Critica Sociale - XXIII - n. 18 - 16-30 settembre 1913

· 282 CRITICASOCIALE -corcli.solo nel rovinare i loro popoli con la corsa ai sempre maggiori armamenti. In Francia, ad esem– pio, si ritorna alla ferma triennale! A misurare col · pensiero l'enormità dei nuovi aggravii e delle loro disastrose ripercussioni, si sarebbe tentati cli desi– gnare alla pubblica vendetta quella mezza dozzina cli nemici del genere umano, che, primi, in Germa– nia, diedero il segnale cli questo nuovo pallio di barbarie; ma la follia militarista ha poi così rapi– damente dilagato, che non si troverebbero ormai tanti infermieri clLebastino per mettere a tanti pazzi la camicia di forza! In onta alle più elementari nozioni cli economia, si clànno tuttora uomini politici e pubblicisti, i quali si consolano dello sperpero, perchè esso « procac– cia lavoro continuativo » a folle di operai ed è de– naro che in gran parte « rimane in patria ». Lo ri– peteva, nella Sottocommissione na vale p er gli ar– mamenti, alla l" Conferenza dell' A.ia, il delegato tecnico della Germania. Costoro ragionano ancora -com~ Luigi XIV, che, rimproverato dalla Mainte– non dì far poche elemosine, rispondeva : « il re fa ·eiemosina spendendo ». Vive tuttora in essi il pre– giudizio volgare che la ricchezza consista nel de– naro, che quindi dal denaro si misuri la ricchezza di un paese, e non già dalla quantità di beni in cui -quel denaro può convertirsi e dalla utilità reale_ o ·valor d'uso cli cotesti beni (il valore di scambio, al contrario, cresce in ragione diretta della loro pe– nuria). Non intendono che profondere denaro, sia pure in paese, ma per produrre cose· inutili, di– straendo capitali. ed energie dalla produzione utile e quindi rincarandola, è più dannoso del gettare {[Uello stesso denaro nel fondo "di un pozzo. Già Montesquieu (Esprit des lois, 'libo XIII, ca– pitolo- 17°), denunziava la rovina reciproca, conse– -gue·nte alla gara degli armamenti, gara ch'ei para– gonava a una nuovà malattia contagiosa che avesse invaso -l'Europa; per lui il numero degli armati non doveva superare mai l'uno per cento della popola– -zione. L'uno per duecento, correggeva Romagnosi {Saggio cli politica, V, § 22, e XVII, § 72). E Filan– ·gieri, verso la fine del secolo XVIII, scriveva nella Scienza d?lla legislazione (Lib. II, cap. 7°), illu– strando certo suo progetto di nazione· armata : « Noi manteniamo più truppe nel tempo di pace, che non mantenevano i più grandi conquistatori, -al– forchè facevano la guerra a tutte le nazioni del mon– do. I popoli sono per questo più sicuri, e i confini -del)e nazioni sono forse meglio difesi? Questo è un -errore di calèolo. Ogni principe ha accresciute le sue truppe a proporzione che i suoi vicini le hanno au– mentate. Le forze si sono equilibrate come lo erano prima. Una nazione, alla quale bastavan9 diecimila uomini per di-fendersi, bisogna che ora ne abbia il -doppio, perchè del doppio è cresciuta la forza della nazione, contro della quale vuol garantirsi. I van– taggi dunque della maggior sicurezza sono ridotti allo zero: l'eccesso non si ritrova che nelle spese e nella spqpolazione ii. Che profitto hanno tratto i governanti da tanti ammonimenti? E fino a che punto può abusarsi della pazienza dei popoli? O converrà proprio (come· pensa taluno) che il malanno si faccia sempre più grave, tanto grave eia diventare assolutamente incompor– .tabile, perchè una efficace reazione si manifesti? Tale reazione è mancata,. perchè manca tuttora nella gran massa degli. uomini la visione e la preoc- • -cupazione -dei loro maggiori interessi. Gli stessi par– titi di avanguardia, quante volte vennero proposti nuovi armamenti, non seppero che suscitare effi– mere proteste, senza un'azione organica e costante, .che, pigliando di mira le vere cause del fenomeno, ne prepari l'eliminazione. Non parliamo poi della comune propaganda pacifista, che si limita per J.o più a porre in luce i danni delle guerre e dei cre– scenti armamenti. Con ciò non si fa che sfondare una porta spalancata: cotesti• danni chi li nega? Non è certo l'apologia dei « bagni di sangue» fatta da qualche allucinato, da qualche smanioso di épater le bourgeois, o da qualche interessato, che possa se– riamente intimorire. Si ripete che le spese di difesa sono « il premio d'assicurazione contro il pericolo d'invasioni stra– niere». Sarebbe facile dimostrare che oggimai, in Europa, nessuna patria è minacciata, la quale non tenga in soggezione altri popoli; che, alla djfesa di uno Stato - se esso non si studi di suscitare diffidenze e inimicizie con una politica estera ambi– ziosa e prepotente '-- non bisognano grandi arma– menti, nè. gli armamenti, in caso contrario, sono mai « gr;mdi » abbastanza; perchè non v'è Stato così forte, che una coalizione di Stati, singolarmente più deboli, non valga a debellare (1). La difesa della patria non è che il sofisma, col quale i militaristi cercano rinchiudere gli a:vversarii <l'egli · armalllenti nel fallace dilemma: pro o contro la patria! Attribuire l'aumento degli armamenti al capriccio delle Monarchie o dei Governi, alla volontà della borghes>Ì.a,o, sia pure, alle pressioni dei capitalisti interessati nelle forniture militari, non è più serio che non fosse, un tempo, l'accusare i medici di spar-. gere le epidemie per trarne profitto·. Le Monarchie e i Governi tutto han da temere dalle guerre : il proprio capitombolo an'Zitutto. Per la prosperità delle loro industrie, le liorghesie hanno sopratutto bisogno di una pace siclJ,ra e durevole; e poche ca– tegorie di produttori di cannoni e di cora~zate sono ben lunge dal rappresentare la borghesia. · Perciò è anche illusione il supporre çhe la pro– testa socialista e proletaria nei varii Stati possa fre– nare sensibilmente gli armamenti. Un freno indi– retto può derivare senza dubbio da una pressione costante ed energica che costringa a impiegare in riforme civili costose ·una parte di quelle somme, che altrimenti ingoierebbe la preparazione guerre– sca. _Ma, in generale, l'opposizione agli- armamenti urta contro responsabilità, alle. quali i Governi non possono-, oggi, sottrarsi-. Se quella opposizione di– ventasse vera minaccia, spingerebbe anzi i Governi ad armarsi sempre più, oltrechè per la esterna, an– che per ·ta interna difesa. La realtà è che gli Stati hanno interesse a pesare quanto più possono nei rapporti politici interna– _zionali: le alleanze, le intese, le amicizie, i trattati procurano vantaggi in ragione della forza che uno Stato vi può conferire, o dell'opinione che esso crea in altri di cotesta forza. Analogamente, nella vita mondana, le pompe e il lusso servono ai privati ad acquistare e conservare una certa posizione so: ciale, a guarentirsi od agevolarsi certi successi. Si può rinunciare a ·cotesti vantaggi internazionali, non si può al tempo stesso pretenderli e trascurare i mezzi con i quali si ottengono. Nè, d'altronde, la rinuncia è sempre possibile: si pensi a-lle nazioni che debbono ancora raggiungere l'indipendenza o completare là propria unità. Vi Sono missioni sto– riche cui date nazioni non possono abdicare senza suicidio. (1) Veggasl Ù mio scritto : La pÒIUlca mLlUa,·e ed estera UaUana, In Crllic« Sociale, 1909, n. 14-16 e 16, e F. TURATI: La ve,·tlg,ne degli a,·mame,,tl (Biblioteca della Oi·Uica).

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