Critica Sociale - Anno XXIV - n. 5 - 1-15 marzo 1914
CRITICASOCIALE 77 il problema delle crisi, dell'immiserimento cre– scente, della sparizione dei medii ceti e della for– mazione di al·tri ceti medii al loro posto; bisogna analizzare la teoria marxiana dei salari e porre . in risalto tutti quegli elementi, che dialettica– mente mostrano l'automatico inabissamento e dis– gregamento del capitalismo; bisogna provare come errata la teoria revisionistica che il capitalismo non ha un'unica linea di sviluppo, che tutte le indu– strie non seguono una direttiva uniforme, che il presente ordinamento sociale è elastico, e non già rigidamente meccanico e destinato a saltare per aria in un dato momento; bisogna mostrare come erronea la concezione del ritmo alternato delle industrie e dei loro limiti di espansione;· bisogna, in una parola, toglier base a tutte quelle argo– mentazioni, che i revisionisti appuntano contro la previsione marxista del fatale e catastrofico dissolvimento del capitalismo. Sappiamo bene che in una conferenza si ha da essere molto succinti; ma una cosa è la stringa– tezza, un'altra l'omissione di questioni, che nel nostro caso sono della massima rilevll,nza. 1 " 1 Sé" Ù 'Mtis'solini' rìpetéra 'altrove la sua confe– renza sarà bene ometta piuttosto l'introduzione storica sul socialismo utopistico, per trattare più diffusamente il punto da noi accennato. Così la discussione su questo vessato problema della con– centrazione e dell'immiserimento potrà fare qual– ·che passo in avanti. Ma prima occorre convincersi che il revisionismo non è solo Jl portato di un periodo di prosperità economica e non dipende soltanto dalla floridezza industriale verificatll,si negli ultimi venti"anni. Esso va al di là di questa contingenza storica e dell'aumento innegabile av– venuto nei salari reali durante gli ultimi decenni; è una profonda e vasta concezione politica, storica, filosofica, che trascende di molto i confini ristretti tracciati dal Kautsky, e che, nella più riposta essenza sua, può benissimo prescindere dai periodi ciclici delle crisi e dei rigogli industriali,' pur negando che le crisi avvengano secondo il ritmo previsto dal Marx e siano preludio a quella crisi delle crisi, che è poi la catastrofe finale. Saltando le critiche mosse al sindacalismo e al " mito ,, soreliano, alle quali ll,deriamo pienamente, ùn'altra parte del discorso Mussolini, su cui dob– biamo fermarci, è quella relativa all'efficacia rivo– luzionaria delle riforme. E' il punto centrale della disputa. Ha affermato il Mussolini: "In che cosa ci di– stinguiamo npi rivoluzio,nari dai riformisti? Da ,qµ~stp; c)le ,easi credono o. hanno creduto -che la, riforma sia un'anticipazione di socialismo: io credo invece che la riforma non sia che uno svolgimento della società borghese nei confini ben segnati.della società borghese ,,. Per intenderci dovremo qui ripetere i motivi delle vecchie polemiche sul concetto di 1•i(orrna e rivoluzione e dire che il revisionismo non si è mai sognato di ridUl're tutte le riforme ad un unico denominatore comune? o col signor La Pa– lisse proclamare cl;te bisogna distinguere riforma da riforma, come si distinguono (agots da (agots? Il riformismo è del tutto innocente della micro– mania legislativa di-taluni, e senza difficoltà può ammettere che molte e molte riforme non hanno carattere specificamente socialistico. Ma non è così di tutte, di moltissime altre, che si possono otte– nere e conquistare, sì nella cerchia della fabbrica come in quella del Comune e dello Stato. Nella fabbrica noi vediamo che, principalmente ad opera dell'organizzazione, delle tariffe collettive, delle Commissioni operaie, ecc., viene a poco a poco attenuandosi l'assolutismo padronale; nel Comune noi vediamo la possibilità di un allargamento indefinito dei pubblici servizi e del progressivo assorbimento di .molti monopolii privati, le cui rendite ora affluiscono nelle tasche di ristrette camarille; nello Stato noi scorgiamo la possibilità di una ininterrotta democratizzazione, trasfor– mando gli organi repressivi della politica interna in sicure guarentigie della libertà personale, mu– tando fisonomia all'aulica e diplomatica politica estera, diffondendo l'istruzione professionale, at– tuando profonde riforme tributarie, magari colla confisca graduale dei. pa trimpni, come suggerisce un grande economista inglese contemporaneo, il Pigou, ne1la celebrata opera Wealth and Wel– (m•e (1), innovando le organizzazioni militari, come hanno additato il Cohen in Germania e lo Jaurès in Francia colla Nouvelle Ai·mée, ecc., ecc. A nostro avviso, tutto questo, e il molto altro ancora che si potrebbe aggiungere, serve a raf– forzare la posizione di lotta delle classi lavora– triqi, a diminuire gli sfruttamenti, a sdttoporre ad ognor crescente controllo la ricchezza sociale, ad attenuare le discrepanze e le ingiustizie nelle posizioni iniziali individuali; a nostro avviso, con la effettuazione delle riforme, degne davvero di questo nome, è difficile contestare che la società _presente vada mano mano spogliandosi dei suoi elementi borghesi per acquistarne dei socialisti. Saranno, se si vuole,· anticipazioni un po' spurie, che andranno purificandosi in seguito ad opera dei socialisti; ma, quel che sembra inoppugna– bile è che esse rappresentano altrettante tappe necessarie nel processo. Il riformismo potrebbe essere colpito a morte solo se si dimostrasse (il che pare impossibile) che queste tappe sono su– perflue. Ammessa la loro necessità, diventa una questione bizantina dal punto di vista pratico il distinguere fra preparazione ed anticipazione. L'una cosa si compenetra nell'altra. Nessuno può analizzare il nesso che congiunge il principio e la fine di un procediment.o dialettico, come nes– suno può cogliere il punto di passaggio dal giorno alla notte, dalla virilità alla vecchiezza, dalla: sa– lute alla malattia. Per far ciò occorrerebbe (come_ ha dimostrato il Bergson) che la nostra mente fosse foggiata in modo diverso, capisse la durala reale, il movimento, anzichè percepire la discon– tinuità geometrica della materia. Ma, se il movi– mento ci sfugge. nella sua natura intima,· non per questo è meno vero che i 'Vari momenti del procedimento sono tra loro interconnessi ed in– terdipendenti, e che non si deve considerare il principio e la ''nhé s·enza tener· conto dei moriiènti stessi. La questione in fondo è filosofica, com,e diven– tano filosofiche tutte le questioni, che siano un po' approfondite. Per conto nostro, allargando un poco la sfera delle argomentazioni, osserviamo che errano quei contingentisti, i quali pensano che le sfere della realtà siano tra loro separate e che, ad esempio, tra il mondo fisico-chimico, il (!) Vedi A. PIGOU: WeaUJ, and Welfa,·e; London: Macmlllan, 1912. 11 Plgou è proressore all'Università di Cambridge e successore del Marshall. È uno del pochi economisti universitari a tendenze socia– liste. Egli sostiene ohe Il beness~re della nazione aumenterebbe grandemente col trasferire coattivamente la ricchezza dalle classi rlcohe a quelle povere. Non esitiamo a dire che Il Pigou vale da solo molte decine di economisti apologeti del capitalismo. La sua produzione scientifica però non è di facile comprensione. Special• mente l'opera ohe citiamo più sopra è irta di dimostrazioni e espres– sioni matematiche. Tuttavia la segnaliamo agli st!ldlosl e at soola– llstl d'Italia.
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