Critica Sociale XXIII - n.22-24 - 16 nov.-16 dic. 1913
CRITICA SùClÀtE: IL DISCORSO DELLA CORONA Peo-~ior servigio non poteva rendere alla Corona l'on. 0 Giolitti di quello della concione del 27 no– vembre! A così piatta mediocrità concettuale e furmale, a cosi· squallida povertÈI. <li spirito e di idee forse non fu fatta discendere mai l'oratoria reo·ale ! Nè forse mai, nelle passate legislature, ac– cadde che risaltasse così profonda e acuta la dis– crepanza fra la cosiddetta " voce del Paese,, e la parola dei governanti! Eppure era ben questa la volta che doveva parersi la "nobilitade ,, degl·i uomini che presiedono alla nostra cosa pubblica! Qui Giolitti doveva far vedere la sua capacità a bene interpretare ed esprimere l'anima delle mol– titudini che gli piacque - chissà per quale miope calcolo astuto! - di. chiamare alla ciignità del suf– fragio; la sua bravura in sapere far confluire in una sola strada e verso un programma nettamente det~rminato e" riuscibile,, le energie popolari e i mer,zi di cui il Potere dispone! Di tale bravura - dicevo - neppure i più tenui segui riesce di sorprendere tra le righe della pro– lissa e sciatta prosa, con la quale la nuova Camera fu inaugurata! Non ci sono ehe luoghi comuni, motivi vieti, trite e convenzionall generalità. La nota che vorrebb'essere la più forte - l'esal– tazione della gesta libica - non ha una vibrazione uuova, non si decora di nessuna frase che non sia stata iu questi due anni mille volte ripAtuta uelle discorse ufficiali e negli articoli delle gazzette del– l'ordine. Ha, ora che non lJiccola parte <lei popolo - il "popolo,, salassato nel sangue e nelle fonti prime dell'esistenza quotidiana - ha aperto gli oc– chi e s'è avvisto della retorica moutatura che con– tri lluì così sensibilmente all'infatuazione tri poi ina, qualcosa di stantio e di postumo. E l'accenno stesso - iI timido, quasi pavido accenno alle correnti emi– gratorie chA " in tempo non lontano ,, (un mezzo se·colo, forse!) potranno dirigersi alla volta della nostra arenosa· colonia, sembra una ritrattazione compunta delle mirabolanti promesse e delle sto– lide menzogne, con che. l'ingenua e ignara anima popolare fu nel triste autunno del 1911. esaltata e allucinata! E così è dell'altra nota maestra, dell'altro spunto saliente dell'orazione inaugurativa: la nota anticle– ricale. Non vi è dramma di novità, neppur verbale nè occasionale. Non vi è un accento, da cui sia one– stamente possibile ricavare alcun proposito con– creto, alcuna minaccia schiettamente e animosa– mente laicale. 'rutto e nulla vi può, ugualmente capire. E ne possono essere paghi i ma,ssoni e i lanzichenecchi del conte Gentiloni; i bloccardi e i bloccofobi: più, anzi, questi di quelli. Chè co~iffatt,a offa, cti parole insignificanti ben è compensata e controbilanciata dai patti non platonici dell'alleanza elettorale; dall'aiuto porto al Governo dal le sacri– stie e da quello a queste; da ciò che i clericali han già avuto e, più, si ripromettono di avere dai ,·a– llicali Credaro e Vicini - non per nulla, checchè essi protestino, rimasti indisturbati Dei loro non più fidi Collegi! - nel campo della scuola. E miserevole, sfuggente a qualunque configura– zione precisa è il rosario delle promesse. Una sola - delle promesse che contano e.... costano ai con– tribuenti - è chiara: quella delle nuove tasse - tasse di guerra! - a cui dovrà sobbarcarsi " a pat1'i'ottismo delle classi agiate ,,. Le altre sono promesse che non impegnano affatto, tanta è la latitudine con cui sono annunciate. Che vuol dire, .a cagion d'esempio, la promessa, vasta come la misericordia divina, di "perfezionare e completare la leo-islazione sociale a favore dei lavoratori? n· Nulla"' chi pensi che in questa materia, nonostante la de~ennale battaglia di pochi volonterosi, non c'è da " perfezionare,, e da " comple~are ,,, ma da fare da creare ex novo, e che, per fare e creare, occ~rrouo quattrini, quattriDi e quattr)1;1i: il tri– nomio della politica della pace anche p1u che della politica della o·uerra ! E che significa, per dare un altro esempio, 0 che significa, di fro1;1te _all'_attualità paurosa .della nostra scuola media m 1sfacelo e mentre si sa che il Governo non vuole spendere un centesimo per essa, ma anzi vuol farne una nuova macchina fiscale, la banale dichiarazione che "l'istruzione media dev'essere seria, educativa, adatta all'indole della gioventù italiana e alle ne– cessità della vita?,, Significa che l'on. Credaro, più gentiloniano che mai, è definitivamente incaponito nel progetto di rendere irrimediabile la rovina di essa scuola e di fare di questa un grazioso pre– sente ai suoi nuovi amici: agli amici, intendo, del non più suo avversario avv. Mauri !... . Su altri formi<ialiili problemi, poi, la concione tace. Alla riforma tributaria - salvo lo ~spunto bellico surricorclato - non è d.edicat,a neppure una sillaba. Il problema doganale non è neppur lonta– ·namente accennato. Gli zuccherieri,. i siderurgici, i latifondisti, i mercanti di grano, gli affamatori insomma, possono continu_are a dormire fra due guanciali o, se mai, vigilare per " completare e perfezionare ,, la loro leggiadra industria! Quel silenzio è tant'oro - e oro non metaforico! - per loro I E per essi, pel loro smilzo e lupesco manipolo più assai che per gli altri ti·entaquattro milioni d'Italiani tormentati dal caro dalla vita, sono le promesse del rinvigorimento dell'agricol– tura, dell'indust,ria e del'la marina mercantile: rinvi– gorimento, ben s'intende, di spedienti protettivi .... *** Questa è la risposta che il Ministero " riforma– tore ,,, il Ministero <la cui" i radicali, meno quattro o cinque ingenui hornines novi, non hanno avuto cuore di staccarsi, ha clato al mònito uscito dal– l'urna nelle giornate elettorali del 26 ottobre e del 2 novembre! Una risposta che parretihe una beffa ed una sfida, se non fosse la risultauza meccani– camente necessaria della situazione di cui l'on. Gio– litti - il Dittatore! - si trova prigioniero; l'espres– sione fida e nitida dell'ambiguo e ibrido giuoco di forze nel quale egli, con la sua consueta cinica scaltrezza, si arlopera e si lusinga di far consistere l'equilibrio della compagine e dell'opera ministe– riale. Egli vuole, infatti, tenersi bùoni i firmatari - scritti e " parlati ,,, dichiarati e retictinti - del patto famigerato, e i radicali; i sedicenti de– mocratici costituzionali - bravi nell'arte novissima di figurare 01• si or no nella turba giolittiana, di confondersi nell'immane numero degli asca,•i o di " differenziarsi ,,, di sfoggiare o di occultar~ la loro personalità secondo che le vicende delle competi– zioni di Montecitorio consigliano - e i riformisti di " destra ,,, dei quali infatti alcuni sembrano de• siderosi di muovere col piè di piombo nella loro opposizione, rli aver la mira rivolta contro il gio– littismo più. che contro l'un. Giolitti, ·sperato restau– ratore forse delle fortune del " popolarismo,,; i mi• litaristi e i protezionisti - questi soprattutto! -, e i fautori di nna politica economica e tributaria meno iniqua di quella che ci angustia ed assilla; vuole - in una parola - seguitare· nel· suo antico giuoco di governare sulle rovine dei partiti ; di spiegare. un'opera intrinsecamente conservatrice dl!,ndosi 'l'aria del rinnovatore; di dissolve,re le fonti più preziose della prosperità nazionale, di depri.– merne i valori civili e spirituali - · più •gelosi
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