre più complesso d~lla vita interna– zionale. Lo stesso diritto· positivo det trattati tra· gli Stati conferma già l'evidentissimo fatto. Il « primo maggio » recò già sulle sue bandiere la ;rivendicazione solenne della giornata. normàle di otto ore, che, per la sua natura, non poteva pro– porsi se non in forma internazionale. Ora, sia quanto si voglia in fatto disputala e frodata, la Convenzione di \Vashington, che l'Italia ha rati-. , ficato, ha consacrato la vittoria di quel -po– stulato. E pure recenlcmenle, nel nostro ul– timo numero della Critica Sociale avevamo oc– casione di Qsservare come il- Trattato di Ver– sailles, comecchè tutto fremente di .aspri spi– riti nazionalisti, concepito come fiera legge di vincitori imposta con la spada sui vinti, si apre e si chiude con due affermazioni singolarmente internazionaliste, il Convenant della Società delle Naz_ioni e l'Ufficio Internazionale, del Lavoro. E basterebbe questo secondo, questo unico istituto a fissare in modo incontrovertibile il riconosci– mento che la questione operaia è questione inter– nazion~le. E se lo è, mal potrebbero. gli Stati fir– matari contendere ad alcuna classe operaia il di– ritto di· dedicare un giorno éomune alla gloria del movimento, in cui tutte solidalmente sperano ed operano. La contraddizione e la sua incon– gruenza nòn sarebbero che troppo palesi.
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