Critica Sociale - Anno XXII - n. 9 - 1 maggio 1912

132 CRITICA SOCIALE mento, e che perci~H Governo, se vuole, può risolvere tla un momento all'altro il problema dell'emigrazione, sop– primendo .... Jlemigrazione. Ora, poi, ha constatato che l'emigrazione va diminuendo fortemente da sè, prima ancora• che esista - fuorchè nel decreto d'annessione ~ la Colonia che deve ospitarla; sicchè è da credere che, quando la Colonia ,diverrà effettivamente nostra, sarà venuto a cessare il principale motivo accampato per la sua occupazione. Per la stessa ragione - cioè per il nessun bisogno che ormai sentiamo di trovar pane alla nostra gente - gli italici industriali, commercianti, affaristi et similia, non soltanto pensano ad estendere in Libia i sistemi protezionisti che hanno regalato all'Italia, ma, invasi da furor patrio, ritengono giunta l'ora per rincarare la dose dei sistemi esistenti e per escogitarne degli altri. " È notorio - scriveva di recente l'on. De Viti de Marco - che parecchie industrie si agitano per otte– nere maggiore protezione; è notorio che ex-presidenti del Consiglio e parlamentari influenti le aizzano ·e le aiutano su questa via; è notorio che così si sta prepa– rando il terreno alle future trattative commerciali ,,. Ma forse non sarà notorio che, non bastando ormai proteggere ed allattare col biberon quegli eterni enfants gatés dei manifatturieri e dei fornitori, si cerca ora di far crescere artificialmente anche un'altra razza non meno benemerita; quella, intendiamo, degli appal– tatori. Ci si assicura che siano state fatte vivissime premure in questo senso al Ministero dei Lavori Pubblici, perchè veda se non sia il caso - considerato sempre il con– senso unanime, l'entusiasmo, lo spirito di sacrificio della nazione nel momento presente - di salvare anche i miseri impresari dalla concorrenza straniera, adottando, per gli appalti di opere pubbliche, il sistema in uso per gli appalti relativi alle provviste ferroviarie. Questo sistema è molto semplice. Esso consiste nel preferire sempre, a parità di condizioni, l'industria na– zionale nelle gare internazionali. Però le gare interna– zionali, quando si tratta delle provviste più importanti, cioè quelle del materiale fisso, mobile e metallico di armamento (care agli egregi siderurgici),· devono essere poste da parte, salvo quando le gare nazionali non permettano di ottenere prezzi convenienti. Se poi; di– sgraziatamente, è necessario addivenire alle gare in– ternazionali, allora all'industria nazionale viene accor– data " una congrua protezione, che non può mai eccedere il cinque per cento sull'offerta dell'industria estera, ac– cresciuta delle spes,e di dogana e di trasporto al luogo di consegna ,,. Noi non sappiamo se il Ministro dei Lavori Pubblici si sentirà tali viscere nazionaliste da corris pondera al dolce invito rivoltogli. Forse qualche cattivo consigliere gli vorrà prospet– tare difficoltà di carattere tecnico. Veramente è già arduo, negli appalti per forniture, stabilire quando una gara abbia sortito un buon esito dando un prezzo con– veniente, perchè, scartato per volontà di legge l'unico prezzo che in base alle leggi economiche si può giu– di-0are tale, cioè quello che risulta dal libero giuoco della concorrenza, ogni altro che si ottenga è conside– rato buono o cattivo, giusto o no, a casaccio. O meglio, nella pratica si finisce sempre per considerarlo almeno non così disprezzabile da doverlo rifiutare e da man– da.re a monte la gara per estenùerla alle ditte estere. Ora, se tanto ci dà ,tanto, come decidere negli ap– palti per opere pubbliche - si dirà dai facili critici - se una gara è riuscita male o bene, visto e considerato che qui non bisogna guardare soltanto al prezzo o al ribasso, ma anche all'idoneità tecnica dei concorrenti, cioè ad un elemento emin!lntemente personale e subiet– tivo, non passibile di determinazioni precise? Come salvarsi dal pericolo che siano sempre considerati idonei i concorrenti presentatisi alla prima gara (cioè gli ita– liani), anche se siano capaci soltanto a far moli di ri- cotta e muri di cartone? . . Ma la critica più grave (in apparenza) non sta qui. La critica più grave è questa: che gli appaltatori ita– liani, almeno quelli boni, non hanno (si dice) bisogno di protezione; perchè, mentre si contano sulle dita le ditte straniere che vengono a costruire-opere pubblich~ in Italia, molti e molti nostri connazionali hanno con– dotto e conducono all'estero lavori della massima im– portanza in tutte le parti del mondo, dando prova di quella vivace intelligenza che, per ora, è l'unica ric– chezza esportabile degli italiani. Parrebbe quindi evidente che una misura protettiva, se gioverebbe qualche volta a qualche impresario che non ha nè iniziativa, nè capacità per assumere, oltre i lavori in paese, quelli che si appaltano all'estero, de– terminerebbe facilmente rappresaglie dagli altri Stati a danno dei nostri migliori e più arditi imprenditori. Infine - si obietta - chi ci assicura che simili rap– presaglie si limitino alla classe degli appaltatori e non · investano anche la mano d'opera? Giacchè l'Italia ha la velleità di coìpire gli stranieri non solo nelle merci, ma anche nelle persone, sono tenute le altre nazioni a guardare tanto pel sottile e a non colpire a loro volta tutte le innumerevoli persone che no~ mandiamo funri a guadagnarsi il pane! .Anche giuridicamente parlando, la locazione d'opera, quale presta un appaltatore, non differisce sempre in modo preciso dalla locazione di opere, quale presta un capomastro, •un muratore, uno scalpellino, un manovale qualunque_; figuriamoci po– liticamente! Per cui niente di più possibile che la no– stra politica di protezione per gli appaltatori deter– mini una politica ad oltranza contro l'emigrazione, ta– gliando il filo che regge la spada di Damocle sospesa da vari anni agli Stati Uniti ed altrove sull'esodo di nostra gente. Queste le considerazioui dei pessimisti e dei retro– gradi. Ma noi, cui vibra in petto un'anima nuova, pro– clamiamo altamente che siamo stufi di strani'eri in Italia e di italiani all'estero, e che ognuno deve rimanere a casa sua, salvo ad appropriarsi quella degli altri se gli torna più comodo. L'esempio l'abbiamo dato. La Libia attende l'esuberanza delle italiche energie. Qualche im– presario vi ha già trovato da lavorare; i fornitori non ebbero mai campo così vasto. Che cosa più si desidera? Il Governo ha soppresso, per gli appalti di Tripoli e della Cirenaica, tutti gli odiosi formalismi della legge e del regolamento sulla contabilità generale dello Stato, e bazza a chi tocca! Non si chiama questo "sveltire la politica finanziaria e gli ordinamenti amministra– tivi ,,, come agogna il nazionalismo, secondo il verbo del mio amico e quasi omonimo Goffredo? GOTOFREDO BRUTTONCI, SYLVA.VIVIA.NI LAVERITÀ SULLE SPESE MILITARI I Un opus~olo di pag. 48, con copertina Centesimi 25 (Libreria dell'Avanti! MILA.NO , S. Damiano, 16).

RkJQdWJsaXNoZXIy