Critica Sociale - XXXV - n. 4-5 - 16 feb.-15 mar. 1925
\ URITIOA SOCIALE 57 La Cooperativa non. deve essere un organo Lol– ]erato, soggetto quindi allo sfruttamento. Essa è una impresa che - attraverso ad una cate– goria di lavoratori o a tulta la classe· lavora– trice - deve appartenere a tutti e funzionare nel– l'interesse di tutti; perciò deve vivere e prospe– ra_re. P~r vivere, per prosperare, essa deve actat~ars1 alle leggi terree della produzione, sen– za di che essa - se non fallisce - vive in con– tinuo stato di. crisi, incapace di sopportare la ' concorrenza delle imprese private e di dare ai soci e ai consumatori i vantaggi che questi hanno <lirillo di attendere. Bisogna che essa miri e possa arrivare ai più bassi costi dì produzione. Il che vuol dire: impiego sapiente e rigorosamente economico del capitale; produ– zione la migliore possihilc per quantità e per qualità; possibilità· di creare del 1e riserve per mettere l'impresa al riparo dai rischi che là insidiano e per garàntire depositi a equo in– teresse. Còmpiti difficili che organizza.tori P organizzati devono· imparare ad apprezzare per rendersi conto delle gravi esigenze di una Coo– perati va, specialmente nel' primo periodo del suo funzionamento. Perchè la Cooperativa possa divenire- forlc e dare i suoi benefid, ha bisogno di assistenza, di aiuti anticipati, di aiuti continui. Il dare non è mai scompagnato dall'avere. 3. - Si è appunto affrontato da lìualcuno il problema de!J.a preparazione mora1e clei la– voratori come- pregiudiziale per 1'attuaz·ione di iniziative a,;enti carattere cooperativo. Prima la coscienza, si dice, e poi l'azione. Nel che c'è del vero; ma alla condizione· c'he la formula non acquisti un valore troppo assoluto. E' vero che in passato si sono costituite Cooperative - anche di grande entità - -senza che-·i lavoratori avessero il più modesto concetto di quello che vuol dire cooperazione. E il risultato fu, spesso,· che i soci diventarono· i più pericolosi nemici della società, ostinati a Yolerla sfruttare · ognuno per conto suo - fino a mandarla in malora. E, d'altra parte, come fate a creare una coscienza cooperali va senza l'esercizio della cooperazione? Bisogna guarda'rsi da tutti gli ec– cessi. Non prendere inizi'atiYe troppo spropor– zionate alla preparazione morale, tecnica e fi– nanziaria della massa lavoratrice; ma, ·nello stesso tempo, confidare in capi ben scelti per– chè riescano a fare de1le Cooperative tante scuol e dove i lavoratori completino ]a forma– zione del.la coscienza cooperaliva e acquistino un grado sempre più elèvato di capaciU,, per poter affrontare più largµe e complesse inizia– tiYe. Non bisogna pretendere che un bamhino, buttato in acqua, sappia subito nuotare: egli deve prima formarsi. lY.[a, premesso questo, res'.a sempre vero che non si impara a nuotare sP non si va nell'acqua. E, a proposito di preparazione mora le, è op– portuno osservare che un lavoratore tanto più amerà la sua Cooperativa, quanto più essa gli sarà costata di sacrificì, quanto maggiore è • la quota di beni e di vantaggi che egli, perso– nalme:r:ite, sapr.à di perdere, !,e la istituzione ca– desse. Un lavoratore, diventa~o socio di una Cooperativa mediante lo sborso raleale di due o dì tre diecine di lire, senza aver fatto altro ·chiesto dall'essere soci di una Cooperativa. Senza contare che richiede meno sacrifici. Un lavoro di selezione ~, quin– di, necessario. La Cooperativa non può ospitare che la élite della classe operaia. Tanto meglio se la élite è nu– merosa. D'altra parte bisogna evitare che i cooperatori, quando gli affari vanno bene, chiudano la porta in faccia ai sopravvenuti, trasformando la istituzione in una specie di azienda privata. ' Biblioteca Gino Bianco in sèguito che pretendere vantaggi,, non sa ap– prezzare il valore della istituzione nè può sen– tire per essa mplto attaccamento. :Ma un la-· voratorè a cui la Cooperativa sia . costata sa– crifici · (sborso di centinaia di lire in azioni; trattenute di salari; deposito di risparmi; ecc.) sente di dover fare per la istituzione lutto quello che può, affinch,è essa viva e prosperi, almeno per assicurare la parte di beni che è sua. Anche per questo si deve. dire: <( Niente, Coo– perative senza danaro! >,. Il c.apitale .n~lle Cooperative .• Il problema del credito. ~ La necessaria partecipazione dei .. soci. ,J. . - Ed eccoci al problema della coslilu– zione del capitale necessario al funzionamento della impresa cooperativa. ~oi sosteniamo che non si . può pensare seriamente alla costi tu-· zione di Cooperative, se· i soci non sono prepa– rati a creare ad esse una, prima forte base col for'nire un _càpitale azion::;i.riodi notevole en– tità. Il principio urta un poco contro le abi– ~udini mentali di .vecchi organizzatori, abituali ai beati tempi quando, le aziende cooperative erano poco numerose, avevano proporzìo]li mo– deste e troYavano facile ed economico credilo. . . - Le Cooperali ve operaie - essi dicono - . ·sono fatte... da oprrai per la valorizzazione · economica della forza lavoro. E gli operai non · hanno grandi mezzi: bisogna quindi proporzio– nare le esigenze alle lorò condizioni ·economiche. 1\1tto cio è esatto. Ma non potrebhc essere sottoscritto, se mirasse nel esonerare i laYora– tori daL dovere di contribuire, fino ad un l_imile sopportabile di sacrificio, al la ~alida costitu– zione e al ·buon andamento delle Cooperative. Bisogna pur ricordare che non c'è più •impre~a la quale possa f unz'ionarc col sow elemento lavoro, senza il concorso dcli' elemento capitale. E bisogna anche persuadersi che ·- a maho a mano che l'impresa progredisce con l'adozione di' sistemi di produzione complessi, richiesti dal bisogno di stare alla pari con la concor– renza - l'elemento capitale prende proporzioni addirittura imponenti. L'affermazione che il cn– p.ilale non è che lavoro accumulato, ha un va-· 10re puramente storico: essò non autorizza nes– suno, che abbia gl! occhi aperli, a· pensare che si possa dunque affidare un'impresa ad una massa di operai spro\'\'isti di capitale, con ia speranza che col solo lavor.o· si riesca a rispon– dere a tulle le esigenze. 5. - Poichè del capitale non si può !ace a meno, se i lavoratori non si sforzano di met– terne insieme almeno una considerevole parte, qualcuno donà pur provvedere. Sono debiti enormi che bisogna contrarre. E i debiti bi– sògna pagarli: c è .dunque una quota annuale· di ammortamento da versare, almeno per· quella parte di capitale che si chiama di ei,erc1zio e per la parte garantita da s·corle deperibili. Sui debiti bisogna poi pagare gli interessi: si tratta di somme grosse- che grayano in misura in– sopportabile sul bilancio èll'impresa. Chi guarda- Je cose troppo dall'alto, osserva che anche il capitale col quale il priYato impren– ditore· inizia la sua impresa va ammortizzalo e reclama un interesse; ma si risponde ·subito che, in questo caso, quota di ammortamento e somma di interessi non sono fissi e non sono obbligator'ì. La Banca vuole, mettiamo, il 20 per cento di ammortainento e il 7 per cen1o d'interessi - e bisogna pagare. H privato im– prenditore può, nella· sua impresa, acconten-
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