Critica Sociale - Anno XXII - n. 7 - 1 aprile 1912
110 CRITICA·SOCIALE temro deila monarchia assoluta· è ·passato da un pezzo anche nella fabbrica » e li educasse « a di– scutere prima di lottare, a riflettere prima di bat– tersi». « Noi siamo - così egli diceva in un discorso te– nuto a P•arigi al Comitato _degli studi professionali nel 1909 (1) - i testimoni e gli attori di una evolu– zione, che risal-e alla Rivoluzione francese. La carata terizzano t.aluni fatti essenziali, di cui ogni giorno constatiamo le conseguenze: la proclamazione del– l'eguaglianza èivile e politica, il suffragio universàl-e, l'insegnamento obbligatorio; fatti di cui non si possono disconoscere le ripercussioni profonde. « È contrad– dittorio - diss; E. De Laveleye - che. un ~omo sia insieme miserabile e sovrano». Avete detto al lavo– rato1,e - e teoricamente è v,ero - ch'egli è politica– mente eguale -a tutti gli altri cittadini... ch'egli è eguale· al suo padrone, e vi sorprendete poi se s'in– iegna di trarre <lai principio.le conseguenze pratiche, ~fl~_I?dosi c!f lk1; 1 un ,sovr::iniµ\ per miglioi:ar~ .le ,Pr9- prie sorti? , ·· . . · · · «... Il fenomeno è fatale. Di fronte a questa ten– denza, non soltanto ideale, ma che si traduoe in do– mande di salari più elevati, di condizioni migliori di lavoro, ossia in un aumento di spese, un altro sen– timento sorg-e, ugualmente naturale: la legittima preoccupazione, in ogni capo di intrapresa, delfa sua situazione, del suo benessere personale e di quel– lo dei suoi; il vigile senso della propria responsabi– lità. La prodigalità, in'.una gestione, ha per sanzione il fallimento. Queste due tendenze si urtano ogni giorno, in ogni intrapresa: se non si· conciliano, è la rovina per tutti, pel padrone e per l'opera-io. « Quale idea comune può_ conciliarle? ·Pa<lroni e la– voratori coJ.laborano a una stessa ope,ra: il successo di questa dipende dal lavoro, dall'intelligen·za, dal,la volontà cli lutti gli asso,ciati... Il contrasto, il mala– nimo, ·sono in• brev-e <la rovina privata e •pubblica. L'intesa ~1011 è qui meno necessaria che fra i citta– dini di un medesimo paese ... ». 9ra alla prosperità d'un paese .certo non contri– buisce la frequenza degli scioperi. E questa bensì un'a1·me necessaria, che la classe operaia, deve _con– servare sempre forbita per la. propria difesa. Per Io stesso Paolo Leroy-Beaulieu, non sospetto di ccc_essivc tenerez~e in materia, lo sciopero « ha ·cl;lr– tamenle conlr1bmto a far meglio rispettare o-li ope– rai dai padroni, a· prevenire abusi 'e oo-ni ~orta cli sfruttamenti e \li degradazioni» (2). Mà..,non è men certo che_e~so mfligge ad ambe le parti, sopratutto alle famiglie operaie, · danni o-ranc\issimi non di r~clo_sp1:oporzi~nati agli effetti° utili, anch~ in caso cli vittoria; ond è che ad esso tanto meno si fa ri– cor~o, q~1an_lo pjù numerose e agguerrite sono le or– gamzzaz1on~ cle1 la".or?tori (3). , J\dop1:ars1 a sost.1tmre all'esplosione dei conflitti I ese1·c1z10-~·egolato e normale di un diritto è dun– que, pe_lM1llerand, dovere cli un Governò democra– l1c_o. Fmchè_ lo s_ciopero ~ l'unica difesa dell'ope– r~LO -:- cosi egh -s1 esprimeva in un discorso a Lione 1\ 17 maggio 1907 - non si ha diritto cli con– teslarghenc l'esercizio; esso è un male talora inevi- (1) A. MILLERAJSJ): Polilique de ,·ictus«ILou. (2) Ess«i sur I« -1"épa,·/ilio11des ,•icl,esses. (S) I primi venti giorni del recente granelloso ~olopero del mina– tori Inglesi costarono a loro 19 milioni di salarì, e 10 mlllonl al la– voratori cli altre lnclustrle. Le Tmdes- U11-io11s ·del minatori distribui– rono sussidi per 9 mlllonl e mezzo cli franchi, e <1uelle d~llc altre Industrie per Gmilioni. labile, · come,. finchè non funzionì l'arbitrato inter– nazionale, la guerra fra le nazioni. E già nel· 1901, alla. Camera di Commercio cli Parigi, esponendo il pensiero -suo e quello del presidente del Consi– glio dei Ministri, lo stesso Millerand affermava che, per indispensabile che sia tu1tora l'autorità padro– nale, essa dee servirsi di metodi ben diversi da qll;elli onde si valse fin qui. II padrone neUa •fab– bnca deve·« fa1;e accettare» la sua autorità da quelli che sono chiamati a sopportarla-. Esso dève, cioè, darnf;). ragione, per guisa che gli operai ne com– p_renclano il fondamento. Nelle grandi agglomera– z10ni sempre più frequenti nell'industria, ciò non potrebbe otte1iersi senza un contatto qtìotidiano, senza la possibilità organizzata pe1· gli opetai di r~care a conoscenza ciel loro capo le loro doglianze, sia!'lo o n~n siano _fondate. Di qui la proposta isti- tuz10ne ·cle1 delegat1 (1). · . II congegno escogitalo dal Mille-rand nou diven– tava obbligatorio se non per le aziende che libera– mente vi- si sottomettevano. Egli non credette - come dichiarava- ne-Ila nelazi0ne -- di - poter• im– porre di sbalzo una organizzazione del lavoro così nuova e. delicata a tutti i padroni e a tuUi gli ope– rai; ma la riallacciò ai principii vigenti sul contratto cli _layoro. Perciò. (a_rl. 1 °), ne13·listabilimenti indu– :'lr1~h o ._commerc1~h occupanti al~eno 50 operai o unpiegatI, un avviso a stampa, mnesso a coloro che venivano assunti al lavoro, •significava se le controversie verrebbero o no• sottomesse all'arbi– trato a norma della legge. Il fatto di rimanere nello stabilimento implicava tacita accettazione. Soltanto lo Stato (art. 4) imponeva cotesto regime ai propri concessionarii di appalti, forniture, ecc.; e le Pro– vincie e i Comuni potevano imporlo. Dove il nuovo reo-ime era accolto (art.· 5), gli 'operai o impiegati eleggevano i loro delegati per– manenti. Se ai reclami tràsmessi pel lrnmite di que– sti (art. 14.) il capo dello stabilimento non inten– deva aderÌl'e, doveva, nelle 48 01·e, designare i pro– prì arbitri; nelle successive 48 ore, gli operai desi– gnavano i proprì in. numero egua'le. In difetto di des~gi:azione da parte ,dell'imprenditor~, ? se:: gli arb1tn non rendessero 11 lodo entro sei g1orn1, lo sciopero, purchè deliberato con date norme (arti– coli 16 e 17) ·dalla maggioranza dei votanti e da un terzo -almeno degli interessati, diventava obbli– gatorio per tutti, salvo, ogni sette giorni, rinno– vare in proposito .Ja consultazione ed il •.vole>.Di– chiarato lo sciopero (art·. 21), i Consigli del Lavoro fungevano da arbitri.· Disposizioni penali' - am– mende, e nei. casi più gravi anche il carcere - . guai'entivano ·la libertà· del voto, e il libero funzio– namento delrarbitl'ato; ma l'inaMmpie1il.za di fronlo· al lodo era punita unicamente con la interdizione, fino a 3 anni, dall'elettorato e dalla èligibilitù nei consessi industriali - Sindacati, Delegazioni ope– raie, Probiviri, Camere di Commercio, Consigli del Lavoro, ecc. (2). · Ma il progetto non ebbe fortuna; caduto in un ambiente non ancora maturo per accoglierlo, esso clovè naufragare, preso fra i ·venti contrari delle op– posizioni che gli mosse·ro padroni e operai. I pa~roni _si ~e".ar~mo a ~lifen~erc i lor_o privilegì; avvezzi a) più 1ll11mtaro d1spotismo, èss1 trovai·onò· inammissibile che, nelta direzione degli affari _:... o· si trattass·c dei processi della 'J'.>rodi.Jzione,o dell,i condizioni del n1ercaro e della· concorrenza, o di quelle del lavoro - influenze estranee · pretendes– sero- pesare sulla loro· v·olontà. Gli operai dal canto loro mostrarono di preferire « l'assolutismo padro– nale temperato dallo sciòper'o >>al regime costitu:.. (1) MILLERAND : 1'ravalt et t,·avaltlwrs. (Z) A. LAYy: L'oeuv,·e de Mllle.-and.
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