Critica Sociale - Anno XXII - n. 12 - 16 giugno 1912

186 CRITICA SOCIALE allivilà. È vissulo sinora alla ventura: ma può di– sciplinarsi, può rifiorire, sol che lo sappia, sol cl~e lo voglia, sol che inten?a. adegua~mente_ la_ P:Opria funzione, la propria m1ss10ne, e s1 sforzi d1 risolle– varla e ricondurla nella luce e nella linea, che le son proprie, che devono esserle proprie, se il socialismo vuole ancora essere un valore ideale ed etico nella società moderna, se vuole ancora interpretare i bi– sogni e le aspirazioni della classe lavoratrice, che, nata nel suo nome, confidò di potere, nel suo nome stesso, combattere e vincere. Il riformismo non ebbe sinora alcuna coscienza teorica: fu prassi e non teoria. Ciò lo fece tenten– nare, lraviare, sperdere; ma non gl'impedì quella qualsiasi rinnovazione psicologica, che valse a fargli guardare, con occhio più «moderno», il socialismo e l'opera del suo massimo teorico. Riformismo e sindacalismo possono, in un punto almeno, riconciliarsi: nel punto di partenza. Han superalo le barriere psicologiche e gli...schemi men– tali del « socialismo scientifico». La fede mistica s'è dissolta; la certezza positivistica s'è spezzata. Nelle coscienze ha infuriato una crisi sovvertitrice. Il dubbio s'è insinuato: in termini cli dialettica o in brividi d'animo ... Che fare, dunque? Volere, volere. Il sindacalismo inscèna Ja· grande volontà, la volonlà delle ore terribili, la volontà monstre, a servizio del mito, sia pure posticcio: bisogna credere, per volere. li riformismo sguinza– glia le piccole volontà della piccola prassi, in tri– pudio di conquista: non occorre credere, per volere. L'uno comprende il valore della fede, e la vuole, ad ogni costo. L'allro della fede crede poter fare a meno, e ne prescinde in realtà. Ma entrambi ricono– scono che l'avvenire - qualunque esso poi sia - potrà essere frullo soltanto della nostra volontà, cioè della nostra opera consapevole. E, menlre il primo concepisce il socialismo come un precipitato del mito, il secondo lo percepisce nel fitto tessuto della prassi quotidiana, oltre ogni fede ed ogni ideale. Per enlrambi il socialismo è un'incognita. Non è una mèla sognnta; è valorizzazione ed emancipa– zione di classe (e solo in tal senso è una mèta); è, cioè, sviluppo - diverso nelle manifestazioni e nel– l'impeto - delle forze produttive, in lotta contro le forme produttive esistenti. Ed è, principalmente, la coscienza e la volontà cli tutto ciò. Quale sarà l'avvenire? Il capitalismo è soggetto alle leggi elette da Marx? Vi sono leggi storiche? Leggi cli sviluppo di determinate costituzioni econo– miche? In qual modo, e per qual via, sarà il so– cialismo? E sarà davvero? - Noi - a differenza di Marx - nulla sappiamo. A noi nulla è dato ed oc– corre cli sapere. Ci basta solo potenziare le forze proletarie esistenti : comunque, poi, esse si facciano un giorno valere. Potenziarle implica un alto cli vo– lontà: e in questa volontà, e nello spirito che la muove, è il nostro socialismo, è tutto il s·ocialismo. Non è fuori cli noi - nellà storia avvenire. È in noi: nell'atto - nel modo dell'atto - nella scintilla che lo ,\nima. . La mentalità profetica, aspettante, positivistica è int.eramente superala. * ** Senonché il riformismo - a differenza ciel sin– dacalismo, profondo teorizzatore ciel mito - è solo implicitamente conscio della critica e della crisi. Il superamento del vecchio punto di vista è per esso un portato della pratica, anziché un elaborato frutto della teoria. È un intuito affatto empirico; si po– trebbe anche dire, un'obbiettiva esigenza della pras– si: il merito è piì1 di questa che del riformismo. La metafisica sindacalistica demolisce la legge di sviluppo del capitalismo, e riporta, quasi per rias– sorbimento, il socialismo nell'uomo e nella sua ope– ra. La pratica riformistica matura in sè lo stesso risultato critico, ma sotto forma di suggestioni psi– cologiche. Gli estremi si toccano, nel raggiungi– mento della stessa verità. Nell'abbandonare i vecchi schemi, il riformismo ha guadagnato un senso più nuovo e più verosimile della realtà. Ma ha perduto molto, troppo: è dive– nuto una pratica senza jilosofia. Il giorno ch'è uscito· di minorità s'è dissipato. Gli è mancato il controllo interno, il potere d'inibizione, la misura qualitativa dell'opera. Ha creduto cli poter fare a meno d'ogni guida ideale, d'ogni bussola morale. La sua filo– sofia è stata la sua stessa pratica. Questa ha dettato e dominato quella. Ha avocato a sè poteri e doveri. S'è gridata signora e ministra. E ha proclamato il socialismo in sè. Ogni impalcatura filosofica, sorretta dall'alacre spirito socialistico, sembrava, così, irreparabilmente ruinata, e non più capace di risorgere. Il sindaca– lismo - dopo il socialismo marxistico, dopo il socialismo positivistico - era stato come l'ultimo guizzo filosofico del socialismo. Intorno ed oltre, era la pratica, flessuosa ed accomodante, piatta e di corto respiro. Il socialismo n'era l'etichetta, non l'anima. Il riformismo - all'Italia guardiamo - fu la de– generazione di se stesso, prima· ancora di essere se stesso. Degenerazione, che s'è andata aggravan– do, sino a manifestarsi - appena da poco - in tutt.a la sua gravità, e a suscitare una lieve onda cli reazione, cui oggi, vofontieri e con fiducia, si assiste. Il riformismo ha bensì compreso (e in ciò è la sua «modernità»), che il socialismo è sviltippo, non già mèlct; ma non ha compreso che questo; e non ha avvertilo che lo sviluppo proletario non è socialismo, se non è sintetizzalo e moralizzato in un gagliardo idealismo etico. Non ha più, quindi, sentito .la classe. Ha come perduto la percezione unica. Ha veduto frazioni cli p roblemi, incliviclua– lizzate in gruppi framm:ent.arì di lavoratori. Ha scambiato questi c on la classe; e la soddisfazione di bisogni particolari con la soddisfazione cli bisogni generali. Ha convertito ogni senso idealistico in una ricerca assidua di·utilità immediate. Ha creduto di scorgere germi di nuove e feconde evoluzioni, là dove era l'incrostarsi e il consolidarsi d'interessi e d'istituti operai intorno a forme econoqiiche capi~ talistiche; e sani impulsi di battaglia e promesse di vittoria proletaria, là dove era un fortuito e for– tunato convergere di aspirazioni in gruppi ristretti delle due opposte classi, e un confondersi e anneb– biarsi cli linee e un disorientarsi d'indirizzo. Ha concentralo nella vita parlamentare la mag– gior parte di sè e la miglior funzione ciel socia– lismo; e, lungi dal far di quella strumento, per quanto possibile, cli unificazione materiale e, più e meglio ancora, morale, del proletariato, ha per essa accresciuti i dislivelli, acmle le disparità; trascu– rando i trascurati, favorendo i favoriti, consolidando quella gerarchia proletaria, ch'è còmpito ciel socia- . lismo di distruggere, per quella esigenza morale, che sta a base di esso, e che, del resto, se soddisfat– ta, non può non tornare a suo gran beneficio. Preoccupato ciel piccolo socialismo, non ha co– nosciuto le grandi questioni nazionali, che il socia– lismo non può ignorare, pena la sua stessa vitalità, pena il suo stesso prestigio morale. Non ha cono– sciuto, non ha voluto conoscere, la questione meri– dionale, complessa quanto altra mai, pregna d'in– cognite, irta di difficoltà insuperabili, inscindibile dalle ragioni di progresso della restante Italia e di un socialismo, che voglia essere, e sia, espressione,

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