Critica Sociale - anno XXXV - n. 8 - 16-30 aprile 1925
10.0 cn.lTlCA ·SOCIALE P ossibilità di O'CSlire<la sè le imprese, senza l'inter– o . vento del capitale privato. Questo (mirabile cosa!) re- sterebbe in tale guisa contento e gabbato, espropria– lo e non espropriato, cioè rispettato come proprietà -privata, ma, nel medesimo tempo, reso inutile ed im– ,produttivo per i suoi posse~ori. Gli operai farebbero ai capitalisti allegramente le fiche, dicendo loro: • ma· sì; teneteveli i vostri capitali: noi non sappiamo che farne». Noi socialdemocratici dell'anno 1925, ammae– sirati c1a· sessan't'anni di esperienza, la sappiamo in– vece alquanto più lunga dell'ingenuo Lassalle_, • Abbiamo già detto che la legge bronzea del salario, per la quale l'operaio non potrebbe guadagnare mai più di quanto gli è strettissimamente necessàrio per vivere e riprodursi, è frutto di un falso ragionamento, del I,.~ssalle. L·a classe operaia può invece benissi– mo aumentare il suo reddito nei limiti, s'intende, del– l'effettivo prodotto sociale netto. Essa lo può aumenta– re a scapito dei due ceti restanti, ossia dei capitalisti veri e proprì e dei borghesi non cap_~talisti, i celi mecfi. (• Legge bronzea » sarebbe, se mai, quella per cui se restano costanti sia la quantità totale del. pro- ' . dotto sociale netto, sia la proporzione con cu'.i tale prodotto netto resta diviso fra i tre ceti: capitalisti, operai e ceti medi, crescerà tutt'al più il ·salario nomi– nale degli .operai, ma quello reale no. In tutti i modi tale legge bronzea non ha niente a che fare con quel- ,la' di Lassalle). . Da ciò segue, .che gli scioperi e la cooperazione- cli· consumo non sono affatto buchi nell'acqua e pallia– tivi inutili, oome opinava Lassalle. Anzi. E dico ,~ au~ zi », perchè le oose stanno proprio all'opposto di quel cht> credeva Lassalle .. L'azione politica non è affatto il rimediù ucro sostituito al rimedio fallace degli scio– peri e della cooperazione di consumo, 1:na.serve a fiancheggiare e integrare questa azione economica. Proprio così. Infatti a che servono gli scioperi, se la Borghesia insediata al Governo li pPoibisce? A che servon 0 le Cooperative, se 1o Stato, venendo meno ai suoi più elen'lentari doveri•, anche qui borghesemente intesi, permette a delle masnade assoldate di incendiar-. le e ,distruggerle? A che serve ottenere salari nominali più elevati:-, se. lo Stato stesso, mercè la protezione doganale, la svalutazione della moneta, le imposte sui consumi, necessarie a coprire lo sperpero dei suoi spas– si imperialistici, ritoglie alla classe lavoratrice i bene1icì faticosamente conquistati in cento batta-glie del lavoro? Ogriuno vede perciò che noi siamo. socialdemocra– tici per una ragione profondamente diversa, anzi op– posta, da quella di Lassalle. Non, cioè, perchè noi disperiamo dell'azione eoonomica nell'àmbito e sul ter– reno del sistema capitalist;ilco, ma perchè noi siamo compresi <lelrass 0 luta necessità che tale azione venga fiancheggiata ed integrata _dall'azione politica. Ma vi sono altri due punti deboli nella ooncezione socialista di Lassalle, ~ cui è necessario occuparsi, Uno dei capisaldi della propaganda di Lassalle era questo. Il 96 per 100 della popolazione è costituita da nullatenenti, cioè da operai, da proletari. Qu,ipdi ad essi spetta di dtritto l'esercizio del Potere: essi sono la Costituzione, essi lo Stato. Ciò che Lassalle noci comprende, nè, data la sua preparazione culturale e la -sua forma mentis, !J>Oleva oomprendere, si è che il termine e il fatto di «- nullate– ·ne·nte-» non significa nulla e non_ha nessuna effettiva importanza sociale. Ciò che determina la « classe», la « categoria», non è la «quantità», ma bensì la fon- . te del reddito. I proletari so-no proleta.Fi non perchè BibliotecaGino Bianco posseggono e guadagnano poco, ma per la forma ca– ratteristica e peculiare onde si genera il loro reddito. Questo fatto non solo spiega la ragione per la quale l'ottimismo di Lassalle (egli sperava in un trionfale successo della sua propaganda fra i nullatenenti) re– stò smentito dalla difficoltà enorme dei progressi &o– cialisti (nel sessantennio 1860-1920, solo un po' per volta andava · sviluppandosi l'industrializzazione del– ·l'Europa) ma ci rende pensosi anche riguardò all'a,·– venire. Infatti non è da credere che anche nell'ipotesi di un totale· trionfo del proletariato sòpra la· borghe– sia verranno tempi cli assoluto idillio e di assoluta màncariza· di oon"trasti di .classe. Veggas~, per tacer d'altro, la grande fatica che dura il Governo bolsce– vico per armonizzare le esigenze opposte della popo– lazione operaia cittadipa e ·di quella rùrale, e quanti motivi di dissenso si scorgono già fin da adesso fra questa e ·quella categoria di lavoratori. Altro punto debole della dottrina dèl Lassalle, e di molto interesse anche per noi socialisti d'oggi, è la manier.a ingenua colla ·quale egli concepisce il rap– p0rlo fra lo Stato e l'ecoi1omia. All'hegeliano Lassalle, perfettamente digiuno di n_o– zioni economiche, doveva sembrare più che naturale· che lo Stato, una volfa svinoolato dalla prigionia degU interessi capitalistici, intervenisse energicamentè a met– tere ordine anche nelle cose economiche, dopo averlo fatto nelle cose· politiche e giuridiche. (A dire il vero l'hegeliano Marx è nello stesso ordi– ne di idee_; sol9 che Marx, scosso nel suo hegelisq10. stretto dal suo sempre più intimo contatto cogli studi economici, si andò via via: esprimendo su questo pun– to con sempre maggiore prudenza e cautela. Di que- · sta sùa evoluzione ci si accorge faci~mente confron– tando, per es., il « Manifesto dei Comunisti » non solo. col « Capitale», n:i,a anche coi vari « Messaggi » del– i'lnternazionale, dove fra l'altro egli doveva fare _i ,conti coi seguaci dell'antistatalissimo ,J?1xmdhon). Invece Lassalle a differenza _di.·Marx, è, riguardo a questo punl9, a~sai più .ingen~o éd imprudente. Ct>– me ho- già detto, questo è un punto- di capitale i\mpor– tanza, sopra il quale è assolutamente aecessario che il socialismo prenda, priina o poi, (e meglio presto che tardi;, posizione netta. Secondo me la questipne va impostata senz'altro così. Che cosa può fare e che cosa non può fare lo Stato per la classe lavoratrice? Lo Stato può fare in pro' della classe lavoratrice le seguenti cos~ importantissime: 1) garantire loro la libertà di sciopero contro eventuali azioni illegali e coercizioni brigantesche della classe padronale, 2) fare una politica tributaria, che iQcida il meno che sia possibile sui salari operai nei limiti, s'intende, che lo comporta l'interesse della produzione; . . 3) · cercare di costare poco, mercè una politica estera che permetta la massima riduzione del far-_ dello, sempre più pesante, di spese militari e mercè ·una seria riforma burocratica che diminuisca la mac– chinosità, e quindi anche l'onere finanziario, dell'am– ministrazione statale; 4) arrestare, mercè una _energica e, nel tempo stes– so, tecnicamente scaltrita politj,ca del Tesoro, la ttm– denza inflazionis~ca in modo da ottenere quella sta– bilità della moneta, che è la base e conditio sine qua non di tutte le lotte operaie per un migli!Oramento dei sala.rii; 5). diminuire con· tutti i mezzi possibili, purchè non nocivi all'interesse generale, l'onere del deb}tq pubblico.;
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