Critica Sociale - Anno XXII - n. 9 - 1 maggio 1912
136 CRITICA SOCIALE minima difficoltà ad assorbire un numero di braccia per essi così esiguo come quello di poche migliaia di avventizi. L'esperienza in proposito è, del resto, decisiva. Abbiamo notato in un capitolo precedente che la causa essenziale, per cui, nelle Marche e nella To– scana - regioni di mezzadria come la Romagna - non si è formato un bracciantato agricolo, è che da quelle regioni la popolazione, fra cui si potrebbe reclutare un tale braccjantato, è abituata ad emi– grare sistematicamente. E ora intuitivo che la somma di mano d'opera, che emigra da queste due regioni e che trova normalmente un così largo collocamento, deve essere complessivamente ben maggiore della mano d'opera, che dovrebbe emigrare da una re– gione, come la Romagna. E ciò non soltanto perchè la estensione di territorio e la quantità della popo– lazione sono, nelle due prime regioni, di gran lunga superiori, ma anche perchè, nella terza regione, la produttività naturale della terra essendo molto mag– giore, la popolazione che ne deve emigrare risulta proporzionalmente assai minore. Per rispetto al tempo, l'emigrazione dei braccianti romagnoli - a simiglianza sempre di quella di ogni altra categoria di lavoratori - potrebbe essere tem– poranea o permanente. Indipendentemente da ogni altra considerazione di secondaria importanza, e fino a quando permanga l'uso déll'abolizione dello scambio delle opere, attuata nella forma primi ti va e semplicista che abbiamo a suo tempo criticata, tutti quei braccianti, i quali fra la primavera inoltrata e la prima parte dt'll' au– tunno possono con tale mezzo procurarsi una occu– pazione conveniente, avrebbero interesse a non ri– nunziare ad un reddito elevato e, per di più, otte– nuto in casa propria, e dovrebbero quindi preferire l'emigrazione temporanea da farsi durante i mesi in cui maggiore è la disoccupazione. Siccome questi mesi vanno circa dalla seconda metà dell'autunno _alla.prima metà della primavera, si presenterebbe però una grave difficoltà: che essi, in tutta la zona occupata dalle nazioni europee che ci circondano, sono i mesi che peggio si prestano, per ragioni cli– matiche e stagionali, a quei lavori all'aria aperta - tanto agricoli, quanto, e specialmente, di movi– menti di terra - cui i braccianti romagnoli sono piìt avvezzi e più atti. L'ostacolo, tuttavia, sarebbe completamente ri– mosso, se venisse adott,ato il criterio dell'emigrazione transoceanica temporanea verso l'Argentina e il Bra– sile. Là il periodo del massimo lavoro agricolo, e quindi anche dei raccolti, coincide colla nostra sta– gione invernale. I braccianti romagnoli, dunque, se andassero nell'America del Sud durante quei mesi, potrebbero poi ogni anno ritornare nella propria regione, per parteciparvi, come ora, ai soliti lavori agricoli. L'unica differenza - ma essenziale per lo scopo di cui ci occupiamo - sarebbe che, mentre oggi sono disoccupati durante un cinque mesi all'anno, nelle nuove condizioni potrebbero occuparsi anche durante questo periodo. D'altronde, che le spese del duplice viaggio perio– dico di andata e di ritorno non costituiscano - dat.i gli altissimi salarì agricoli dell'America del Sud e specialmente dell'Argentina - un ostacolo assoluto alla convenienza dell'operazione economica, risulta da un dato di fatto ineccepibile. Tutti, invero, sanno che è notevole e tende sempre ad aumentare quella percentuale della nostra emigrazione verso l'Argen– tina, che ha appunto i caratteri ed i fini di quella da noi suggerita pei braccianti romagnoli. Ciò dimo– stra con tutta la forza dell'esperiel)za che coloro, i quali la costituiscono, ne ricavano un reddito, che permette loro non solo di provvedere a se stessi e alla propria famiglia durante la loro temporanea permanenza in America, ma anche di pagare le spese del doppio viaggio e di ritornare in patria con un gruzzolo. E si badi che i lavoratori agricoli delle altre parti d'Italia, quando rimpatriano, non trovano certo i salari elevati di cui godono i braccianti ro– magnoli. Con questo sistema è dunque chiaro che i braccianti romagnoli potrebbero all'incirca raddop– piare il loro reddito assoluto annuo, e quindi mi– gliorare - in rapporto sempre alla disoccupazione - le proprie condizioni, in misura ben maggiore che non cogli altri ed insufficienti mezzi finora adope~ rati (1). Come abbiamo accennato sin dal principio, questa opportunità di una emigrazione temporanea, pei mesi che nelle nostre regioni sono invernali, è connessa col fatto che, negli altri mesi, i braccianti romagnoli possano trovare un lavoro agricolo sufficiente in casa propria; fatto che alla sua volta dipende intima– mente dalla abolizione dello scambio delle upere, quale è stata praticata finora. ,S'intende che, allor– quando all'abolizione dello scambio delle opere suc– cederanno, per le ragioni e nei modi già accennati, forme più razionali e più stabili di assorbimento del lavoro avventizio, da una parte diminuirà il nu– mero relativo dei braccianti che avranno bisogno di emigrare, e dall'altra cesseranno, o almeno perde– tanno molto del loro attuale valore, i motivi econo– mici per cui oggi è preferibile l'emigrazione tempo– ranea, specialmente invernale. Finalmente, quanto al luogo della sua destinazione, l'emigrazione dei braccianti può essere interna od estera. Abbiamo già visto per quali ragioni i braccianti, che trovano nella loro stessa Romagna un lavoro agricolo abbastanza abbondante nei mesi dal marzo all'ottobre, dovrebbero darsi di preferenza ad una emigrazione temporanea estera. L'emigrazione in– terna sarebbe invece più adatta per quella parte di braccianti, che rappresenti una vera e propria so– vrapopolazione, e che dovrebbe quindi emigrare de– finitivamente. Ciò per due ragioni. Perchè, essendo , il bracciante romagnolo molto restio all'emigrazione, è più facile indurlo ad una emipTazione estera tem– poranea che ad una emigrazione estera permanente; e permanente dovrebbe essere quella di cui ci stiamo ora occupando. Ed anche perchè l'emigrazione in– terna potrebbe permettere ai braccianti di utilizzare, nei lavori pubblici idraulici che devono essere ini– ziati o compiuti in altre parti d'Italia, e special– mente nel Sud, la loro principale specializiazione tecnica ed organizzativa. Abbiamo parlato delle forme di emigrazione che ci sembrano più facilmente praticabili oggi, in quanto non implicano nei braccianti l'abbandono definitivo della loro condizione di salariati, specializzati in de– terminati generi di lavoro. Ma ci sembra quasi inu– tile aggiungere che, quando anche queste forme non risultassero sufficienti, e quando, d'altra parte, nep– pure la trasformazione dei braccianti in coltivatori interessati sui terreni romagnoli di recente bonifica bastasse ad assorbire stabilmente tutta la massa del lavoro disponibile, si dovrebbero applicare l'emigra– zione interna ed ·estera dirette a portare i braccianti, trasformati in lavoratori- agricoli stabili: la prima su terreni in via di bonifica, e la seconda su ter– reni liberi offerti da Governi come quello del Ca– nadà, del Brasile, dell'Argentina, del!' Australia. Un esempio troppo isolato e del resto poco felice del primo di questi ultimi tipi di emigrazione ci è dato ( 1 1 Naturalmente prescindiamo In queste oaeerva~lonl dal coonltto odierno tra l'Argentina e l'llalla; connllto che è temporaneo, e cbe d'altronde è sorto In un periodo ben posteriore a quello In cui li bracciantato romagnolo avrebbe dovnto penBBre alla emigrazione verso li Sud-America.
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