Critica Sociale - Anno XXII - n. 9 - 1 maggio 1912

CRITICA SOCIALE 137 dalla- nota Colonia di Ostia. Della quale, del resto, il relativo insuccesso, se si deve in parte a speciali difficoltà naturali, in parte anche si deve alla im– preparazione degli interessati. Le osservazioni ·che abbiamo così esposte dimo- . strano - sia pure per sommi capi - che il pro– blema della· disoccupazione dei braccianti roma– gnoli - tanto stagionale quanto, e a maggior ra– gione, continuativa - non può essere risolto in modo razionale A completo, se, contemporaneamente agli altri me:1:zi,non si adoperi quello della emigrazione nelle sue varie forme; e ci obbligano quindi ad in– sistere ancora una volta su quello, che è àpptinto il più grave errore di tutto il bracciantato romagnolo. L'errore suo, infatti, è di essersi sempre sforzato a vincere la propria disoccupazione indipendente– mente da ogni ricorso alla emigrazione. L'incredibile abuso dei turni; la continua e morbosa irrequie– tezza; la· corsa alle idee più strane; lo sperpero di molte e belle energie, rappresentano in massima parte una conseguenza di tale pretesa. Le ragioni del fenomeno rnno in parte economiche e in parte psicologiche. Economiche in quanto gli alti salari', e sopratutto i bassi - troppo bassi - orari:, di cui i braccianti godono in Romagna, non si trovano facilmente l:!,1- trove, e sono, ad ogni modo, · irrealizzabili per ora nel resto d'Italia. Psicologiche, perchè il bracciante r<Jmagnolo,usato ad un intenso associazionismo politico ed economico (Circoli, Leghe, Cooperative), e profondamente con– servatore delle proprie idee, dei propri sentimenti, delle proprie abitudini di cibo, di vestiario, ecc., male si- adatta ad ambienti in cui sia difficile od impos– sibile la ripetizione della medesima vita. Infiniti sono gli episodi che si potrebbero citare, per dimostrare la straordinaria renitenza dei braccianti romagnoli alla emigrazione. Donne inviate ai lavori di risaia in Piemonte, uomini diretti nella Svizzera - gli uni e le altre con contratti buonissimi - sono ritornati indietro dopo pochi giorni, descrivendo con pessimi colori regioni e paesi che, in realtà, psicologicamente e socialmente, sono molto superiori alla stessa Ro-• magna. Per quanto i pregiudizi popolari si vincano con grande difficoltà e lentezza, fu una gravissima colpa degli organizzatori dei braccianti il non avere rea– gito mai, con abbastanza vigore e tenacia, contro una tendenza cosl illogica. Strana ironia delle parole e delle cose! Coloro che affermano di ispirarsi ad alte idealità internazionalistiche si sono in realtà fatti schiavi di sentimenti, che rappresentano prati– camente il trionfo del più gretto e intollerante re– gionalismo, anzi, campanilismo. Non ci si può di– chiarare internazionalisti e nello stesso tempo ren– dersi inadatti a vivere in regioni diverse dalla pro– p"ria,.anche se di questa più progredite. Purtroppo la passione settaria non è stata estranea al fatto. che deploriamo. In certe zòne, in cui predo– minano i braccianti socialisti od i braccianti repub– blicani, alcuni organizzatori repubblicani ·o socialisti non si sono peritati di subordinare la soluzione di un grande problema economico e morale a piccoli interessi di setta. Essi hanno considerato sfavorevol– mente una eventuale emigrazione dei propri corre– ligionari, solo perchè non si indebolisse sul luogo il numero e la forza dei rispettivi partiti. Da un punto di vista più elevato che non sia l'imm·ediato interesse materiale della categoria, la tendenza dei braccianti romagnoli a non emigrare, inducendo tanta parte di una nobile popolazione a sfagnare in luo30, e, per mancanza di controlli, di contatti, di scambi di idee, a conservare cieca fede a molte credenze e tradizioni che hanno fatto il loro tempo, rappl'esenta-e potrebbe sempre più rappre- sentare una causa grav1ss1ma di arresto nella evo: luzione di gran parte della Romagna, o, quanto meno, di una evoluzione più lenta che quella di altre regioni italiane. l;'er la massa che oo·n può studiare, nulla è più istruttivo che vedere mondi diversi dà quelli in cui è nata. Per gli effe tti non soltanto economici; ma intellettuali e mora.li, dell'e– migrazione, molta parte· del proletariato meridionale ha compiuti in ·questi anni progressi rapidissimi. Date le divers_eposizioni iniziali, il proletariato agri– colo romagnolo può correre il pericolo, per il solo fatto della mancata emigrazione, di trovarsi in breve in condizioni di relativo regresso, in confronto di quello di altre regioni, un tempo tanto più misere sotto ogni rispetto. Certamente, una categoria abituata ad una intensa vita di organizzazione, avvezza a lavorare in comune pel mezzo delle p roprie fiorenti Cooperative, non può esplicare la sua emigrazio.ne a,dottando gli _stessi metodi, che sono invece ·più propri di quelle regioni in cui il fenomeno associativo o non esiste, o è di gran lunga meno sviluppato. Da queste ultime re– gioni si comprende che l'emigrazione debba presen– tare un carattere prevalentemente individualistico, ed effettuarsi pel tramite di relazioni personali non p-reordinate. Dalle prime, invece, essa non sarà pos– sibile se non in quanto sia preparata da esplorazioni opportune ~ fiancheggiata da contratti collettivi, ed in quanto avvenga per larghi gruppi conservanti anche all'estero la propria coesione. Ma altro è rendersi conto di queste elementari verità psicologiche, e riconoscere che, in un certo senso, il fatto stesso dell'organizzazione rende ne– cessaria una emigrazione in forme superiori, e quindi anche di più difficile effe_ttuazione pratica; e altro è accettare senza riserve, o, peggio ancora, applicare una politica per la quale sembra che le organizza– zioni debbano ostacolare, o impedire addirittufa., l'e– migrazione stessa. L'unica conclusione accettabile è piuttosto questa·: che le organizzazioni devono far sentire la loro utilità anche per rispetto alla emi– grazione, e, quando · essa sia necessaria, aiutarla a compiersi in quelle condizioni,· che il fatto dell'Hbito associativo rende indispensabile. L'organizzazione, .insomma, deve servire non soltanto al rialzo delle tariffe, alla riduzione della giornata ~ alla costitu- zione delle Cooperative, ma .anche al collocamento in tutte le sue forme, compresa l'emigratoria. Una organizzazione che non sappia o non voglia portare i propri sussidi all'emigrazione, anche quando que– st'ultima sia indispensabile, è una organizzazione la quale viola le leggi economiche, vien meno a uno de'suoi uffici più alti e delicati, e mette in pericolo, o, quanto meno, toglie gran parte della loro effica– cia, a tutte le conquiste che abbia fatte negli altri campi. In questi ultimi tempi, l'esperienza, del resto, ha cominciato a prevalere sui pregiudizi; talchè da qual– che anno è stato accolto dai Congressi del braccian– tato romagnolo il principio della emigrazione interna. Colla emigrazione interna si intenderebbe, non già di colonizzare le terre spopolate e in qualche parte quasi abbandonate di· alcune regioni dell'Italia meridionale - sarebbe questa, in moltissimi casi, una grossolana utopia, in quanto gli individui più adatti per la colti– vazione di quelle terre sono coloro stessi che vi nac– quero man mano che torneranno dall'America con mag– giore istruzione e con qualche capitale - ma sem– plicemente di intraprendervi coopérativamente quei preparatorii lavori di arginatura e di bonifica, che, sebbene già stanziati nel bilancio dello Stato, non vi si possono oggi compiere per mancanza di braccia e per difetto di organizzazione locale. Con questo mezzo - che è fra quelli da noi già elAncati - i braccianti romagnoli tenterebbero di ri~olvere il pro-

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