Critica Sociale - XXIII - n. 18 - 16-30 settembre 1913
CRITICA SOCIALE 279 nostro aiuto. A noi verrebbe forse un altro tele– gramma dalla Francia con mille cordiali augurii ·e con venti franchi di sussidio. · Gli altri paesi o non hanno organizzazioni affatto, come la Russia, ove gli operai hanno due soli di– ritti, lo knut e la Siberia; o hanno organizzazioni scarse, come la Francia e l'Italia. Quelli son paesi da sciopero generale a buon mercato. Il sindaca– lismo rivoluzionario francese e, possiamo aggiungere, italiano - a questa conclusione venne anche l'eco– nomista L. Brentano in una sua conferenza a Mo– naco - non ·è che l'espressione della debolezza dei Sindacati, dello scarso numero dei soci e degli ancora più scarsi fondi di cassa. Si capisce che essi giurino su11o sciopero generale, « su quella forma di rivolu– zione che - secondo la elegante definizione di ur:i -ex-sindacalista che ha poi fatto una discreta carriera, <licia.mo Aristide Briand - s'inizia sul terreno legale ed è cosi generale che la mobilitazione d'un corpo d'armata per schiacciarla riesce assai difficile, se non impossibile». Il movimento germanico è altra cosa. I sindacalisti francesi ed italiani n,on hanno nulla da perdere. Noi invece contiamo due milioni e mezzo di organizzati contro i quali si accampa un mezzo milione di ade– -renti ad organizz-azioni nemiche. Abbiamo in cassa somme ingenti. Sappiamo il valore di ciò che posse– diamo e sappiamo anche il costo degli scioperi par– ziali e generali. Abbiamo percorso un bel tratto di cammino; abbiamo fatto molto, e molto ci -resta da fare e, lo faremo, seguendo la stessa via, usando lo stesso metodo. Lavoriamo e camminiamo. Non ab– biamo nessun motivo di correre col rischio di rom– perci il collo; non abbiamo nessun motivo di dispe– rare di noi stessi e della nostra tattica bene speri– mentata. Quanto al suffragio prussiano, la questione è im– portante certo, ma c'è tempo. Anche nel campo po– litico, al Reichstag, per il quale abbiamo il suffragio universale che i compagni Belgi non hanno, c'è ancor molto da fare. Più tardi, si· vedrà. Per ora noi siamo minoranza, per quanto grossa, e sarebbe antidemo– cratico pretendere che la maggioranza faccia la poli– tica che fa comodo alla minoranza. Quando avremo con noi i tre quarti del popolo, e verremo ad averli senza alcun dubbio ... Se ne dubitate, ecco qua David che vi fa il conto, chiaro e semplice. Comprenderete perchè egli e Kolb per i revisionisti estremi, e Bauer per i Sindacati/ non vogliano in realtà sentir parlare di sciopero generale, nè ora nè mai. Ecco qua: Nelle elezioni al Reichstag i votanti sono dodici milioni; oltre quattro milioni son già nostri; degli otto re– stanti, due soltanto appartengono alla classe capita– lista e a gente ad essa legata; gli altri sei milioni sono di piccoli borghesi e di contadini che aspettano la nostra parola. Si tratta di guadagnarli a noi. 'Quan– do saremo maggioranza - e c'è· tempo - potremo fare lo sciopero generale avendo in tasca la garanzia <lella vittoria... Senonchè allora non sarà più neces– sario. * ** Giunti a questo punto possiamo comprendere per- chè al Congresso si sia discusso non se si debba fare o non fare lo sciopero generale, ma se convenga o non convenga parlarne. La questione della maggiore o minore preparazione passa in seconda linea. La que– stione vera, sostanziale, è di temperamento, di ani– ma. Sente la massa la grossa questione del suffragio prussiano, di q,uesta che fu chiamata l'ardente que– stione centrale della politica interna germanica? Sen– te lo sciopero generale politico? - Non sembra. Per quanto riflette il suffragio in Prussia, la colpa è anche della democrazia socialista, che per tanto tem– po non se n'è curata, non giudicandolo degno delle ossa d'un compagno prussiano, come i Balcani non va– levano, per il principe di Bismarck, le ossa d'un grana– tiere della Pomerania. Ed ora l'operaio tedesco do– vrebbe sentirsi pronto a dare per questo suffragio averi e vita? Egli non è facile a cambiare di opinione nè a prender fuòco. Del resto fuoco non prende per nessuna grossa questione politica. Non certo per la più grossa di tutte, per lo sciopero generale. Lo si· è detto e ripetuto al Congresso e prima, a titolo di elogio o di biasimo, dai lusingatori e dai critici della massa operaia, che essa non sente lo sciopero generale politico; che, se la questione è sorta, bene o male che sia, lo si deve agli accademici. Il proletariato non. vuol sentirne parlare. « Perchè - disse Scheidemann - esso conosce troppo bene il mercato del lavoro e sa che conto debba fare dei cristiani, dei gialli, dei disorganizzati. Per ciò esso tace, o si contenta di mormorare a denti stretti: « ancor.a non è tempo! ». La spiegazione è ottimista. Che taccia, non c'è dubbio; ma che digrigni i denti impaziente, non risulta. Questo ripetono 8'U tutti i toni i_suoi amici stessi, un po' al Congresso, ma più sui giornali dove si può parlare più liberamente. Lo stesso Scheidemann protesta: « Non si denigri il po– polo tedesco; non si deve credere che esso si ras– segni ad essere messo sotto i piedi sempre ». E il Vorwiirts ancora più energicamente: « Si crede dun– que che il proletariato germanico abbia nelle vene sangue di pesce? Si crede che esso possa rassegnarsi al ristagno politico, alle pazzie militariste, agli at– tentati contro il diritto di coalizione, all'onta del suf– fragio delle tre classi? Bisognerebbe avere un tem– peramento flemmatico addirittura criminale per non pensare a qualsiasi mezzo di lotta, ness-uno escluso, che possa liberarci da un simile st.ato di cose. Come? due Congressi a Jena e a Mannheim avrebbero vo– tato a maggioranza stragrande una risoluzione che dà allo sciopero generale il carattere di importante arme politica, perchè poi venisse tranquillamente ri– posta a dormire negli archivi? Ah no; l'operaio ger– manico non ha temperamento impulsivo e non è da temere che si muova troppo presto, ma gli attri– buiamo sufficiente combattività da non limitarsi sol– tanto ·a discutere lo sciopero. Venuta l'ora, esso lo farà D. Ma verrà l'ora, una volta? Anche fra le calorose proteste e denegazioni traspare il dubbio. Altri ap– paiono più apertamente scoraggiati e rassegnati. Lo stesso Frank, che nell'ardente discorso di Wil– mersdorf appariva fiducioso: - « Gli operai, che sof– frono disagi di settimane e mesi per conquistare qualche soldo di maggior salarfo, penseranno che l'uguaglianza politica può ben rnlere altrettanto e saran disposti a far per essa lo stesso sacrificio ... » - e che, dopo aver rapidamente fatta la storia degli scioperi generali combattuti all'estero, esortava con intonazione di fanfara: « Impariamo dunque dal pro– letariato internazionale la lotta di massa, noi che ci vantiamo di avere il movimento più progredito e la stampa più diffusa del moÒdo; dobbiamo salire a bordo se an_che gli scogli minacciano: chi teme gli
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy