Critica Sociale - XXXI - n. 4 - 16-28 febbraio 1921

C.1UT1CASOCIAL::re 55 quando a quando delle esplosioni nei diversi Paesi>. Acquistate nell'atrio del teatro l'opuscolo postumo di Engels, edito da Edoardo Berusteio, I fondamenti del com1rnismo, e vedrete, alle pagine 16 e 19, quel ch'egli scriveva circa la inutilità, anzi i danni dell'azione il– legale, circa la gradualità iuevitabile della trasfor– mazione economica e l'impossibilità di abolire la pro– prietà'privata prima che sia creata la necessaria quan– tità dei mezzi di produzione, e circa la necessità, per l'esercito proletario, di proseguire ancora per molti anni, «con lotta dura e tenace da una conquista all'altra•. Potrei moltiplicare le citazioni dalle fonti, ma non è, purtroppo, con dieci o cento citazioni che muterò l'a– bito mentale dei dissenzienti pertinaci. Bastino le poche che ho fatte, per i comp11gni di buona fede, a dimo– strare almeno da qual p11rtesiano i veri eredi del vero marxismo e che 0osa debba p1>nsars1- alla stregua di esso - del bergsonismo sociale, del socialismo ge– nerato dalla carestia, e di tutte le altre decrepite no– vità che ci vengono oggi ammannite dall'estrnmismo che si dice comunista. Fu unicamente il cult.o di alcune frasi isolate da comizio («la violeuza levatrice della IJUOvastoria» e somiglianti), avulse dal complesso dei" testi, e ripetute per accidia intellettuale, che, in unione alle naturali ri– bellioni del sentimento, velò a troppi di noi il fondo e la realtà della dottrina marxista. Quel culto delle frasi, in odio al quale il Marx amava ripetere che,egli, per e·sempio, ~ non era mar– xista>, e anche a me - di cento cubiti più piccolo - a udire le scemenze di certi pappagalli, accadde di affermare che io non sono turatiauo (Ilarità). Perchè nessnna formula - neanche quella di Mosca - so– stituirà mai il possesso di un cervello, che, in con– tatto coi fatti e con ìe esperienze, ha il dovere di funzionare. La violenza nella storia del socialismo italiano. Una facile profezia. E vengo alla nota pratica della mia dichiarazione, nella quale mi sarà concesso di eilsere anche più breve. Sul terreno pratico, quarant'anni o poco meno di propaganda e di milizia mi autorizzano ad esprimervi l:lOmmariamente un'altra convinzione. Potrei chiamarla (se la parola non fosse un po' ridicola) una profezia, facile profezia e per me di assoluta certezza. Vi esorto a prenderne nota. Fra qusilche anno - io non sarò forse più a quest.o mondo voi constaterete se la profezia si sia avverata. Se avrò falli Lo, sarete voi i trionfatori. Questo culto d11lla violenza,· violenza esterna od interna, violenza fisica o violenza morale - percbè vi è una violenza morale, che pretende sforzare le mentalità, far camminare il mondo sulla testa (Marx, come sapete, correggendo Hegel lo rimise sui suoi pròpri piedi), e che è ugualmente antipedagogica e c9ntraria allo scopo - non è nuovo, già lo dis~i, nella storia del socialismo italiano, come di altri Paesi. Ed il comunismo critico di Marx e di Engels ne fu ap– punto la più gagliarda negazione. Ma, per fetJDarci all'arretrata Italia, che, come stadio di evoluzione economica, sta, a un dipresso, di mezzo fra la Russia e la Germania, lp.storia dei nost,ri Congressi, che riassume in qualche modo le fasi del Partito, storia (sorridete pure del mio consiglio I) che fareste bene a leggere negli articoli pubblicati nella N1wva Antologia del 1 e del 1Gdicembre da un nostro avversario - oo.esto e di non comune dottrina e di assoluta obiettività - intendo 1'011. Meda, Ministro del Tesoro; quella storia dimostra a chiare note come cotesta lotta fra il culto della vi-0lenza che pretende di imporsi col miracolo ed il vero socialismo che lo combatte, è stata sempre, nelle piò. diverse forme, a l!leconda dei momenti e delle circostanze, il d1·amma intimo e costante del partito socialista. Ma il accia- 'bliotecaGino Bianco lismo, in definitiva, fu sempre il trionfatore contro tutte le sue deviazioni e caricature. Non è da oggi che noi siamo i social-trad;tori. Lo fu1nmo sempre: al-– l'epoca degli inizi, all'epoca degli scioperi generali po– litici, degli scioperi economici a ripetizione, eccetera, eccetera. (Voce: Bravo! Viva ia sioceritlt!) 'rURA.TI - Sissignori! Il « Partito operaio», nel decennio 1880-90, era già una reazione al corporati– vismo operai.o. E noi, che volevamo farne un part.itc, politico, eravamo guardati con sot!petto. Nel 189l-92 il Partito operaio si allargava in Partito dei lavoratori (che -s'inspirava a un concetto già più ampio, in quauto abbracciava anche i lavoratoti d9l cervello) e più tardi, a Reggio Emilia (1893), io « Partito socialista dei la– vora t,ori italiani», per divenire finalmente '.i Parma, nel 1895, sotto i colpi della reazione più dura, il « Pal'– tito socialista. italiano». Queste trasfonnaz1<•ni del nome esprimono appunto il concetto della conquista del potere, che noi mtroducevamo man mano uel pro– gramma che il partito aveva tracciato, ai suoi i111zì, progrnmma di azione diretta, uua specie di presoviet– tismo dell'epoca. }!el 1892 (Genova) esso culminò nella violenta separazione dagli anarchici. Ma no11per rag,·nni ideologiche di pura filosofia. Forsecuè dagli anarehici ci divideva la diversa concezione di quello che dovri,. essere la società fotura? Ma neppure per sogno! lJe.r un avvenire lontano noi tùtt1 pos~1amoanuhe prvtessa, ci anarchici, perché l'ideale anarnhico rapprese11ta - tecm– camente - un superlativo di perfezione. Quel 'cbe ci divideva era l'im:pazie1iza, la violenza, la improvvisa– zione, il semplici~mo dell'azione. Molti anarchici, fatti riflessivi dall'esperienza e dagli anni, ritornarono poi nelle nostre file. Sono note le vicende dal 1894 al 18U8. Nel L904 imperversò il sindacalismo, coi primi grandi scioperi generali, col labriolismo, con lo sciopero agra– rio di Parma: era il soviettismo italiano di quel" tem– po, e fu debellato al Congresso di Firenze nel 1908. Oscillazioni, ritorni, transazioni, ce ne furono a josa. Venne poi il fe1·rismo, ossia il rivoluzionarismo verbale, ossia proprio quello, mutatis mutandis, che è oggi il graziadeùmo (Ilarità) ; e ve11ne la transa– zione integralista dell'ottimo Morgari, clrn durò appena un paio di anni sui palcoscenici dei no~tri comizì ( Vi– vissime inten·uzioni). TURA'rI - Non pretenderete mica, spero, che io dica le opinioni vostre. Vi esprimo francamenie le mie. Venne dunque l'integ1·alismu, cue, a dir vero, in quel momento salvò il partito (onde noi lo accettammo come un meno peggio al Congresso di .Firenze) e che fu l'anticipazione dell'odierno Serratismu, del comunismo unitario, del socialismo comunista, di quel socialismo che st.a un po' di quà un po' di là, sia pure per amore dell'unità, ma che reca nel proprio seno la contraddi– zione insanab~le (applausi clei com 11,nisti puri). Sono perfino gli stel!si tipi antropologici e somatologici che rinascono e si presentano. La guerra ha ridato una giovinezza perfino all 'auarchismo, che ha oggi in Italia un proprio giornale quotidiano. Ebbene, nella storia del nostro partito l'anarchismo fu rintuzzato, il labrio– lismo ... fini al potere, il ferrismo, anticipav.ione, come ho detto, del graziadeismo (nuova ila1·ità), fece le ca– priole che sapete, l'integralismo stesso spari e rimase il nucleo vitale: il marcio riformismo, secondo alcuni, il socialismo, secondo noi, il solo vero, immortale, in– vincibile souialismo, che tesse la sua tela ogni giorno, che non fa sperare miracoli, che crea coscienze, Sin– dacati, Cooperative, c0nquista leggi sociali utili al pro– letariato, sviluppa la cult.ura popolr,,re (senza la quale saremo sempre a qnesti ferri e la demagogia Slilrà sempre in auge), si impossessa dei Comuni, del Par– lamento, e che, esso solo, lentame11te ma sicuramente, crea li\_maturità della classe, la maturità degli animi e delle cose, prepara lo Stato di donmni e gli uomini capaci di manovrarne il timone. Sempre social-traditori ad un modo, e sempre vin- ✓

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