Critica Sociale - Anno XXI - n. 21 - 1 novembre 1911

Critica Sociale RIVIST.11 QUIADICIAWLE DEL SOCIMISMO Nel Regno: Anno L. 8 - Semestre L. 4 — All'Estero: Anno L. W - Semestre L. 5,50 Lettere e vaglia all'Ufficio di CRITICA SOCIALE - MILANO: Portici Galleria V. E., 23 • Anno XXI - N. 2/ Non si vende a numeri separati II Milano, 10 novembre 1911 sommAaio Politica ed Attualità. Nella tagituola I (FILIPPO TURATI). Quel che ha detto il Congresso di Modena (LA CRITICA SOCIALE). Atinisterialimno e partecipabione al potere: La risoluzione appro- vata. — L'ordine del gdurn. integralbstm e Vorenne dei giorno di destra c..). La statistica del Congresso Come il Congresso ha votato; Il censi- mento delle Sezioni ad Congresso (II. CONTABILE). Un commento polemico di Giovanni Zibordt Polttica vecchia che vor- rebbe esser nuova (La C. S. e Pro!. GIOVANNI TIBORDI). Filosofia, Letteratura e Fatti sociali. L« casa oggi, la pensione domani; Per un inventore contabile (FILIPPO TURATI). Biblioteca dí propaganda. ERRATA. — Correggete una svista occorsa nel Som- mario dell'ultimo numero. Il sottotitolo di Fra Libri e Riviste di f. p. dev'essere, com'è nel testo: Ancora masse e dirigenti. NELLA TAGLIUOLA I Si iutuisce, senza troppe parole, quali preoccu- pazioni e ritegni ci impaccino l'animo e la penna, all'atto di esprimere — come pur vorremmo — lutto il pensier nostro, circa la lugubre. pagina di barbarie e di sangue, che Governo e ceti dirigenti hanno aperta, e stanno istoriando, stella politica italiana. Il dissenso, la protesta nostra doveva es- sere affermata e lo fu — non importa a prezzo di quali nostre amarezzé — prima ancora che l'evento varcasse alla fase esecutiva, allorquando una re- sipiscenza salutare appariva tuttavia tempestiva e dignitosamente possibile. La tristezza, che ci ha invasi, di fronte al disastro indeprecabile delle no- stre più care speranze, dei lunghi sforzi durati per concorrere ad avviare il Paese a una politica di pa- ce, di lavoro, di riforme serie, sincere, profonde — quindi faticose e costose — per l'elevamento del proletariato nazionale, col sempre più vivo e co- sciente suo contributo; colesta tristezza oggimai si raccoglie taciturna dentro di noi, e repugna da ostentazioni, che da troppa gente, ancor oggi, non sarebbero intese; sarebbero — peggio — fraintese ed irrise. Conviene che un lasso di tempo e una vigilia di esperienze, che auguriamo il meno aspra possi- bile, riconduca serenità negli spiriti — dissipi i torbidi fumi di una epidemia di ebrietà, onde troppi, anche dei nostri più, prossimi, subirono la malsana malia — affinché una parola pacata, inspirata alla umile realtà delle cose, ritrovi lo spiraglio delle menti e dei cuori. La separazione, che volemmo netta e recisa, delle responsabilità — supremo do- vere in vista dell'avvenire — non può indurci ad atti o a parole, che consentano, un giorno, all'al- trui malizia, ai veri e maggiori responsabili, quan- do siano chiamati alla resa dei conti, di tentare, con apparente fondamento, di scaricare una fra- zione qualsiasi del debito loro sulle nostre spalle, accagionando alla parte socialista di avere concorso a fiaccare quelle energie, oncressi, per la patria, attendevano sucéessi ed allori. Ma, pur troppo, mentre altri — anche amici — ci attribuiscono, con un tenue sorriso di compatimento benevolo, un furore allucinato di fosche visioni apo- calittiche; già, a così breve intervallo dagli esordii della trista avventura, sembra a noi di sentirci pul- lulare d'attorno gli indizii di un consenso pensoso, che non osa ancora palesarsi, che teme di confes- sarsi a se stesso; ma che si fa ogni giorno più assil- lante, più preciso, più consapevole. E un terrore ci assale, che vorremmo poter scongiurare: che i fatti siano per darci assai più, e più presto, ragione, che noi non vorremmo. Perocchè, ancor oggi, per noi, l'impresa alla qua- le una « fatalità storica » si disse aver forzato il Governo; ancor oggi — oggi più che mai — ap- pare inverosimile, assurda, impossibile; tanto è dis forme da quanto, ragionevolmente, da quegli uo- mini, in quest'ora, ci si doveva aspettare. Nè correrà gran. tempo, senza che si renda palese, a quanti di proposito non vorranno esser ciechi, ciò che a noi, dagli inizii, fu semplicemente intuitivo: di che loschi maneggi, di che turpi egoismi e raggiri, di che bie- chi moventi, ai danni ed a scorno della nostra na- zione, quella pretesa « fatalità storica» fosse abil- mente intessuta; e con quale enorme, inesplicabile, imperdonabile leggerezza di coscienza e di spirito, i nostri reggitori abbiano ad essa piegato. La politica internazionale è cosa troppo aggravi, gliata e malcerta, a quei medesimi che si vantano « iniziati» ai suoi riti, perché possa darsi oggi, con certezza, la chiave delle arti tenebrose, con le quali straniere diplomazie — e son tutte e sempre stranie- re e nemiche le diplomazie, a dispetto delle amicizie professate, delle stipulate alleanze — spinsero il no- stro giovane Stato — che iniziava appena un arduo lavoro di interna ricostituzione — lo spinsero entro

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