Critica Sociale - XXIII - n. 18 - 16-30 settembre 1913
CHI1,'ICA SOCIALE 283 Di più : il ritrarsi di talune grandi potenze dalla. politica mondiale favorirebbe l'egemonia delle al– tre e scatenerebbe competizioni formidabili fra que– sle per disputarsela. E, come le prime a ritrarsi sarebbero le nazioni in cui prevalgono le tendenze pacifiste e antimilitariste, ne crescerebbe l'audacia espansionista delle potenze che conservassero tutta la loro forza militare. Il disarmo; poniamo, della Francia e dell'Italia agevolerebbe probabilmente l'uno dei due grandi conflitti che incombono sul- , l'Europa - fra i due, Imperi tedeschi e la Russia, o fra essi e l'Inghilterra. Ne verrebbe l'egemonia su l'Europa deB"liStati più reazionarii: Germania, Auslria-Ungherra, Russia. Un tale antimilitarismo rischia di essere il miglior alleato del militarismo e della reazione. Altra utopia: la nazione armata .. In che sostan– zialmente differisce dagli ordinamenti militari at– tuali? Perchè ed in qual modo essa eviterebbe più facilmente le guerre? O forse costerebbe di meno? Scemerebbe forse la necessità di rinnovare periodi– camente le armi,. le fortificazioni, il naviglio s0- 1:itatutto,'seguendo i continui progressi della 'mecca– nica,. profondendovi milioni e miliardi? Non si tratta - cosa impossibile - di rendere gli armamenti meno costosi, ma di eliminarne la necessità. Or qu_esta non· si elimina davvero,· e. il disarmo generale e totale non si rende possibile, se non con l'instaùrare un ordine di cose, nel quale sia consentita a ogni nazione la tutela della sua auto– nomia e de' suoi interessi legittimi altrimenti che con la guerra : nel quale la giustizia internazionale sia conseguibile mec\i:rnte la pace, e la pace me– ·c1iante la giustizia internazionale. Ha quindi pienamente ragione L. Bissolati di as– serire che, nella presente fase storica, non possono gli Stati prescindere dalla .necessità degli arma– menti. Senonçhè è còmpito per l'appunto del So– cialismo internazionale di spingere la società verso una fase storica successiva e superiore, nella quale tale necessità non sia più sentita: e sarà la più grande rivoluzione politica fra quante ne rammenta la storia. · Ma in, che modo? II. L'arbitrato internazionale. Si risponde da più parti: mercè l'arbitrato obbli– gatorio. E questa, cli tutte le utopie, è forse la maggiore; pertanto, la più dannosa; perchè nulla tanto aiuta a persuadere dell'inevitabilità delle guer- . re, quanto l'esaltare un rimedio affatto insufficiente ad eliminarle. Il concetto di arbitrato obbligatorio fra gli Stati,· ossia cli una Corte permanente, cui tutti gli Stati si obblighino a sottoporre i loro conflitti e a rispet– tarne il giudizio, è altrettanto primitivo e sempli– cistico, quanto il concetto di risolvere con !'.arbitrato obbligatorio i conflitti tra le classi, eliminando per tal via la questione sociale. Come quest'ultimo con– cetto presuppone un'intrinsec.a bontà e giustizia del– l'attuale ordinamento economico, di cui l'arbitrato tempererebbe certi attriti più gravi, e in realtà lo consoliderebbe; così l'altro implica l'accettazione del– la attuale divisione e contrapposizione di Stati, onde le.,guerre si generano; tende a sopprimere l'effetto mantenendo la causa. L'una e l'altra concezione si inspirano all'individualismo liberistico, di cui so– no un tentativo di temperamento. L'utopia dell'arbitrato internazionale, come anti– doto alle guerre, e quindi agli armamenti, sorge dal supposto che i conflitti fra µ;li Stati nascano, come il più sovente le liti fra privati cittadini, da 1,1ndissenso sulla sussistenza o sul valore ~iuridico di dati fatti o atti, sull'interpretazione d, date con– v-eilzioni, sull'applicazione di date. norme di diritto. Ma le cause delle guerre - e intendiamo le cause vere, non i pretesti scovati dalla ipocrisia delle di– plomazie - sono -ben altre. Si tratta per lo più di competizioni per assicurare a sè, o per impedire ad altri, il dominio o l'esclusiva influenza su un dato territorio. E allora sono due volontà in conflitto, che cozzano inesorabilmente l'una contro l'altra. Ouale può essere il giudice? e quale principio di dirÌtto o norma cli equità potrebbe esso invocare a fonda– mento di un verdetto? I criterii per determinare le divisioni territoriali e i confini degli Stati sono an– ?Ora _ciò che di più vago ed « opinabile » si possa 1magmare. Vedete quanti se ne invocavano, e quanto diversi, dagli Stati balcanici, per- la spartizione del territorio conquistato: la nazionalità; la religione; la lingua; i diritti storici preesistenti alla conquista ottomana; la necessità economica di sbocchi sul mare; i sacri– fici sostenuti durante la guerra; l'estensione di paese occupata da ciascun. esercito; i patti stipulali prima della guerra; l'equilibrio politico, ecc. Principii in– conciliabili, di cui ciascuno Stato sopravaluta quello che più gli conviene; talora semplici pretesti. Non vedemmo l'Austria-Ungheria accampare la difesa del principio di nazionalità ... nell'Albania?! Come dunque costituiremo il previo accordo fra ~li Stati su cotesti principii, ché dovrebbero formare Il Codice in base al quale l'arbitro dovrebbe senten– ziare? Già, se un tale accordo si potesse ottenere, l'arbitrato diverrebbe possibile bensì, ma inutile al– l'istante medesimo : vi sarebbe il giudice, teorica– mente la possibilità di un giudicato; mancherebbe ... la controversia. Ma cotesto previo ·accordo è impos– sibile. Prima, perchè, in materia di dominio territoriale, non v'è Stato che consenta a spogliarsi dei dominii che possiede, o a rinunciare a quelli cui aspira, e nei quali scorge una condizione essenziale per sè di :vita e di sviluppo. Limitiamoci pure a questa se– °bonda rinuncia, che• può sembrare teoricamente la meno impossibile; l'arbitrato decide la consacra– zione dello statu quo; trionfa il beati possidentes! Sarebbe l'arresto della. storia: il principio di nazio– nalità verrebbe sacrificato in ogni paese dove esso non ha ancora piena attuazione. Ma per quanto tem– po? L'arbitrato in tanto ha un valore in quanto non solo evita le guerre, ma conduce al disarmò. E il disarmo significa che tutte le genti, la cui naziona– lità è clisconosciut.a, oppressa o divisa, si solleve– rebbero, proclamerebbero la propria indipendenza; le membra sparse cli una stessa nazionalità si sald~– rebbero fra loro. Quale esercito glie lo impedirebbe? O lasceremo ad ogni Stato il suo esercito? L'arbi– trato non avrebbe più scopo .. on sarebbe egli ame– no che la forza restasse nelle mani alle parti con– tendenti, e al giudice non rimanesse che una spada simbolica? O creeremo un esercito internazionale per costringere gli Stati recalcitranti all'ossequio della res ju.dicata? Chi non sente come tutto questo è pretta follia? Dicono: l'arbitrato è in marcia; ogni giorno un nuovo trattato lo contempla e lo istituisce. Se ci si appaga di parole, sì. Ma vediamoli in concreto que– sti trattati. Q"ualicontroversie riflettono essi? Quelle sole che non diedero, non dànno, non daranno mai luogo allo scoppio d'una guerra. Ancora : è facile concepire un arbitrato che di– rima un conflitto isolato fra due contendenti; ma le controversie gravide di guerra interessano di regola, più o meno indirettamente, altri Stati, altri popoli. Il verdetto arbitrale contemplerà anche l'interesse dei terzi? Chi livtutelerà innanzi agli arbitri? E i terzi vi si acqueterann.o? - Le guerre si connettono
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