Critica Sociale - Anno XXV - n. 19 - 1-15 ottobre 1915
302 CRITICA SOCIALE che la borghesia da quell'orecchio non ci sente. E non a torto. « Se tu - ammoniva a tal proposito un avversario anonimo del revedendo Malthus, dispensatore non disinteressato di consigli di questo genere - vendi •le tue· mer-ci, tu lo fai per ricevere una ce-rta somma di denaro: poco ti giova, se tu dài questa somma gratis· ad un tale, perchè costui po-i te la riporti, comperando da te. Tant'era, che tu av.essi bruciato la tua roba, che non potresti ritrovartene peggio». Così slancio le cose, quella parte di ricchezza, che la borghesia è costretta suo malgrado a redistribui– re alle altre classi in forma di fitto d'immobili, di imposte, di aumenti di salari, contribuisce, sì, a diminuire lo stock dei suoi capitali in via di conti– nuo e pauroso ingiganlimento e a creare nel tem– po stesso una domanda suppletiva di merci, ma, per la tenace resistenza della classe capitalistica ad aprire i cordoni della borsa più dello stretto ne– cessario, vi contribuisce in misura assolutamente ·inacl,eguata. E la medesima cosa va delta ciel gra– mo e compassato lusso borghes,e, il quale, come ben dice Marx, si distingue dal largo e sj)ensierato sperpero nobiliare, per la cattiva cosci,enza, che ne angustia l'anima, come l'oraziana alra cura, che siede post equitem. A tutto questo si aggiunga che, quasi l'ordinaria e reale accumulazione capitalistica non bastasse, c'è da fare anche i conti col perfezionarsi rapido e continuo dei sistemi di credito, che gonfia e poten– zia enormemente la massa, già di per sè enorme, dei capitali disponibili. Insomma, per riattivare energicamente e con– gruamente la circolazione economica, soffocata dal continuo rigurgito dei capitali vecchi e nuovi, non bastano quei salassi, sopportati di malavoglia e ri– dotti al minimo possibile, ma occorre che si agisca largamente e poderosamente sull'altro termine del binomio aflari - capitali. Ed ecco p,erchè noi vediamo, nei secoli XIX e XX, le grandi nazioni capitalistiche, l'Inghilterra alla tesla, slanciarsi, con un impressionante crescendo di sforzi e di accanimento, alla conquista di mer– cati esteri, cioè a,l violento allargamento della usa– ta e satura cerchia dei campi d'impiego dei capi– tali, sia mercè la coltivazione intensiva dei com– merci internazionali, sia mercè la penetrazione eco– nomica di paesi esotici capitalisticamente vergini. Solo così si spiega come, nonostante l'aumento ver– tiginoso della massa dei capitali (la ricchezza odier– na del!.a Gran Bretagna è valutata a oltre quattro– cento miliardi), il saggio medio dei profitti si sia mantenuto per più di un secolo a un livello quasi costante. Se non che og-ni medaglia ha il suo rovescio. Il commercio - che già, in fondo, è un mezzo latrocinio - è per sua natura invidioso e sopraf– fattore. Tanto e tanto, ai suoi primi albori medi– terranei, esso faceva tutt'una cosa colla pirateria. Questa sua antica natura torna nella storia sovente a galla. Basta por mente alfa terribile rivalità.delle Repubbliche marinare d'Italia nei tempi di mezzo. L_a•tentazion~ di disfarsi, con un fortunato colpo di mano, dei propri concorrenti, ottenendo in una volta ciò che, forse sì e forse no, sarebbe possibile ottenere soltanto con un lungo e fastidioso lavorio di competizione pacifica, è sempre fortissima. E' an– cor.a una fortuna, _che il ferreo regime dell'odierno d~ritto privato impedisca ai commercianti singoli di dare sfogo alla propria « invidia di mestiere». Ma le nazioni purtroppo vivono, per ciò che riguar– da i loro rapporti reciproci, in uno stato ex-lege. Col crescente predominio rielle economie na:iio- BibliotecaGino Bianco nali del commercio estero, avvenne quel che era fatale avvenisse. L'uomo borghese, l'antico pacifico coniglio, a cui l'armigero- ispirava soggezione e i bellici clan– gori ribrezzo, si trasformò un po' alla volta in un tremendo accattabrighe e amante cli avve.nture poli– tiche. Sancio Panza si evoluzionò e prese il fare cli Don Chisciotte, suo padrone, ognor pronto an– ch'-egli a scagli.arsi con la lancia in resta contro i muli1_1i a vento - sempre che fossero cli proprietà altrm .... In questa guerra l'umanità paga, con fiumi di sangue e orrori materiali e morali di ogni specie, quella comoda e ben congegn_ata automaticità d'in– granaggi, su cui si r,egge e prospera la società borghese. Quel « laisser /aire, laisser passer », quella sì celebrala libertà economica, che fu la suprema saggezza e la chiave di volta dell'econo– mia politica (e che nella sua relatività storica fu, ed è tuttavia, un canone pratico di grandissimo pregio), fa, in questo quarto d'ora cli ,storia mon– diale, se non proprio fallimento, qualche cosa di non troppo dissimile. Quanto meno si scorg,e che vi è del marcio, in Danimarca, ,e che il mondo capi– talistico e borghese è assai lungi eia rappresentare il leibnitziano migliore dei mondi possibili. . Ho detto che la società borghese si regge su una comoda e ben congegnata automaticità d'in– granaggi. E mi spiego. L'ideal,e di una sana e prospera economia sociale· è evidentemente un'ec9nomia, che produce molto e consuma relativamente poco. E ciò non tanto per avere, come usano le formiche, una ·certa scorta di beni di consumo per i momenti difficili - la forma più rozza e primitiva del risparmio -; ma piutto– sto perchè, devolvendo solo una parfe dell'energia produttiva alla creazione di beni di immediato consumo, un'a!tz:a parte di e~sa, e quanto più note– vole tanto .megho, nmane hbera per la creazione di beni cosidetti strum:entuli, ausiliari della produ– zione. Così l'energia produttiva della società resta via via, sempre più agevolata e potenziata negli. effetti, con quanto vantaggio d,el beness,ere gene– rale è inutile dire. Il modo con cui la passione del lucro dei singoli capitalist_i a_vvantaggia l'ec<:n~omiapu~b)ica è que– sto. Capitalista è per definizione colm, · che, dispo– nendo liberam,ente di una ce1ta quantità di moneta e, mercè questa, di una congrua porzione dei beni materiali e.' delle capacità di lavoro esistenti in società, · anzi-chè convertire, come pur potrebbe, questa sua massa di valore astratto in beni -0 ser– vigi di suo privato godimento, la converte in un qual_siasi. processo produttivo; richiedente, per ne– cessità di cos,e, solo beni ·e servigi strumentali au– siliari della produzione. In tal guisa la società,' che venale come è, ubbidisce a bacchetta e senza discu~ tere al suo supremo padrone, il denaro, produce automaticamente e con beata indifferenza, oltre la necessaria massa di beni di immediato consumo, un'altra massa poderosa di beni strumentali. Il risultato ultimo è questo : .che la società viene a fare, senza alcuna guida, nè accentramento di comando, senza sapere e senza volere, quel che in un eventuale regime comunistico saprebbe imporle un Direttorio supremo, -saggio ed oculato, per ma– tura riflessione e deliberato proposito. Questo automatismo di funzionamento ha, certo i suoi innegabili vantal];gi, ma anche i suoi incon~ venienti. La missione storica del socialismo scientifico, chiamato da Marx e da Engels col termine straor– dinariamente proprio di « Comunismo critico », è
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