Critica Sociale - XXII - n.10-11 - 16 mag.-1 giu. 1912
Cf\lTtCA SOCIALE'. Società cooperati-ve I edificatrici di Case popolari è del 3 °{o. L'unica obbiezione che ci si farà è questa: togliendo l'allettamento di un interesse più elevato, gli Istituti autoriz.zati rinunceranno a questo genere di operazioni, che, se non sono _aleatorie, dànno certamente qualche fastidio di più degli investimenti _in titoli di St.at.o. Si può rispondere, a nostro parere, vittoriosamente. Innanzi tutto, non crediamo che gli Istituti dalla legge · autorizzati, che sono in gran parte Istituti di pubblico interesse, vogliano fare una non simpatica speculazione -sull'abitazione del povero e rinunciare ad un'opera che hanno sovente promosso di propria iniziativa e con loro sacrificio. Ma, se, per avventura, qualche Istituto vi fosse, che non volesse prestare alla soluzione del problema della casa quell'aiuto di cui questo ha bi– sogno, non sarà difficile al Governo proporre - e ne è conta~uto l'embrione nel progetto sulla Banca del lavoro - un Istituto nazionale .per il credito dell'edi– lizia popolare, a cui debbano portare alimento quegli Istituti, che direttamep.te al credito edilizio popolare non provvedono. d) Per un Istituto nazionale di credfto. Ma, risolta la questione del tasso dell'interesse, un'altra grossa questione ci si presenta: l'insufficienza del denaro messo a disposizione dell'edilizia popolare. La legge vigente elenca un certo numero di htituti, che possono provvedere al credito per le Case popo– lari. Teoricamente, le cose vanno splendidamente e, se facciamo il calcolo delle disponibilità, noi vediamo che - tranne per pochi Istituti - c'è ancora un mar– gine largo per il credito secondo le intenzioni del le– gislatore. 1 Praticamente, invece, è avvenuto ed avviene che ab– bondi il credito dove poco è richiesto, e scarseggi dove il bisogno è più intenso. Molti Istituti sentono poi riluttanza a un impiego, che hanno fin qui poco maneggiato e non conosciono bene, e del quale quindi diffid11-no. Si può dire che, in questo momento, le dif– fìcolt.à si siano acuite e si "{adano acuendo, per l'esau– rimento delle disponibilità della Cassa Pensioni, che largamente ha giovato alle Case popolari, e della Cassa nazionale di Previdenza. A questo danno si sarebbe ·potuto rimediare, almeno in parte, facendo intervenire il monopolio delle assicu– razioni a favore del credito dell'edilizia popolare, ma gli emendamenti da me presentati, durante la recente ,discussione, non ebbero fortuna. La difficoltà, a ·mio avviso, non può sanarsi se non organizzando, per le Case Popolari, come si è fatto per altri campi di attività economica e sociale, un Istituto specializzato, il quale abbia il denaro a prezzo di costo dallo Stato o dagli Istituti di risparmio, sia posto sotto la garanzia dello Stato ed abbia un'annua dotazione, che possa costituire la riserva straordinaria. Questo Istituto si trova in embrione nel disegno di legge sul_la Banca del lavoro. Ma, giacchè la proposta luzzattiana è. tuttora 'incagliata tra gli scogli della po– litica e non pare destinata a galleggiare ed a giungere in porto, sarà bene liberarla dal pondo delle abitazioni pop.olari, più mature ad un intervento legislativo sul terreno del credito. L'Istituto nazionale di credito per le Case popolari dovrebbe essere suddiviso in due Sezioni: l'una do– vrebbe provvedere al bisogno di_denaro, l'altra al ser– vizio tecnico e amministrativo di consulenza e di as– sistem;a. In questo modo, mentre col credito a buon mercato potrebbero accrescersi le iniziative e far si che raggiun– gano le finalità molteplici che si propo_ngono,coll'assi– stenza tecnica ed amministrativa si darebbe stabile e sicuro assetto a molte imprese che, abbandonate a sè senia nocchiero esparto, corrono rischio di fallire allo scopo e di compromèttere gli Istituti mutuanti. Ma, risolti questi delicati problem.ì di ordine legisla– tivo, rimangono insolute altre gravi questioni, che - ove non fossero affrontate - potrebbero rendere vane anche le maggiori liberalità della legge. GIULIO CASALINI. Mf llADRIA f BRJl[[IAHIATO 1HR MAfilffl V.II. LaqusstionB d IIB macchinB trsbbiatrici. (I) Caiatteri generali della questione. Coloro, sui quali pesa la responsabilità 'di avere suscitata e E!Ostenuta in tutti i modi la erronea, do– lorosa e dannosa questione delle trebbiatrici, hanno sempre affermato che la questione stessa si risolveva in un semplice prohlema di cooperazione; e si po– teva quindi facilmente decidere in base ai più ele– mentari principì dell'odierno movimento cooperativo. Ma l'unilateralità di una tale affermazione costi– tuisce una ulteriore riprova della impreparazione di coloro che l'hanno emessa. Anche a prescindere dai moventi politici che - per la anteriore lotta fra repubblicani e socialisti e per la incapacità dei romagnoli a distinguere la poli-· .tica di partito dalla politica di classe - influirono potentemente a determinare il punto di vista dei braccianti e dei socialisti, è troppo evidente che la questione delle trebbiatrici 7 se per un aspetto si riallaccia ai fondamentali problemi della coopera– zione, per un altro, tecnico-agrario, si riallaccia a tutto l'ambi ente economico romagnolo. Le trebbiatrici rappresentano una macchina agraria in doppio modo: perchè sono destinate a trasformare un prodotto tipico dell'agrtcoltura quale il grano, e perchè,_ dovendo, a tale scopo, penetrare in poderi appartenenti a determinati proprietarì e lavorati da determinati coloni, non possono non dar luogo a tutta una serie di interessi fra classi agricole di– verse (proprietarì, fittavoli, lavoratori) e -categorie diverse di una medesima classe agricola (mezzadri e braccianti): classi - queste -- e categorie, che si_ trovano già fra loro in determinati rapporti econo– mici e morali, e che hanno ciascuna una determi– nata psicologia. Come si può dunque comprendere il problema delle trebbiatrici prescindendo dal suo aspetto tecnico- · agrario? E' intuitivo - ad esempio - che, senza di esso, diventa impossibile capire i motivi, i prece– denti ed i modi, per cui tanto i proprietari, quanto i mezzadri cosidetti " gialli ", resistettero e riusci- (') 'Iniziando nel 2° fascicolo dello scorso anno, la pubbllcazlone di questo studio dell'amico on. Grazie.del, non mancammo di avver– tire che 10 accoglievamo ben volontlerl, come uno studio sereno che avrebbe - speravamo - provocato repllche ·ugualmente serene, nella questione del conflitti di Romagna, da compagni che profes– sano punti di vedute differenti; e ohe, dal canto nostro, non Intende• vamo affatto pregiudicare comunque le opinioni e conclusioni nostre. Riconfermiamo quella dichiarazione, ora tanto più necessaria, dac• chè II oraztadel entra, con questo capitolo, nel rotto della contro– vers_la, che suscitò cosl aspro e non ancora sopito conffttto. (NOt(J della CRITICA).
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