Critica Sociale - XXIV - n. 17 - 1-15 settembre 1914

266 CRITICASOCIALE ma persino dell'industria e del commel·cio. La dialettica marxista si spiega facilmente. Ogni tendenza determina tendenze in senso opposto. Ma queste, se anche vincano, non ci ritornano già allo statu quo ante; generano qnalchecosa bensì di sostan– zialmente nuovo. La miseria, ad esempio, ·a cui il ca– pitalismo condanna a forza il proletariato, suscita la reazione di quest'ultimo; ma se anche questa lotta di classe è vigorosa abbastanza da respingere quella mi– seria, non perciò si ritorna all'idillio operaio precapi– talistico. Lo stesso sforzo proletario per modificare, mercè l'organizzazione, il rapporto di forze antagoni– stiche fra il singolo lavoratore e il singolo capitalista, suscita, di rimbalzo, la organizzazione padronale, onde sembra restaurato il vecchio rapporto di forze, ma è un'illusione anche questa; in realtà, il nnovo rapporto è tutto diverso. Per forti che diventino i capitalisti con le loro organizzazioni, queste non si possono contenere colle· organizzazioni operaie come il singolo padrone faceva col singolo operaio. E la coscienza come la tat– tica degli operai organizzati restano, in tutti i casi, diverse da quelle degli operai isolati. Analogo processo dialettico fa dalla concentrazione del capitale derivare, in date circostanze, un aumento della piccola impre~a. Ma la nuova piccola impresa non ha, della vecchia, che le apparenze, e ha tutt'altra im– portanza economica e politica. La concentrazione del capitale, com'è noto, giusta il pensiero marxista, trae dietro non solo la dissoluzione della piccola impresa tradizionale indipendente, che ignorava il lavoro ·salariato permanente, ma ed fnoltre l'aumento dell'armata di riserva delle forze di lavoro. Essa getta sul mercato più forze di lavoro che il ca– pitale non sia capace di assorbire. Nulla più erroneo tuttavia del supporre che l'armata di riserva non consti che di disoccupati; questi non ne costituiscono che gli strati più elevati e i più infimi - straccioni perdigiorni da un lato (Lumpenproletarier), che non temono la disoccupazione; aristocrazie operaie dall'altro, la cui organizzazione è così salda da provvedere per qualche tempo ai propri disoccupati. Ma il grosso di codesto esercito è piuttosto di coloro che, non trovando il la– voro che risponde alle loro capacità professionali, sono costretti a ripiegare ed impiegarsi comunque anche alla peggio. Senonchè l'unica scappatoia che rimanga oggi al la– voro salariato - prescindendo dalla impresa coopera– ti va, che qui, come fenomeno di masse, non ci può in– teressare - è la piccola azienda condotta dal lavoratore. Ora, quanto più rapida è la concentrazione del capitale e quindi la rovina dell'antica piccola impresa, col con– seguente dilagare dell'armata industriale di riserva, di .tanto cresce l'impulso dei disoccupati verso le piccole aziende; queste, soppresse io un punto, si moltipli- . cheranno in un altro. In Germania, dal 1882 al 1895, la concentrazione del capitale ridusse le piccole imprese, nell'industria delle materie illuminanti, del 25 °lo, nelle industrie delle pietre e terre <lEll 24 °lo, nelle miniere e nella metallurgia del 34 °lo, nelle industrie tessili del 42 % a dirittura. Ma la stessa evoluzione aumentò le piccole imprese nel commercio del 39 °lo, nelle assicurazioni del 60 °lo, nelle categorie professionali dell'albergo e degli esercizi pub– blici del 35 °lo• Nella lavorazione del tabacco e dei si– _gari le piccole imprese crebbero da 5465 a 9708, cioè del 78 Ofo. Di fronte a queste cifre, quelle dell'aumento delle aziende agrarie inferiori ai 2 ettari (5,8 °lo) e, da BibliotecaGino Bianco 2 a 5 ettari (3,5 °lo) sono insignificanti (1). Se si tenesse conto delle pure cifre della statistica, si potrebbe, anche per il commercio, le trattorie e la lavorazione del ta– bacco e qnalche altra industria minore, affermare che per esse la legge del concentramento del capitale non ha alcun valore. Eppure ben sappiamo ch'essa è in vigore anche qui. Le nuove piccole imprese che germogliano dalla concentrazione del capitale - lavoranti a domicilio, merciai ambulanti, piccolissimi proprietari - sono tutt'altra cosa da quelle ch'essa ha eliminate. Queste si basavano sulla libera proprietà dei mezzi di produ– zione: quelle, al contrario, i più importanti mezzi di produzione debbono averli anticipati dal capitale, di– ventando tributarie di questo - il piccolo agricoltore per· l'affitto o pel mutuo sulla terra, il lavorante a do– miçilio per la materia prima fornitagli dal suo com– mittente, l'oste per la birra avuta a fido, che lo con– verte in un agente della fabbrica di birra, cosi come il rivendugliolo o il merciaio ambulante per ogni sorta di merci. ~ La vecchia piccola impresa formava una vera classe media, e il piccolo padrone stava a mezzo fra il capi– talista ed il salariato. Il padrone della nuova piccola impresa sta ai di sotto dell'operaio salariato; è molto più indifeso, ha un tenor di vita spesso inferiore, la giornata di lavoro più lunga, la donna ed i figliuoli molto più sfruttati. Non vi sale, insomma, il lavoratore salariato, ma vi scende - accanto e insieme ai padroni indipendenti delle piccole azienda. Il piccolo padrone di un tempo, vittima della con– centrii.zione del capitale, rappresentava un concorrente di quest'ultimo; lottava col maggiore capitalista, ma apparteneva con lui alla stessa classe, dei produttori autonomi. Il nuovo piccolo imprenditore è oggetto di sfruttamento del capitale, e concorre alla sua prospe– rit.à come riserva di lavoro della grande impresa; sta contro al capitalista, non come membro della stessa classe, ma di un'altra, che ne è oppressa e sfruttata: la flasse proletaria. La grande impresa capitalistica non potrebbe svi– lupparsi senza una riserva di forze di lavoro, che, da un lato deprima i salari, dall'altro .consenta al capitale di reclutare a sbalzi nuove forze di lavoro p_ercogliere ogni congiuntura favorevole .estendendo la produzione quando gli convenga. Tale riserva, più che dai disoc– cupati veri e propri, è fornita da cotesta nuova specie di piccole imprese che potremmo chiamare " proleta– rizzate ,,. Solo in poche categorie professionali fu già ' possibile organizzare e conservare un sufficiente sus– sidio di disoccupazione. La massa a lungo disoccupata si degrada, perde la consuetudine del lavoro, cessa di essere sfruttabile dal capitale. I lavoratori e padroni, al contrario, delle piccole aziende proletarizzate, sono sempre pronti per la grande industria, tosto che offra (1) Nota alla 2° ealzlone. - Secondo 11 censimento professionale del 1907, Io sviluppo della piccola Impresa nel seguenti gruppi In– dustriai! è stato 11seiruente: Industria delle materie lllumlnantl Pietre e terre Miniere. Industrie tesslll Commercio Alberghi e Jooonde Tabacco e sigari .Uslonrazlone N. degll stnblllmentl con I flno a 5 operai 1895 1907 4.268 3.588 Sl.495 Z7.825 1.7'1 2.432 I 98,958 122.039 603.209 790.778 220.li65 S11.368 9.708 21.121 6.688 22.so , Dlmln.(-) oaum. (+) % 17 12 + S9 SB + BI + 41 + 117 + 248

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