Critica Sociale - Anno XXII - n. 9 - 1 maggio 1912
134 CRITICA SOCIALE di trionfo e d'ingresso del nuovo mondo proleta– rio. Perchè mai questo hiatus? Perché dalla fer– rea dialettica delle classi saltiamo al placido e quasi immobile regno del lavor??. A que~to ~< Stato stazionario », a questo « Stato-hm1te », d1 cui pure Stuart Mili ci favoleggiò la possibilit_à? Pe~c~è mai il quarto stato non cementerebbe_ 1 fasllg1 della propria villoria, sfruttando un quinto stato strac– cione ed affamato, un Lumpenproletariat; ovvero il proletariato della città sfruttando la plebe della campagna, e così di seguito? Perché, insomma, col proletariato, si libera tutt'intera la « società »? Per– chè quest'assoluto a improvvisa conchiusione del relativo vario ed intricato della storia? Questa gio– conda commedia, a soluzione d'una sanguinante tragedia, che pareva non dovesse aver inai fine? Perché il sogno a sbocco della realtà? Marx, profondato nella storia, culmina - in certo senso - nell'utopia. · La sua utopia è nella sua « dimostrazione». È nell'f,ver egli voluto far praticamente coincidere un ideale etico con una data forma di soqietà, con la « società del proletariato». :f: nell'aver chia– mata questa « determinata » società col nome di «socialismo». È nell'aver dato a quella funzioni e finalità che superano ogni contingenza, e aver preteso di dargliele, non già col puro sentimento, ma «scientificamente». È nell'aver detto: « il so– cialismo? l'ideale? - Eccolo, eccolo qua: sarà per la prossima volta, per l'imminente rivoluzione : la rivoluzione proletaria ». :f: nell'aver creduto poter l'ideale diventare storia, e potere come storia ve– nir « dimostrato». È nell'avere - con l'indubbio favore di adeguate suggestioni economiche - so– lidificato in istituti storici, da instaurarsi a certa e breve scadenza, quello ch'era stato, in fondo, il sogno dei precursori; nell'aver attribuito al « regime della classe lavoratrice» l'ufficio di effettuare la « società del Lavoro », secondo una delle tante for– mole di· ripartizione del prodotto (« a ciascuno se– condo il proprio lavoro») così care agli spregiati «utopisti»; nell'aver semplicemente considerata la società futura come null'altro che (vedi l\lanifesto dei comunisti) « un'associazione, nella quale il li– bero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti », cioè come l'ideale della convivenza umana, che fa ricordare la nota defi– nizione, che Kant - l'utopista della morale - dava della Libertà. Oh, dov'è mai andato il realismo cli Marx eco– nomista, storico e filosofo della storia? Non sem– bra quasi, giudicando a posteriori, ch'egli abbia voluto, con esso, crearsi un alibi scientifico, e che il socialismo proclamato in ultimo sia stato come l'impensato riscatto della sua anima dalle formule con cui egli stesso aveva credulo d'imprigionar!~ o. cli masch_erata? Se voi considerate bene, l'opera cl~J\1arx, _r1speltf agli « utopisti >i, non è stata già d_1d1men~1care l II'realtà dell'utopia, ma, al contra– no_, d_1dimostrarne la possibilità, la razionalità, e qurnd1 (sepuen?o Hegel) la realtà. Gli utopisti af– fermano I utoprn come frutto di sentimento e di fanlnsia; J\[arx l'afferma e la prova « scientifica– ';1cnte_ », pone~dole a base la storia. Per gli uni \ utopia è _utopia; rer Marx è realtà prossima, vera, 1m_mancab1le, ~ cm tutta _la_ storia converge le pro– pl'le forze ed I lavoraton I propri aneliti. Or dei due, chi è più utopista: l'utopista o Marx?... ' J\[arx parte dalla storia e arriva fuori della sto– ria: nell'ideale etico. Per lui, l'avvenire è sì la continuazione ciel presente; ma reca in sè Ìa effet– tuazione« obbicttivn >> del socinlismo. di quello, cioè. ch'egli stima l'ideale umano. Quando si parla di ideale, si ~sprime un fatto psicologico; per Mar_x l'ideale è, invece, una realtà: la realtà d1 domam. Egli ha dapprima errato, volendo fare previ– siom storiche; sbaglia, ora, volendo porre, come storia preveduta, il socialismo. Ebbene, concepire la realtà come ideale è fare, non più opera di scienza, ma op.era di fede. In Marx, il socialismo è, appunto, la realtà storica pensata come ideale; è la storia di domani posta a risoluzione terminale della storia di tutti i tempi; è l'incontro e la fusione dell'Economia e dell'Elica (che cosa è mai un ideale economico, se non un ideale etico?); è il nostro sentimento di giustizia sociale solidificato in forme storiche di convivenza. .Marx lo strappa dal proprio petto, e lo incastra nella corrente delle cose, a rappresentare un seg– mento di storia, lutto il resto, anzi, della storia : ed annunzia, frattanto, che le cose lo portan seco, e lo produrranno, e lo svolgeranno, a data ora, in dato modo. Ma, perché ciò sembri verosimile, è necessario che la ideale realtà di domani si mostri, e venga percepita, discreta, in riflessi arcanamente seducenti, imprecisa e circonfusa di mistero. E così infatti la vede Marx, e così, fat.iclicamente, la grida. Ma l'apocalittica sua parola, che prean– nunzia la serena luce del socialismo dopo la tene– bra tormentosa di una storia multisecolare, è la emanazione più schietta della sua anima socialista. Attraverso la narrazione delle implacabili lotte di classi, attraverso l'esame della forza distruttrice della società borghese, nella enunciazione del nuovo principio economico che il proletariato sembra re– care in sè, il Marx, filosofo ed economista, a stento riesce a comprimeré ed occultare il Marx socia– lista, che vuole affermare, ed afferma, la sua ani– ma, il suo ideale, il suo socialismo. Ma questa affermazione è implicita, inespressa, volutamente ignorala. Nel conflitto fra i due Marx, il primo esteriormente prevale, vince, domina : « l'ideale deve diventare storia». Ma, nel più grande tentativo, Marx si rivela. La sua ultima parola è parola d1 sogno, e gitta un fascio inaspettato di luce su tutta la sua dimostrazione : la « scienza » mostra lo spi– rito onde s'accendeva. Allorché si tratta di prospet– tare il futuro, Marx non tace, ma non fa profezie: esprime un ideale etico, e lo inserisce nella storia. Qui, da un lato, è la sua anima socialista, il suo idealismo etico, che non permette più oltre la pro– fanazione realistica di sè, ossia il proprio dissol– vimento, il dissolvimento del socialismo; è lo stesso socialismo di Marx, che gli vieta di portare a com– pimento la propria dimostrazione; è il socialismo, che ha paura di definirsi; è il socialismo che fugge la propria immagine in un qualsiasi aspetto di realtà; è il socialismo - sentimento, ideale umano - che fugge la propria ineffettuabile rappresen– tazione plastica; che fugge la propria utopia. Ma, dall'altro lato, è Marx scienziato, che véde storia, che vuole storia, e che, senza accorgersene, assume l'ideale etico fornitogli dalla propria ani– ma, e lo conficca nella storia, a termine della sto– ria - e della sua dimostrazione. Il socialismo di Marx è tutto in questa contrad– dizione: fare dell'ideale una « fetta di storia ». Marx opera sulla storia, nella storia, per la storia; e vuole che la storia gli dia quel che il suo animo cerca, vuole che la storia interpreti e soddisfi da sè il più grande sogno dell'umanità: in ciò è il realismo di Marx - ed è in ciò la sua utopia. La contraddizione in cui egli si dibatte ha termini istintivamente .e diaboli_camente repugnanli, è di– speratamente msupcrab1le: la storia è un troncc che non fiorisce in ideale, è un fiume che non i I I ~ I j ' I I r ' j I l I ! I I :
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