Critica Sociale - Anno XXV - n. 14 - 16-31 luglio 1915
218 CRITICA SOCIALE consumi assai al di là di quel punto dove termina il necessario, d'altro canto la somma di lavo,ro che essa erogava, sia per la creazione di beni di consumo, sia per quella di nuov-i mezzi di produzione, era di gran lunga inferiore a quella, ohe essa, volendo, avrebbe potuto. L'eneirgia in potenza era, cioè è, assai mag– giore, che non l'energia effettivamente erogata. Non è tutta questione di mera pigrizia. La causa di que– sta « pigriz-ia sociale » è da ricercarsi anohe nel fatto, ohe, dato lo speciale meccanismo del sistema capita– listi-co di produzione e di soombio, che affida (e con discreto suooesso) il regolamento dell'economia so– ciale all'automatismo della domanda e dell'offerta, ogni maggiore erogazione di lavoro è obbligata a prendere la forma di un aumento dell'offerta nel mer,cato delle merci e della mano d'opera con conse-· guente diminuziOtlle del prezw. È noto a questo p,ro– posito, che le organizroziopi operaie per es. lottano sovente per un orario minore, all'unico scopo di di– minuire la disoccupazione. Resta però sempre, come motivo fondamentale, il fatto ,che, per quel calcolo edonistico, che sta a ba.se dell',economia, quasi tutti gli agenti econorµici, chi più, chi meno, preferiscono rinunziare ad un guada– g-no maggiore per avere del tempo lihero. Special– mente nelle famiglie borghesi la quantità di lavoro in potenza è enorme. A questa quantità di lavoro di riserva è da aggiungere il lavoro disponibile dei p,ri– gionieri di guerra, il cui numero, come è noto, am– monta a centinaia di mig1iaia. C'è poi un'altra cosa da osservare. Ciò ohe colpisce l'imma,ginazione deL volgo sono i miliardi' spesi dallo Stato. Si perde qui di vista il fatto, che- questi miliardi non sono da confondersi colle spese di amministrazione in tempo di p,aoe. schi, e faccia maturare di un colpo con un magni– fico trapasso dialettico i destini del socialismo e della classe proletaria. Ma, dioo S. E. Luigi Luzzatti, il materialismo sto– rico è solennemente smentilo dalla guerra altuaiJe. E allora posso anche e~sermi sbaglialo. In questo caso, tant mieua; per gli uomini e tant pis per il 1 malau- gurante astrologo. FRANZ WEISS. Le conclusioni di questo acuto studio di Franz Weiss· - che siamo lieti di pre.sentare ai lettori della Critica - ci sembrano un po' troppo ottimi– stiche, anche se, per l'Autore, soggettivamente, so– no ultrapessimistiche, perché, egli dice, la dimo– strazione che la capacità del mondo finanziario a reggere alla guerra supera ogni pr.evisione, induce nella convinzione che la guerra si pr,olungherà assai e si ripeterà, appunto perché non si verificano le attese catastrofi economiche, sebbene già i dispendt abbiano superato tutte le previsioni. L'ottimismo di W eiss è proprio inerente a ~uel modo edonistico di considerare l'economia pubblica, in via tutta astraila, per così dire, sotto specie di infinito, nella somma universale del bene e del male. Adesso J,o Stato non fa che accentrare in un unico enorme fiume le miriadi di piccoli rivoletti, rappre– sentati dal sussidio, che ogni famiglia o famigliola si può supporre porga al proprio congiunto combat– tente per fornirlo di munizioni da boe-ca o da sparo, detraendolo dai propri risparmi sui consumi e dal lavoro fatto in sua vece. Lo Stato, rendendosi inter– mediario di questo sussidiame.nto, anzi anticipando esso stesso i fondi, salvo a rivalersene negli anni ven– turi so·pra .i contribuenti, ha cosi l'aria di sprecare chi sa che, mentre i-n reàltà non spreca nulla. Vedasi. A considerare il problema posto dal Weiss in quel suo modo assoluto, escludendo tutte le dif– ferenziazioni concrete, è giustissimo ciò che afferma il Weiss, che non sarà mai per difetto di mezzi finan– ziari che la guerra cesserà. Ma qui appunto l'A. viene a considerare, diremmo quasi, tutti i Governi come una Cooperativa comunistica per l'alimenta– zione della guerra. Fosse così, la guerra continue– rebbe all'infinito, perché non vi sarebbe ma.i una deficiewza di mezzi economici che l'obblighi a ces– sare. Ma così non è; cioè, i Governi sono in fiera concorrenza anche sulla produzione dei mezzi finan– ziari alimentatori della guerra. Ora, basterà che si trovi un Governo il quale resti addietro di risorse, , perché il fatto si rifletta su tutti gli ·altri nel senso di far cessare la guerra. C'è da S1Commettere,ohe chi avrà letto queste ri– ghe sarà tentato di ta-cciare lo scrivente di un otti– mismo troppo roseo, da rivaleggiare con quello fa– migerato di Candido e del suo· méntore Pangloss. Ahimè, giudicio umano come spesso erra! Le conclusioni, a cui ci porta la disamina ora fatta del1'impalca·tu~a economi,oo deJ.la presente gue-rra, so– no tutt'altro che ottimistiche. Se infatti è vero, e purtroppo è vero, che la guerra non costa nulla e non pregiudica per niente nè il presente rnè l'avvenire economico della -società, ca– dono a,nohe quasi automaticamente tre delle nostre più care e più accarezzate illusioni: l'iJ.l'usione, cioè, 'ohe la guerra non potrà durare a lungo per esauri– mento finanziario ed economico; l'illusione che questa guerra sarà l'ultima e sarà tosto seguita dar disarmo generale per l'impossibilità di più sopportare le gra– vezze di. una ancora più grave pace armata; l'illusione infine che lo sfacelo economioo provocato dalla guer– ra faccia ricadere sulla borghesia• il fio della sua inet– titudine a prese,rvare il mondo dagli orrori guerre-- , BibliotecaGino Bianco Sta bene che la guerra, come dimostra il Weiss, trovi da pascere più che noi supponessimo sulla contrazione dei nostri consumi e sulla dilatazione della mano d'opera produttrice, per il vasto lavoro di surrogazione; sta bene che la guerra, prima che ci riduca tutti a vivere al modo della « ricca » società del Rinascimento o addirittura alla parsimonia dei Lapponi, trova del margine assai; verissimo che miracolose sono le risorse con cui la società capita– listica si industria (e ci riesce) a soddisfare con offe su offe il mostro della guerra prima cl.i essere costretta ad arrendersi procl'amando la propria ban– carotta per eccesso di spese improduttive; ma ciò che importa è quanto cotesta azione di alimenta– ziòne della guerra influisca praticamente sulle con– dizioni rispettive degli Stati tra loro, delle classi tra loro. Il mondo regge oone contro la minaccia della bancarotta generica, assoluta, diremo cosl, erga omnes; ma non sappiamo anoora nulla delle atrofie e delle iperlro/ie determinate dalla guerra nei rap– porti generali da debitori a creditori. Le proporzioni ideali si mantengono bene per l'azione compensa– tiva degli squilibrii che si manifestano via via ed a cui sovviene l'accresciuto lavoro, il consumo dimi– nuito, l'accortezza dei Governi, l'istinto dei gover– nati. Ma i rapporli pratici? Se, per una 'mera ipQ– tesi dialettica, fosse dimostrato che l'aumento della circolazioné cartacea, ch'è uno dei pivots della finan– za della guerra, agisse in guisa diversa rispetto al pagamento de_gli interessi dei prestiti e rispetto al pagamento dei salari, ecco che un dato rapporto, il quale in senso assoluto resta intatto, circa la capa-
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