Critica Sociale - Anno XXIV - n. 11 - 1-15 giugno 1914
l CRittcA SOCIALE' 171 Bosnia-~rzegovina, ed al colloquio con Di San Giulianò vien ·dietro, immediatamente, la violenta intromissione poliziesca nel conflitto tra naziona– listi italiani e slavi, a Trieste, a tutto danno dei primt El). . . Un'altra spiegazione è ammessa; che i ministri degli esteri a9stro-tlngarici abbiano ad assicurarsi, ogni" volta più, non della personale imbecillità d~i colleghi italiani, ma della volontà dei poteri ina– movibili ed irresponsabili del Regno di rimanere, a qualunque costo, attaccati alla Triplice. Prima che· Di San Giuliano s'incontrasse con Berchtol1i, il re cl'Italia aveva ossequiato, a Venezia, l'impe– ratore Guglielmo. E qui, per concludere, vien naturale una do– manda. Se l'Italia non ricava <falla sua politica estera nè tranquillità di vita, nè l.Jeneficii econo– mici, nè potenza, nè considerazione; perchè il Go.– verno persiste in essa, e perchè nemmeno i nazio– nalisti più accesi domandano un cambiamento di indirizzo? La risposta non è difficile, quando si consideri ·che, in Italia, la politica estera non è fatta dal popolq, e nemmeno dal Parlamento, ma dal potere esecutivo, sotto l'ispirazione della Corte. I mini– stri degli esteri, che sono .s~mpre deglì ambascia– tori o dei generali, continuano in carica, assieme ai- loro colleghi della guerra e della marina, anche quando i ministeri cambiano, e i colloqui politici del re con altri sovrani possono ancora. aver luogo senza la presenza del ministro competente. Vi è così un fattore fisso nella politica italiana, che fi. nisce con l'adattare a sè le variabili combinazioni degli elementi ·parlamentari. Inavvertitamente, tutta la politica italiana è determinata dall'alto, pur quando si hanno le maggiori parvenze di Go• verno democratico. Di tutte le tolleranze verso le forze benefiche e le forze dannose,· verso i fat– tori di progresso e quelli di corruzione, che hanno tantp contribuito alla fortuna politica dell'on. Gio– litti, forse la decisiva,. benchè la meno avvertita, è stata quella verso la politica estera di Corte. Se è un'esagerazione chiamare Giolitti un astemio di poliU-ca estera, è certo che egli si è occupato di problemi internazionali per necessità e non per vocazione. Un tale temperamento ·era quello che conveniva alla monarchia.. Questa non può dimen– ticare che i due Imperi centrali sono la più grande forza di conservazione del mondo. Si può. anche permettersi il lusso di ricevere al Quirinale qualche riformista in giacchetta, quando il cuore dell'Eu– ropa è retto con ordinamenti in cui il diritto di– vino pesa ancora tanto più che la. volontà popo– la.re . Questq carattere eminentemente conserva– tore della Triplice, spiega il consenso dei nazio– nalisti. I divorzi di Caillaux e le influenze dei finanzieri francesi sono segni evidenti di decadenza demo– cratica, ma i ,costumi dei <'Ortigiani di Guglielmo e gli affarucci di casa Krupp sono ben coperti sotto la maestà dell'Impero. Democratici e radi– cali, poi, sono felici se hanno qualche sotto-porta– foglio, e credono aver ì·isanato il mondo, quando uno di loro· è ministro delle poste. Che importa ad essi della politica estera? Erano fisime, queste, dei Cavallotti e degli Imbriani. . Il Proletariato socialista non ha nulla a vedere con la Triplice Alleanza, nè con altre combinazioni "di Stati. Esso ha già stretta l'alleanza naturale· e necessaria tra i lavoratori di tutti i paesi. Ma (I) Il deputato soolallsta, on. Plttonl, nell'adunanza del Consiglio • oomnnale di Trieste, ha attribuita tutta la responsabilità del con– flitto alla polizia, È evidente l'Interesse del governo di Vienna a rlnrocolare gli odll tra le varie nazionalità soggette. a Gino Bianco non è inutile osservare come interessi monarchici, simpatie reazionarie e viltà democratiche inducano tutte le forze che partecipano al Governo a tra– scinare il paese ad una politica estera che lo ro– vina economicamente, lo rende mancipiò dei suoi alleati e lo isolà ostilmente dalle maggiori forze di progresso. Inoltre, rinunziando a quegli ideali, di rispetto al principio di nazionalità e di simpatia per i paesi liberi, con i quali l'Italia si è costituita ad unità, la borghesia si priva anche del pretesto per invocare la solidarietà E;l la simpatia della classe lavoratrice. La costitùzione degli Stati' nazionali può esser considerata, assieme al capitalismo; come un antecedente del socialismo. Ma il sentimento di patria, superato dall'internazionalismo socia• lista, che lo comprende in sè, è invece rinnegato ed offeso dal nazionalismo e dall'imperialismo. L'alleanza con i preti, all'interno, e con l'Impero Austriaco, all'estero, trova il suo pendant logico nella forca, adoperata come strumento di con– quista. Il patriottismo borghese non è che una · speculazione reazionaria. · · · E. 0. LONGOBARDJ. ILPRIMO MAGISTRATO DEL LAVORO (GIOVANNI MONTEMARTINI) Nel piccolo eremo, donde era partito, armato di scienza, di operosità e di ideale, Giovanni Monte– martini tornava, pochi giorni or sono, ma solo ·nella poesia del rito del ricordo. Tutti i socialisti d'Italia erano col cuore colà, misti alle più diverse rappresentanze. Angiolo Cabrini, che doveva tes– sere il discorso, ne colse l'occasione per tracciare le direttive a cui costantemente aveva ispirato l'opera sua il primo Magistrato del lavoro. Il grande. affetto e la venerazione per l'Estinto non scemano pregio alla indagine che interpreta l'insegnamento secondo detta dentro - libera– mente. La Critica Sociale è lieta di pubblicare quel discorso, togliendone appena l'esordio e la perorazione commossa e commovente, che rispon– dono ai sentimenti intimi. del luogo e della circo– stanza. La fun3ione e il fun,;ionario. D'ogni forte lavorntore, che abbia spesa utilmente la sua· giornata, accade che non si possa parlare senza c.he si debba insieme parlare dell'opera sua: solo a pochi è serbata la sorte che non si possa dell'opera loro discorrere - ancorchè essa sia collettiva - senza che dalla stessa emerga nitida, irresistibile, la loro in- dividualità. · · Tra gli eletti fu, è, sarà Montemartini nostro; tanta è stata· la immedesimazione dell'ope~a nell'uomo, del– l'uomo nell'opera. · Quale la ragion prima di si perfetta fusione? Parmi sia da cercarsi nel rapporto fra la funzione e il fun– zionario. Quando la funzione appaga nel funzionario tutti i bisogni della sua vita interiore, nessuna discontinuità, nessuna contraddizione più si lamenta nella attività del funzionario. L'ufficio si trasforma, nobilitandosi, in uno stromento per l'esèrcizio di un m.ioisterio. Non si cono~ce là carriera; si compie una missione. Il gelido Dovere lascia il posto alla bruciante e tra.volgente Passione. Cert~mente, nessun partito, nessuna - setta può pre-
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