Critica Sociale - XXI - n. 23-24 - 1-16 dicembre 1911

364 CRITICA SOCIALE elusione: "dunque non armiamo di più, sia pure ar- mando meglio; non arrischiamo di più, sia pure pre- tendendo meno; perché non ci torna il conto; eseguiamo le spese straordinarie inevitabili, ma troviamone i mezzi nella riforma dell'assetto attuale, entro la cifra del bi- lancio ordinario attuale „. E voi mi opponete il punto interrogativo della storia; chi può giurarlo, che il pericolo non c'è? E se, mal- grado tutto, fossimo trascinati? Si tratta della patria! Si tratta della madre ! E sia pure! La certezza non è di questo mondo; ma la obiezione sta contro di voi, come sta contro di me; soltanto, sta contro di voi, apparentemente, un passo più in là. Perche, allora, onorevoli colleghi, se tutto è incerto, se l'assurdo è possibile, se, nonostante la più accorta prudenza, possiamo essere trascinati per i ca- pelli in una conflagrazione, e non sappiamo quale e quanto sarà il nemico, perché voi non ce lo dite e non ce lo potete dire, e ci prepariamo, lo ripeto, non per il domani immediato, ma per il posdomani, quel po- sdomani, che non è neppure nel grembo, ma è nel cer- vello di Giove; se tutto, dunque, è incertezza, o perché ci chiedete soltanto 200 milioni e non 400, e non mille milioni? L'incertezza è contro di voi, come contro di me; per- ché questi 200 milioni, voi lo sapete benissimo, se non proliferano all'interno, proliferano all'estero. Il giuoco riuscirebbe se nessuno ne avesse sentore. Ah, si, ho visto che, nella Giunta del bilancio, avete adottato il sistema di non mettere a verbale le dichia- razioni del senatore Mirabello, perché non ne sospettino dalla parte di là; e con questo — chi ne dubita? — possiamo coricarci tranquilli! (') Ma il guaio è, onorevole Guicciardini, che voi vi-tro- vate di fronte a nazioni più popolose, più ricche, più militari della nostra; e, dove noi faremo per uno, esse faranno per due. (Interruzioni — Rumori). Una voce: Noi non facciamo niente. TURATI. No, non mi fate dire più di quello che io non voglia dire! Io rispondevo all'on. Guicciardini, il quale, con nobilissimo pensiero, sosteneva ieri che, per fare degli utili negoziati con l'Austria, dobbiamo tro- varci con essa da pari a pari. Ma egli non si doman- dava, semplicemente, se la cosa sia possibile. Quando, per esempio, noi pensassimo sul serio di fortificare la costa in modo da potere imbottigliare una 'flotta austriaca nell'Adriatico, ditemi se, non dico l'Au- stria, ma la Germania, che le sta dietro, lascerebbe fare! La verità è che noi, non soltanto ripeteremo l'esempio di quei leggendari spettatori della platea che, per veder meglio, si alzano tutti sulla punta de' piedi, e riescono soltanto a stancarsi di più; ma saremo anche più cor- bellati, perchè quelli che stanno più avanti di noi di- spongono di più alte e salde seggiole per montarvi su e toglierci ogni veduta. (Rumori — Interruzion(). Perché — ed è aritmetica elementare — in questo genere di gare all'infinito, se il più forte si estenua, il più debole muore. Ed è qui che crolla tutto il nobile discorso dell'ono- revole Guicciardini, il quale chiedeva: che sarebbe av- venuto delle questioni di Cuba, di Fascioda, del Ma- rocco, se le nazioni in contrasto non fossero state forti ed armate come realmente lo furono? Ah si, glielo con- cedo, onorevole collega: se le forze fossero state di- verse diverse sarebbero state le soluzioni. (,) Il compianto ammiraglio MIrabello era, in quel tempo, ministro della marina. Questo è apodittico, è vero per definizione: ma non prova che, se minori fossero state le forze militari, peggiori sarebbero state le soluzioni e più facile lo . scoppio della guerra; e questo è ciò che dovevate di- mostrare. Quasi che sia serio asserire che, se vi fossero meno interessi e minore preparazione congiuranti alla guerra, le guerre scoppierebbero più facilmente! Questo luogo comune, che vive da duemila e più anni, onorevole Gio- litti, avrebbe diritto ormai al trattamento di riposo. Diceva l'on. Guicciardini che la Bosnia e l'Erzego- vina furono potute annettere dall'Austria, senza guerra, soltanto perchè la Russia era estenuata dal suo cimento contro il Giappone. Verissimo. La debolezza della Rus- sia giovò all'Austria, e forse nocque a noi, come alla Bosnia, come alla Turchia: se la Russia fosse stata più forte, l'annessione non si sarebbe fatta, e non ne sa- rebbe nata la pretesa necessità dei nuovi armamenti, a cui stiamo ora provvedendo. Ma, se la Russia, risalendo, fosse stata dapprima più debole, non avrebbe osato di provocare il Giappone! E non sarebbe nata tutta questa nuova situazione, che annida minacce di guerra. Ecco, quindi, che ci aggiriamo sempre in un circolo vizioso, da cui non ci è dato sgrovigliarci. Il famoso si vis pacem para bellum non è che un giuoco di parole da oracolo di Delfo. Torniamo, signori, al senso colline, che dice: si vis pareva para pacem. Poniamo fine a questa vana follia della gara degli armamenti che oste- una le nazioni; creiamo gli arbitrati; foderiamo gli Stati; se altri non vuol dare l'esempio, e noi si cominci. Io sono fermamente convinto che la prima nazione, che avrà questo onesto coraggio, diverrà dominatrice del mondo. (Ilarità — Commenti — Applausi all'Estrema Sinistra). Se le nostre repubblichette medioevali, che si com- battevano fra di bro, avessero aspettato, ciascuna, per disarmare, che la vicina l'avesse preceduta, noi saremmo ancora alle guerre della secchia rapita. Noi abbiamo abolito la pena di morte senza aspettare che si avverasse l'augurio que messieurs les assassins commencent, e ce ne troviamo abbastanza bene. Per la vera « più grande Italia »! Vogliamo essere una grande potenza? — in che senso " grande "? Or dunque l'ipotesi dell'ignoto, dell'incalcolabile, del- l'imprevedibile, del fatale, non ha alcun valore. Non è contro il fato che si fanno le leggi ed i bilanci: esso se ne ride allegramente. E allora, se rientriamo nel campo del noto, del calcolabile, del probabile e del vo- lontario, se ritorniamo padroni del nostro destino, la questione muta d'aspetto e si risolve in quest'altra " Vogliamo noi essere nna grande potenza? E in che senso vogliamo essere una grande potenza? „ L'on. Mazzitelli risponde: " Una grande potenza mi- litare „. L'ultimo aggettivo egli veramente lo dimenticò: ma sorgeva, erompeva da tutto il suo discorso. Il Governo a sua volta risponde: "Noi vogliamo es- sere, per ora, 'una potenza militare così casi „. Ed è la soluzione peggiore. Ecco perché il mio " come canti bene! n io l'ho rivolto ad altri, perchè quella soluzione ha tutti i guai e tutti i pericoli della provocazione, senza darci forza che basti ad affrontarne le conse- guenze.

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