Critica Sociale - XXII - n. 21-22 - 1-16 novembre 1912

344 CRITICA SOCIALE Vedemmo che l'ordine del giorno del Congresso di Bologna 2-5 marzo 1911 rappresentava un grande progresso su quello che lo aveva preceduto, in quanto, se ammetteva ancora la gestione delle trebbiatrici da parte delle sole categorie che le facevano funzio– nare, dichiarava però esplicitamente che la loro pro– prietà doveva spettare ad organismi misti complessi (Federazioni o Consorzi di Cooperative). Orbene, ciò che il secondo ordine del giorno di Bologna è stato , prr il problema della proprietà, l'ordine del giorno J.ella Confederazione del Lavoro è stato - rispetto a quello di Bologna del 1911 - per il problema della gestione. · Esso, infatti, mentre riafferma - con maggiore larghezza nell'elencazione delle varie forme possibili - il principio che la proprietà delle macchine debba devolversi ad organismi misti complessi, abbandona anche - tanto nella dizione originaria Calda, quanto nella dizione emendata Altobelli - il principiQ che l'ultimo Congresso di Bologna, aveva voluto soste- - nere, e secondo il quale almeno la loro gestione doveva spettare esclusivamente a1le categorie che le facev1:1,no funzionare. Infatti, in entrambe le dizioni, l'ordine del giomo della Confederazione non parla più di gestione da parte delle citate categorie, ma soltanto di esercizio. E non può parlare di gestione, perchè esp.ressamente dichiara che alle categorie medesime le macchine devono essere cedute dalla collettività proprietaria solo contro " opportune norme e discipline, atte a togliere a questa concessione il carattere di mono– polio ed a garantire le altre categorie ,,. Ora; noi al)biamo •già notato a suo tempo che. gestione im– plica libertà di stabilire tanto il prezzo della merce o del servizio, quanto tutte le altre princip~li con– dizioni relative allo svolgimento di un dato ramo d'industria. Questa libertà viene a mancare, e per di più a mancare perchè la costrizione- si esercita attraverso al fatto che la proprietà stessa di ·quel determinato strumento di lavoro appartiene per la massima parte a terzi: non si può più parlare evi– dentemente di gestione, ma çli semplice esercizio. Le principali funzioni della gestione sono già state devolute all'Ente misto, proprjeta,rio delle macchine. Dopo ciò, il dissenso sorto fril- il Calda e la Alto– belli, se è sintomatico, ha però una scar~a impor– tanza intrinseca. Se si fosse trattato della vera e propria gestione, allora l'ammettere che questa avesse potuto rappre– sentare un preciso diritto delle categorie addette al funzionamento delle macchine, o soltanto una con– cessione eventuale demandata alla volontà dell'Ente misto, proprietario deJ-lemacchine medesime, avrebbe costitµito una differenza molto notevole. Ma, una volta che si trattava di un semplice esercizio, la di– verirenza veniva a riflettere una questione di ben scarso valore. , ' Pare anzi a noi che - sempre quando sia netta– mente stabilita la grahde diversità che passa fra ge– stione ed esercizio - l'esercizio stesso, da parte delle categorie che sanno far funzionare le macchine, rap– presenti una necessità. tecnica inevitabile. L'Ente mist_o, proprietario delle macchine, dovrà bene de– mandarne a qualcuno il funzionamento. Nulla,dunque di più naturale che questo resti affidato a quella od a quelle categorie, le quali vi risultino più adatte per il fatto stesso della divisione del lavoro. Riesce però ovvio che noi sarèmmo contrari açl accogliere le correzioni introdotte nell'ordine del giomo Calda, per consìderazioni e fini ben diversi eia quelli di coloro che le sostennero. La Altobelli e gli altri proposero la nota corre– zione, e soltanto quella, probabilmente perchè non avevano osservato che il Calda parlava di esercizio non di gestione, e perchè non avevano considerat~ tutta la differenza fra i due concetti: certamente poi perchè miravano a salvaguardare il principio della gestione vera e propria, al quale ancora tene– vano. Noi invece accetteremmo quelle correzioni proprio perchè, essendo accertato che si tratta, non di gestione, ma di semplice esercizio, non abbiamo più motivo di nutrire le preoccupazioni che ci face- vano nemici soltanto della prima. . Per riassumere, e se si prescinde dall'ordine del giorno del Congresso di Bologna 2-5 marzo 1911, il quale rappresenta come un anello intermedio, è çerto che il deliberato del Consiglio Nazionale della Con– federazione del Lavoro suona una implicita, ma re– cisa e completa condanna dell'ordine del giorno del Congresso di Bologna 1-2 novembre 1909, e rlella campagna che si imperniò intorno ad esso. Mentre con questa campagna si volle sostenere che alle categorie facenti funzionare le macchine spettava di pien diritto, in nome dei principi più elementari della cooperazione e del socialismo, tanto la loro esclusiva proprietà, quanto la loro esclusiva gestione; la più alta rappresentauza della organizzazione ope– raia italiana rispondeva che, in nome di quegli stessi plincipt, alla categoria prodetta non poteva spettare nè l'una nè l'altra: L'autorità inappellabile di siffatto giudizio è tale da confortare piena'mente coloro i quali, per avere sostenute le medesime opinioni prima del Congresso di Bologna 1-2 novembre l!J09, e cioè quando, nulla essendo ancora compromesso, c'era tutto il tempo perchè gli altri riflettessero e modificassero le pro– prie idee, vennero denunziati, dinanzi alla classe operaia e al Partito socialista, come traditori degli interessi della prima e delle idealità del secondo. (La fine ai prossimo numero). ANTONIO GRA.ZU.DEI. AHCDHA D L ~EHSJM·EHTO 1911 I_ pri.rni rilievi II. TORINO. < 1 > La Re,lazione del Comune di Torino sul nuovo cen– simento risente della .immaturità che è propria iQ ge– ,n,eraJ.edelle nostre- statisticbe munkipali. Informata, anzi,chè alle esig-enze_peculiari della statistica, alle ordinairie ;no:rme di ragioneria, ,non consente pertanto di ,coglier,e in ·pieno la fotografia demografica della città. Così, mentre la parte relativa alle abitazioni ·vi è sviluppatissima - -sebbene condotta anch'essa con criterÙ disfo.rmi da quelli· che seguirono altre città italiane nel de_terminare i rapp-orti fra numero e am– piaz21adei locali e numer·o degli .abitanti.-; viceversa, non v'è cenno -delle varie densità della popofo.zi ,one nei div-ersi quàrtieri; nè dell'età, nè della pro.f.essione, nè de-llo stato civil-e, nè del luogo di nascita, nè del– l'Glfabetismo, ,e neppure - in bas-ealle nuove ri,ce11che di questo cènsimento - del lavoro a domici.lio. Dobbiamo limitavci al ri,assunto- dei dati che ci porgie la pubblicazione torinese. *** ' Torino - esempio tipico deUe città in cui l'urba,ne- sirrio è quasi esdusivamente determinato dallo svi– luppo deJ.l.eindustrie - non di-v,ent.ògrand-e -città ·se (I) C!T'r,\ DI TORINO: Q11a,·toOmstmenln delia popolazto11e e p1•,11rn CeusL,nento Lndt(,Sfrlale, 10 glugn,o 1911. -- Relazione del lavori e oen111 sul rlsultatl. (Torino, Tip. G. B. Vassallo, 1912).

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