Critica Sociale - XXI - n. 23-24 - 1-16 dicembre 1911

CRITICA SOCIALE 369 quali hanno pure una abitudine al lavoro collettivo molto più antica che non i mezzadri — ha bisogno di conciliarsi, almeno in parte, colla permanenza di caratteristiche individualistiche, affinché si conservi uno stimolo automatico sufficiente alla operosità dei singoli. Per queste considerazioni, i mezzadri devono svol- gere il loro movimento cooperativo gradatamente, e partire anzitutto da quelle forme commerciali ed industriali, che, potendosi distinguere dalla condu- zione più strettamente agraria, appaiono più sem- plici e facili, e, se esigono spese d'amministrazione, rappresentano anche forme nuove di attività, i cui redditi prima non andavano a vantaggio della loro categoria, ma di altre. Essi devono perciò sviluppare le Cooperative di consumo, specializzandole — dove altre Cooperative di consumo già esistono — nel commercio di quei generi, che corrispondono ai loro bisogni più caratteristici (ad esempio, frumentonei molami, ecc.); sviluppare le Cooperative di acquisto per comperare i concimi chimici e le macchine agra- rie; tentare la conduzione associata di quelle indu- strie, che si basano sulla trasformazione dei prodotti agricoli, come potrebbe essere, ad esempio, la lavo- razione delle uve e del latte, l'esercizio della treb- biatura, la trasformazione dei grani in farina, ecc.; finalmente, dare incremento ad Istituti cooperatiu di credito, specie per facilitare ai soci l'acquisto delle terre. Poiché gli attuali mezzadri non possono, sui ter- reni che oggi lavorano come tali, introdurre utilmente la produzione associata senza passare pel tramite delle affittanze collettive, e poiché queste ultime — dovendo venir preparate dall'esercizio di forme più semplici — tarderanno non poco prima di poter es- sere, sempre sugli stessi terreni, applicate; 8 proba- bile che i mezzadri medesimi, sotto l'azione delle forze, che, frattanto, li spingono verso la piccola proprietà lavoratrice, estendano la loro organizza- zione cooperativa anche alla vera conduzione agri- cola, quando, anziché essere rimasti mezzadri, siano già diventati — se non sempre, in molti casi — pic- coli proprietari di quegli stessi terreni. In tal caso, la completa produzione collettiva sui terreni oggi lavorati dai mezzadri, anziché effettuarsi per il mezzo di affittanze collettive, si effettuerebbe quando i mez- zadri non dovrebbero più pagare alcun fitto, perché sarebbero già divenuti piccoli proprietari; quando, cioè, le condizioni per Paffittanza collettiva sarebbero superate dal fatto che la proprietà delle terre 8i tro- verebbe nelle mani stesse dei cooperatori. La condu- zione agricola, esercitata da parte degli antichi mez- zadri in modo completamente associato, rappresen- terebbe allora un- vaso particolare della cooperazione dei piccoli proprietari, intorno ai caratteri della quale abbiamo parlato a suo tempo. Non intendiamo escludere con ciò la convenienza, per i mezzadri, di iniziare sin d'ora — quando se ne sentano la preparazione — affittanze collettive. Sol- tanto crediamo che queste, pel momento, dovranno mirare alla conduzione agricola, non sui terreni già occupati dai mezzadri come tali, ma su altri terreni. Invero, i mezzadri possono avere interesse a creare un organismo per la con lozione agraria associata, il quale, coesistendo accanto alle loro conduzioni an- cora individuali, serva come primo esperimento e, sopratutto, sia in grado di raccogliere quei loro com- pagni, che, in un conflitto coi proprietari, venissero licenziati dai fondi rispettivi, e corressero il rischio — rischio il cui timore è causa non ultima della attuale debolezza dei mezzadri di fronte ai proprie- tari — di ricadere allo stato di braccianti. Un tale organismo rafforzerebbe grandemente quel tanto di azione di resistenza, che, dato il loro contratto, i mezzadri possono svolgere nei rapporti coi proprie- tarì, appunto perché garantirebbe coloro, che più si esponessero e rimanessero vittime delle rappresaglie padronali, contro il pericolo di passare, da una cate- goria in condizioni migliori e sopratutto con lavoro continuativo, ad una categoria in condizioni peggiori, e sopratutto con lavoro discontinuo. Il lavoro sui terreni da condursi con siffatte affit- tanze collettive dovrebbe essere prestato da compo- nenti di quelle famiglie, che risultassero più nume- rose relativamente ai fondi coltivati a mezzadria, e — nei momenti in cui maggiori braccia fossero di- sponibili — anche da altri fra i soci. ANTONIO GRAZIADEL Al prossimo numero il capitolo VI: I mezzi di mi- glioramento e di emancipazione per i braccianti. I NAZIONALISTI ALLA PROVA! L'atroce canzonatura di Luigi Einaudi al partito e agli uomini del Corriere della Sera. Luigi Einaudi, diventando l'economista ufficiale del Corriere della Sera, non ha mai cessato, tut- tavia, di essere uno scrittore colto e un uomo di spirito. Egli fu, nel decennio che corse fra il 1893 (ancora studente !) e il 1903 (già enormemente pro- fessore !), uno dei più assidui e apprezzati collabo- ratori della nostra Rivista, nella quale scrisse arti coli, che molti ricordano ancora, sulla politica operaia, sulle questioni ferroviarie e doganali (') e su altri svariati argomenti ; nel trattare i quali — pur non avendo mai fatta piena adesione dottrinale al socialismo come scuola — mostrava allora di cre- dete che solo il partito socialista — come rappre- sentante del più vasto e progressivo degli interessi sociali, l'interesse proletario — potesse agitare effi- cacemente, e radicalmente risolvere, le questioni economiche più profondamente vitali pel paese. Un giorno — quando potrà farlo senza troppa of- fesa al materialismo economico — egli forse ci nar- rerà candidamente per quali vere ed occulte cagioni egli abbia potuto abbandonare le colonne della Rivista socialista per quelle del maggiore oro- ' ano del conservatorismo e del capitalismo italico. For- s'anco, una ve ne fu, che noi sentimmo quanto lui, sebbene non potesse, come lui, spingerci alle op- poste rive: alludiamo alla tenace refrattarictà del partito socialista italiano a quella politica positiva, di riforme profondamente studiate e energicamente proseguite, alla quale — il cosidetto « riformismo », in sostanza, non fu altro — gli venne, da queste pagine, fatto così insistente e ahimè ! così sterile ri- chiamo; e l'avere disertata la quale è, secondo noi, la cagione decisiva di quella involuzione e degene- razione, non solo del partito socialista, ma di tutta la democrazia italiana, che rese oggi possibile e ben accetta dai più (finché gli effetti non producano un brusco immancabile risveglio) la nuova follia africana. Onesti ricordi, sempre vivi, dell'Einaudi di un tempo fecero sì che il suo studio, testé pubblicato nella Riforma sociale — e a cui certo non avrebbe concessa la propria ospitalità il Corriere della Sera! — destasse in noi assai maggiore compiaci- mento che sorpresa: ritrovando noi in esso la voce e la fisionomia del nostro antico, e non del tutto spento, collaboratore. Soltanto egli é oggi costretto a velarsi dietro una maschera, la quale, se per noi (,) Eleordatlesimi, fra l'altro, gli articoli scritti In collaborazione con Affilio Cablati, e raccolti poi nel volumetto della nostra ' Bibite- teca di propaganda L'Italia e trattati di commercto (1803: L.1).

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