Critica Sociale - XXI - n. 23-24 - 1-16 dicembre 1911
CRITICA SOCIALE ,363 gli Imperi centrali a noi possono chiedere, unico pegno, la, neutralità in caso di conflitti. Argomento, questo, che non porta al disarmo, come interrompeva, da quel valente loieo formale ch'egli è, Pon. Fortis. Non porta al disarmo, perché la neutralità (e lo accennava testé, in un MIO ben cornuto dilemma, l'amico Barzilai), la neutralità promessa, in tanto ha un valore, in tanto può metterei a prezzo, in quanto po- trebbe essere negata od infranta; in quanto cioè sia la neutralità armata. (Interruzione del deputalo Forgia). Gli inermi, onorevole Fortis, non sono dei neutrali, sono degli imbelli, che è tutt'altra cosa. Ma, allora, resta sempre da vedere fino a che punto siano neces- sari gli armamenti, per dare il valore che conviene a questa neutralità. Il libero arbitrio e la guerra.— Politica di dignitè. e di pace. Io penso, dunque, che alla guerra non andremo: seb- bene questa discussione, e queste proposte, e lo stato d'animo che esse in parte riflettono e in parte accen- dono, certamente ci accostino ad essa. Ma io un'altra cosa sostengo, che il Bissolati non accennò esplicitamente, ma che sorge, che erompe ine- luttabile da tutta la trama del suo discorso, in ciò che aveva di più inattaccabile e ha di più inattaccato. Egli disse: con la Francia non faremo la guerra perché non vogliamo farla; e voi sentiste che questo era vero, sa- crosantamente vero, tant'è che non lo avete urlato. Voi avete sentito che nessun Governo, nessuna po- litica, nessuna diplomazia ci potrebbe portare ad una guerra, che sarebbe due volte fratricida. Ogni guerra fratricida, ma questa lo sarebbe due volte: e sarebbe insieme un suicidio. Ora, che cosa significa questo? Significa che è nel nostro volere, nel nostro potere, che è nel nostro libere arbitrio di andare incontro leg- germente alla guerra o di sicuramente evitarla. Io mi ribello al concetto, che ho sentito più volte aleggiare su questa discussione, che la guerra si imponga a guisa di un fato greco, che nessuna forza umana possa., in dati momenti, allontanare e deprecare... (Oh! oh! oh!). Forse che, appunto per evitarla, non abbiamo un Go- verno, non abbiamo l'on. Tittoni ed i suoi ambasciatori sparsi per il mondo? (Interruzioni). Non abbiamo una opinione pubblica, e magari dei fondi segreti per am- maestrarla? Perciò deve della guerra accadere quello che è ac- caduto dei duelli e va accadendo degli scioperi, che un tempo erano inevitabili, e che, mano mano che la civiltà si avanza, diventano sempre più eccezionali: anzi, i duelli non sono più che la pena degli spavaldi. Intendiamoci bene, su questo punto, o signori! Penso anch'io coll'on. Barzilai che vi siano dei momenti nella vita delle nazioni (il simile avviene per gli individui), in cui veramente una nazione non potrebbe rifiutare una guerra, che avesse provocata o alla quale fosse stata provocata, senza rinunziare al decoro, senza es- serne diminuita moralmente e materialmente; ma penso insieme che le nazioni (come gli individui) possano te- nere una tale linea di condotta, per la quale non av- venga loro di provocare nè di essere provocati. (Oh! oh! oh! — Commenti prolungali). Una guerra assolutamente impossibile. — Tutti alla frontiera! — I grandi trusts delle nazioni. E, se anche, onorevoli colleghi, è fare dell'astrologia proclamare che ogni guerra sia diventata impossibile; voi almeno mi concederete che vi è unza guerra impos- sibile: ed è l'invasione fatta a freddo, senza motivo, o per motivi di futile rappresaglia, l'invasione brigantesca di una nazione in un'altra nazione costituita: quella che temono, non so per quale infatuazione, i nostri amici e colleghi del Veneto; dell'Austria che piombi nel Lombardo-Veneto per ricondurlo allo statu quo ante del cinquantennio di cui commemoriamo così clamoro- samente, in questi giorni, l'inizio. Questo è l'impossibile, questo è l'assurdo, e non è per l'assurdo che si fanno i bilanci e le leggi, e che si preparano le difese. Che se questo assurdo sl verificasse, dico che le armi che ora possediamo, e quelle che potremmo avere domani riformando e migliorando l'esercito e pur rimanendo, con la limitazione dei quadri, nei confini della spesa attuale; dico che, in tal caso, quelle armi che abbiamo decuplicherebbero di valore nel nostro pugno.... (Oh! oh! - Rumori - Esclamazioni diverse): dico che allora, si, come ben presagiva Pietro Chiesa, allora noi tutti accorreremmo alla frontiera.... (Rumori — Esclamazioni — Vivi applausi all'Estrema Sinistra). Voci. Questa è retorica! TURATI. Si, accorreremmo alla frontiera! (Nuove in- terruzioni ed esclamazioni in vario senso — Applausi all'Estrema Sinistra). Verreste anche voi; insorgerebbero le donne ed in- sorgerebbero anche le pietre (Oh! oh! oh! — Rumori prolungati). Se questo avvenisse, e se anche, ultimo assurdo degli assurdi, l'Europa consentisse, acquiescendo, che questo avvenisse, dico che l'invasione non durerebbe due mesi; essa arrecherebbe danni enormi a noi, ma ne recherebbe anche di maggiori al ladrone che avesse valicato il nostro confine... (Rumori — Esclamazioni). APRILE. Quanto costerebbe all'Italia? (Rumori vivis- simi all'Estrema Sinistra — Apostrofi del dep. Aprile). PRESIDENTE. Onorevole Aprile, la finisca! La ri- chiamo all'ordine! (Rumori vivissimi — Scambio vivaci di apostrofi). Ordino agli stenografi di non raccogliere le parole degli interruttori. Onorevole Beltrami, stia zitto !... Onorevole Beltrami, richiamo all'ordine anche lei! Prosegua, onorevole Turati. TURATI. Quando la ipotesi impossibile si avverasse (e le leggi e le spese di miliardi non si fanno per le ipotesi impossibili, onorevole Aprile), io facevo appunto il conto all'ingrosso di quello che costerebbe a noi e di quello che costerebbe al ladrone, che avesse varcato il confine! D'altra parte, è un luogo comune della po- litica estera, che oramai le guerre isolate, di uno contro uno, sono divenute impossibili; e che, oggi, un conflitto europeo trascinerebbe con sè varie costellazioni di Stati, una contro l'altra. Queste costellazioni, queste alleanze od intese, sono veri trusts commerciali, in cui ciascuna nazione reca un apporto e ne pretende un profitto, pro- porzionando le pretese e il rischio alle sue forze e ai suoi calcoli. Or questo che cosa significa? Significa che, in fondo, la politica estera dipende da noi, dalle nazioni che la fanno. Obiezioni che non concludono. — Il discorso Gaie- ciardini e i problemi europei. — Circolo vizioso senza uscita. Ma vedo dai vostri mormorii che voi resistete. Voi sentite che il mio ragionamento conduce a questa con-
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