Critica Sociale - XXIII - n. 18 - 16-30 settembre 1913

280 CnITICA SOCIALE scioperi e rimane a terra non rischia nulla ma nep– pure arriva alla riva lontana, che è la mèta della nostra nostalgia; a bordo dunque e avan,ti! fuori dalle fabbriche! fuori dalle officine! »; lo stesso Frank, al Congresso, constata melanconicamente: « Noi non abbiamo lo slancio latino>>. Sentiamo Bernstein: « Noi tedeschi non ·siamo au– daci; non siamo gente da insurrezione. Non abbiamo mai fatto una rivoluzione. Bisogna in ogni paese adat– tarsi alla tattica che corrisponde alle sue tradizioni. Confortiamoci pensando che in compenso abbiamo saputo tessere organizzazioni che sono cresciute a formare uno Stato entro lo Stato borghese, riuscen– dogli molto più incomode che non sarebbero le som– mosse. Continuiamo per la nostra strada maestra del parlamentarismo e del costituzionalismo». Sentiamo ancora Bauer, interprete autorizzato del pensiero della massa organizzata nei Sindacati:· « Le organizzazioni economiche non hanno tempo da per– dere in chiacchiere, in orgie di frasi rivoluzionarie, Smettiamo e discorriamo di cose serie; per esempio, della disoccupazione operaia che ci interessa assai di più D. C'è la Luxemburg che ha fede in. una azione di masse... ma è russo-polacca. Se poi leggiamo i giornali dove, come dicemmo, si discorre senza tema di venir sopraffatti da proteste, le note di sfiducia e di scoraggiamento crescono di tono: La Essener Arbeiter Zeitung, organo dei minatori dell'Occidente, butta una doccia di acqua fresca: « Calma, calma, raccomanda, non perdiamo la te– sta >J. - La Rheinische Zeitung non ha la fede: « La mancanza di temper>amento che grava sul carat– tere tedesco impedisce ogni assalto. Lo sciopero ge– nerale politico non può attecchire e vivere nella pla– cida atmosfera politica. La paralizzante e deprimente apatia dei più· toglie ogni speranza di riuscita». - La Nicderrheinische Arbeiterzeitung consente in ciò;. nondimeno spera che un lavoro intensivo di persua– sione, di incitamento sui tepidi. e sugli scettici p·o– lrebbe farci arrivare dove i latini sono portati dalla passione e dal temperamento. - La Chemnitzer Volks– stimme: « Gli uomini con-quistano la libertà, con– quistano la potenza di avere la libertà, soltanto quan– do .hanno vivo il sentimento che una vita senza libertà non val nulla. Da questo punto noi siamo ancor lon– tani. Le masse operaie prussiane non dànno suffi– ciente valore ai diritti politici e alla libertà politica». - La Markische Volksstimme: « Lo sciopero generale è un articolo d'importazione. Manca in Germania la massa, manca· l'entusiasmo che sono necessari per tale impresa. E mass e ed entusiasmo non si creano da oggi a dom"< J.ni ». - Il Proletarier, organo della Federazione dei lavoratori delle fabbriche, intitola un articolo: « Non giochiamo col fuoco! ». La Erfur– ter Tribune constata amaramente: « II proletariato germanico ha sopportato che gli si rubasse il suf– fragio ad Amburgo, in Sassonia, a Reuss; dove era l'energia rivoluzionaria che fa difendere i propri di– ritti coi denti e colle unghie?». Notiamo di passaggio che in questi casi si era offerta una buona- occasione per l'applicazione dello sciopero come arme di di– fesa. - Citiamo ancora il Braunschweiger Volksfreund e poi lasciamo, non perchè manchi la materia ma per non tediare: « La democrazia socialista germanica fece il maggiore sforzo per costringere e mantenere le classi lavoratrici nella legalità e vi è riuscita be- nissimo. La massa acquistò un carattere non rivolu– zionario, ma pacifico, conciliante, paziente. L'operaio si acconciò nel miglior modo allo stato di cose at– tuale; si fece un cittadino modello che porta i suoi risparmi alla cassa, vive secondo le norme igieni– che e si astiene dall'alcool. L'organizzazione politica e quella economica, la Cooperativa di consumo, il Circolo di istruz.ione, la Società corale lo intratten– gono piacevolmente; egli trova che non si sta troppo male a questo mondo, se anche i diritti politici sono scarsi. Di questo stampo sono. specialmente gli ope– rai che formano la burocrazia delle organizzazioni. Brava gente che non fa delle rivoluzioni e nepp•ure degli scioperi generali ... ». * ** Partendo da punti di vista diversi, arrivano tutti, dunque, alle stesse conclusioni. Dopo ciò, non si tro– verà più strano che j dubbi più forti sulla maturità qella classe lavoratrice ad una azione di massa, sor– gano appunto nel paese ove la democrazia sociale e le organizzazioni economiche hanno raggiunto la più alta potenza; nel paese della disciplina e delle vitto- 1,ie elettorali. E si è così in grado di s·empre meglio compren– dere il dibattito che si agitò al Congresso, il quale· non si aggirò, come parve a qualouno, su un punto secondario, ma andò al nucleo· della q'Uestione. Ta– cere o parlare? Vale a di_re: riconoscere che lo scio– pero per ora e in avvenire non è possibile e aspet– tare a riparlarne quando non sarà più necessario; op– pure conservare la fede ·ne.Ila sua possibilità e lavo– rare, provarsi a· realizzarla? Tesi della Direzione: non di&cuterlo, nè al Con– gresso, nè dopo. Primo, perchè è tattica di accorti capitani non mostrare all'avversario, al nemico mor– tale, le nostre carte. Non c'è bisogno di confessargli ciò che noi non possiamo fare. Non conviene spin– gere la cavalleria fino al pun,to di dirgli: Senti, io ho ancora un'arme a mia disposizione; se me ne 9ervo, tu sei un uomo ·morto. Ma non aver paura; per il momento non posso servirmene. Lo sciopero generale poteva almeno servirci di spauraccl;iio; ora si sa ch'è un'arme scaii~. - Secondo: perchè ·.1a discussione non serve a nulla, anzi è dannosa. Lo sciopero, se mai, dovrà maturare da sè autoi:natica– rnente e, giunta. l'ora, ci troveremo automaticamente tutti pronti. La consegna è di tacere. ·Si lasci al tatto, al senno delle rappresentanze cui spetta, al momento opportuno, esaminata la sibuazione, sentito il parere dei competenti, prendere i provvedimenti opportuni. . Bisogna invece parlarne e con insistenza, ribattono gli oppositori. Se vogliamo che milioni di operai e di impiegati si' inducano un giorno a gravi sacrifici-, non per ragioni di orario o di salario ma per una conquista ideale che non recherà· loro nessun van– taggio personale, bisogna fare un intenso e profondo lavoro di preparaziòne. Bisogna dire a questi milioni di uomini che cosa vogliamo e che cdsa ci aspettiamo da loro. Questo n·on è già giocare colle armi, bensì affilarle. - Dobbiamo accingerci ad un instancabile appassionato lavoro di dil'Uciaazione e di sferza eh~ distrugga tanto le illusioni del romanticismo rivolu– zionario quanto quelle del revisionismo degenere e dimostri la amara ma ringagliardente inevitabilità di gravi Lotte decisive: che créi, educhi e rinsaldi ,una ferma incomprimibile volonta di ·agire, 1~ quale· dia l'ardire e l'entusiasmo per l'attacco. e la perseveranza

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