Critica Sociale - anno XXXV - n.2 - 16-31 gennaio 1925

.. CRi'.l'ìCA -SOCIALE 21 \ ripetersi all'.infinito, la gioventù se ne sazia e se ne stanca, e si apparta · nella indifferenza, o passa alla riva contraria. *** È ciò che accade nel momento presçnte, e so– miglia (con le naturali differenze. qei tempi) a quel che si vi~e 30 e più anni fa, quando intorno al nuovo partito socialisla ù1 Italia si stringevano tanti giovani della classe colta e anche della classe borghese. Negli ex imperi centrali, dove la guerra e la sconfitta gettarono i ceti medii in dure angustie, questo movimento di studenti verso il socialismo, per un convergente stimolo ideale e economico, è notevolissimo e crescenle, e si iniziò tanto più presto, dopo la fine del conflitto, in quanto là non vi fu chi soffiasse nei rancori di ceto come fu da noi, per dividere il proletariato intellettuale dal manuale. · Come tra i professori (che pur diederei largo con– senso alla guerra, e poi, nei primordi, al fascismo « idealistico »), così tra gli studenti dilegua rapida– mente l'infatuazione del Littorio. La delusione pre– sto seguìta all'incantamento dei primi tempi, gettò non pochi nello scetticismo o almeno nell'indifferen– za. S'eran volti di là, per disgusto di certi atteg– giamenti del proietariato, per disdegno o disgusto estetico di certi qiaterialismi, di certe grossolanità; e le videro riprodursi centuplicate. La spicciativa conclusione sommaria: « Son tutti eguali! », trae .fa. cilmenle, sulle prime, ad appartarsi scoraggiati e (èome si usava dire una volta) « spoetiz-Zati ». · · Ma molti superano questa demoralizzazione, e ven– gono a noi, o entrano nella politica dei' rispettivi partiti cui inclinano per. ragion di classe, e li rinnovano con una ventata di giovinezza. Già ac– cennai ai giovani liberali del Congresso di Livorno, e così può dirsi dei giovani popolari che portano sentimenti elevati, dedotti dalla loro fede religiosai· e propositi fermi e virili di battaglia. Al qual proposito non è fuor di luogo ricordare che il Partito Popolare, là dove esso è più fQrte, aveva avviato e attrezzato, nei primi tempi. del fascismo-, le sue schiere giovanili (fatte però prevalentemente di operai e contadini) anche per la difesa diretta del proprio diritto contro la prepotente violenza avversaria, con qùel pronto spirito di assimilazione e di mimetismo che è da secoli tradizionale nella - Chiesa. Indipendentemente da ogni risultato pratico di tali iniziative o atteggiamenti, un simile spirito di fierez– za e di combattività legittima e difensiva, ha va– lore per sè anche e tanto piu se si trasferisce - dal territorio dei bastoni a quello delle idee. E veramente nella gfoventù « popolare » colta è riscontrabile un indirizzo e una mentalit-à di pen– siero e di libertà, una resuscitazione dei primigenì principii e ideali. un ritorno alle fonti genuin(\ che è, per tutti i partiti e per l\llli i movimenti, un rinnovarsi di vila. GIOVANNI ZIBORDI. • Preghiamo gli abbonati e gli amici della Ri– vista, rinnovando con encomiabile sollecitudine il loro abbonamento, di volerci indicare nomi· ed in– dirizzi di Abbonati probabili a cui spedire Nu– meri di Saggio. · E li rinuraziamo in anticipazione. Biblioteca Gino Bianco Il moiui v v!n~i lon la ~Hmania La, Gazzetta Utf.iciale del 12 corrente pub~ blica il testo delle note scambiate il 10 gen– naio fra l'Italia e la Germania per rego lare in via provvisoria, cioè fino a~ 31 mar.zo 1925, i rapporti doganali fra i due Stati. Per intendere il valore di quelle note bisogna 'tenere presente la situazione durata fino al 10 gennaio in forza del trattalo di Versailles, per cui l'Italia, come tutte le potenze dell'Intesa, ha goduto fino– ra in Gennania del trattam~nto della nazione più favorità, senza alcun obbligo di reciprocità, con la piena facoltà di· poter accrescere illimi– tatamente i propri dazi contro le esportazioni germapiche. Nel momento in cui slava per riacquistare la propr~a libertà doganale, la Germania chiedeva che il nuovo regime doganale fra i due Stati si fondasse- sul principio della reciproca conces– sione del trattamento della nazione più favorita; ma il Governp itali:;iho, mentre si augura che · tale principio trionfi, senza alcuna limitazione, nella stipulazione del trattato definitivo, dichiara di non poterlo accogliere, senza molte eccezioni, nell'accordo provvisorio. La lista delle esportazioni germaniche, per cui ì'Italia mantiene per or~ immutata la ta– riffa generale del 1921, comprende, oltre ad al– cune singole voci di scarsa importanza, oltre. alle macchine motrici, locomobil\ e caldaie, ed a quasi tutte le varietà di macchine elettriche, le intere categorie XV, XVI, XVIII, XXV e XXVI della nostra tariffa. Di tali esclusioni può giustificarsi quella che riguarda la categori~ .XXV (armi e munizioni); e non ha una grande portata quella della categoria XVI (oggetti di vestiario e di biancheria). Si stenta invece a comprendere per quali ragioni il Governo ab– bio creduto di mantenere il massimo della di– fesa doganale a due industrie, come quella del- 1 a seta naturale e artificiale (cat. XVI) e degli automobili (cat. XXVI), che devono la loro fortuna sopratutto all'esportazione, e che non possono temere _gravi danni dalla concorrenza germanica, quando questa in ispecie non possa esercitarsi sul nostro mercato in condizioni più favorevoli_ di quelle che vi godono i prodotti dell'industria francese o nord-americana. Ma sopratutto grave, ed anzi decisiva nei rapporti con la Germania, ci sembra l'esclu– sione quasi tolale delle numerosissime voci com– prese nella categoria XVI (ghisa, ferro ed 3:c– ciaio ).· La Germania, che prima del 1914 era diventata la nostra massima fornitrice di tali prodotti, è stata invece colpita in pieno dalla nostra nuova tariffa generale, che- per questa categoria ha triplicato in media i dazi in oro della tariffa tutt'altro che mite del 1887, ed ha int'rodotto una ·tale discriminazione di voci e sottovoci e tante complicazioni nelle formalità doganali da rendere assolutamente impossibile l'importazione di molti dei prodotti compresi in quella categoria. Così è• avvenuto che anche nel 1922, in un anno cioè di ripresa della produ– tione e della espbrtazione germanica, su 119.000 tonnellate di ghisa che l'Italia ha importate, ap– pena 2800 provenissero dalla Germania, e che le stesse proporzioni irrisorie si notassero per lutti gli altri prodotti dell'industria siderurgica. Attualmente, superata la crisi mortale della Ruhr, e ristabilite ed anzi migliòrate le condi– zioni del .1922, è naturale che la Germania si sforzi di riguadagnare gli antichi mercati e, nel~ l'impossibilità di ottenere condizioni di favore, chieda almeno che non le sia usato un tratta-

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