Critica Sociale - XXII - n. 21-22 - 1-16 novembre 1912

338 CRITICA SOCIALE perati ve si associeranno e istituiranno la proprietà so, ciale dei mezzi di produzione e di scambio. Ma tutto ciò non ha niente a che vedere collo.... sta– bilire che dei p·rivati contadini (non delle Cooperative agricole, Hi tenga a mente!) abbiano diritlo a godere i frutti del lavoro altrui; ricevendo senza .... dare niente. Se a Ravenna si érede che il movimento cooperativo sia giunto a un tal grado di maturità da fare quello che si incomincia a fare ora nel Reggiano, ebbene noi siamo qui pieni di buona volontà. Le macchine siano pure- proprietà sociale. Ma adagio .... Lo stesso ragionamento che si fa coi macchinisti bi• sogna: farlo coi muratori, coi fabbri, coi falegnami, con le Cooperative agricole. Ma in ogni caso i contadini non.... c'entrano perchè non lavorano alle macchine e - come lavoratori della terra - non sono.... costituiti in Cooperati va. Se invece si crede che a questo grado di maturità non siamo giunti ancora, bisogna accontentarsi di pas• sai·e inevitabilmente traverso quella forma di pi·oprietà che è l'unica possibile. ,, Ossia alla proprietà esclusiva da parte dei brac– cianti. Infine, tutti in Romagna e fuori sanno benissimo che la formola : " le macchine a chi le fa funzionare " (formola in cui gli stessi organizzatori vollero rias– sunto il deliberato di Bologna) venne sempre intesa dalla massa dei braccianti (nè poteva essere diver– samente) nel senso che essi avessero diritto alla proprietà esclusiva delle macchine. Del resto, l'ordine del giorno di Bologna, se per il .suo silenzio poteva lasciare qualche dubbio sul come dovesse risolversi la questione della proprietà, non ne lasciava alcuno sul come dovesse risolversi quella della gestione. Esso diceva· tassativamente · che ai braccianti spettava la gestione esclu$iva delle trebbiatrici. Ora, che significa gestire un dato ramo di indu– stria? Significa evidentemente stabilire a chi si debba vendere, ed a chi no; a qual prezzo vendere; quali criterii adottare nella ripartizione degli utili; ecc. - In fondo, poichè col mezzo del credito si può anche lavorare cot capitale di cui non si è proprietad; è lecito affermare che la gestione implica una utiliz– zazione commerciale della cosa, o del servizio, così ampia, da ri'assumere in sè, medesima tutte le fa. coltà inerenti al diritto stesso di proprietà. Quando dunque si ricordino le principali ragioni per cui i mezzadri non potevano tollerare il mono– polio delle trebbiatrici da parte dei braccianti, è in• tuitivo che i pericoli di tale monopolio sarebbero esistiti egualmente qualora i braccianti avessero conservata, se non anche la proprietà, almeno la gestione delle macchine stesse. . Per. evitare veramente siffatti pericoli, tanto la proprietà quanto la gestione avrebbero dovuto ap– partenere a Cooperative miste (più o meno com– plesse). Nelle zone poi nelle quali fosse abolito lo sca111biodelle opere mezzadrili intorno alla trebbia• tura, avrebbe dovuto affidarsi ai soli braccianti il semplice uso od esercizio delle macchine: cioè la potestà di adoperarle materialmente, alle condizioni di prezzo e d'altro precedentemente stabilite dal- l'Ente proprietario e gestore. . Chiarito così il significato dell'o11dine del giorno di Bologna - significato che si cercò di diminuire o di negare dopo Qhe la sconfitta patita poi dai brac– cianti foce comprendere la sua insostenibilità - pas• siamo ad esaminare gli errori del ragionamento per cui vi si giunse. Come abbiamo visto, si cominciò ad affermare che, se i mezzadri, là dove, è abolito lo scambio delle opere, fossero stati compartecipi della proprietà e della gestione delle trebbiatrici, si sarebbero ap– propriati una parte del prodotto altrui, contravve– nendo al principio socialista, secondo il quale ognuno dovrebbe godere intero il prodotto del proprio la– voro. Ora, questo principio è veramente tiocialista ed è giustissimo, ma va interpretato esattamente. In pratica i congressisti di Bologna lo intesero partendo dalla. credenza che ogni prodotto sia sem– pre il risultato del solo lavoro. Il che non è vero. Il capitale è utile in quanto -- a parità di tempo - aumenta il prodotto che si avrebbe col solo la– voro. Quando perciò il lavoro e il capitale agiscono insieme, il prodotto di questa combinazione è da riferirsi' necessariamente in parte al primo, ma in parte anèhe al secondo. Tanto è vero che i lavora• tori, quando vogliono, a parità d"ellealtre condizioni, aumentare il proprio reddito, cercano di gestire coo~ perativamente quel ramo di industria in cui prima erano semplici salariati: cioè di diventare proprie- . tarii del capitale occorrente che prima era posseduto da altri. In tal modo infatti essi, oltre al salario che già percepivano, possono '1Sufmire anche del reddito del puro capitale (interesse) e del. reddito del lavoro di direzione unito al capitale (profitto): red,liti prima goduti da coloro che, essendo rispettivamente pro– prietari non lavoratori ed industriali, ottenevano sul prodotto complessivo la parte che serviva a com– pensare la loro prestazione in capitale. L 'aumep.tb dunque di reddito, che i lavoratori si proc urano col diventare, per mezzo della cooperazione, ·proprietari del capitale ed imprenditori di sè stessi, è la prova migliore che questo aumento dipende, non dal la– voro, ma dal capitale. Ciò premesso, se i mezzadri, secondo lo schema più sopra esposto, avessero, pur non lavorando in– torno alle trebbiatrici, goduto nella forma della coo– perazione mista l'interesse reln.tivo alla quota di ca– pitale da essi conferita per l'acquisto delle trebbia– trici medesime, non iji sarebbero certo appropriati una par_te del prodotto del lavoro dei braccianti. Essi avrebbero semplicemente go(luto la quota loro spettante sulla parte ,del prodotto complessivo che avrebbe dovuto imputarsi al capitale. Avrebbero in– dubitabilmente partecipato al prodotto del lavoro altrui, nel solo caso in cui, non lavorando intorno alle ma,cchine, avessero percepito o un salario od una quota del profitto industriale . .Ma abbiamo già visto a suo tempo che i mezzadri avrebbero dovuto percepire un salario e. una quota di profitto indu– striale, nel solo caso in cui a'Vessero lavorato intorno alle macchine (cioè nei soli luoghi in cui uon fosse stato abolito lo scambio delle opere nella trebbia– tura), e nella sola proporzione del loro effettivo la· voro. Ma, anche esattamente interpretato, il principio socialista, secondo cui ognuno deve godere intero il prodotto del proprio lavoro non .bastava a giustifi– care il deliberato di Bologna. Per arrivare a que– st'ultimo, si era dovuto trarne· una conclusione, non soltanto non necessaria, ma arbitraria addirittura: la conclusione che, per realtzzare tale principio, fosse indispensabile che g·li strnmenti del lavoro stessero nelle mani di quelli soli che li facevano funzionare; cioè, nel nostro caso, che la proprietà e la gestione delle trebbiatrici a.ppartenessero esclusivamente ai braccianti. Veniva così a stabilirsi una specie di equivalenza fra i due " principi "" Il principio socia– lista: " ad, ognuno l'intero prodotto del proprio la– voro " si trasformava nell'altro principio che si di– ceva egualmente socialista:: " la macchina a chi la • fa funzionare "" · . Senonchè, quest'ultimo non è mai stato un prin-

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