Critica Sociale - Anno XXI - n. 20 - 16 ottobre 1911

CRITICA SOCIALE 317 Riformismo e idealismo. Mi pare ci sia un po' di incompatibilità di carattere. Se intendiamo l'ideali- smo come volontarismo, gli stessi riformisti si pro- clamano e si vantano deterministi. Ciò, lo so, può non dir molto. Ma, allora, dice molto il fatto che la prassi riformista si adegua alle cose, segue il mi- nimo mezzo delle soluzioni, ricerca le conciliazioni pronte, sicure, proficue, in luogo dei dissidi aspri, poco « economici », da potersi superare vittoriosa- mente solo con un atto di volontà ampio, audace, conquistatore. La minuta prassi quotidiana non può chiamarsi ,nel senso proprio della parola, volonta- ristica: tale è invece l'azione sindacalista, tale è pure, benchè in grado attenuato, il marxismo di Marx. Io vedo invece nel riformismo una specie di fatalismo... a lunga scadenza. Il riformismo opera oggi microscopicamente, con la piena fiducia che, composto fibra a fibra, il socialismo verrà fuori un giorno da questa sua opera. Il volontarismo qui non c'è. Il volontarismo è fede nel socialismo, la quale crea il socialismo. Il riformismo ha, invece, fede nella propria azione: e quest'azione, lo sappiamo, ha un e riverenziale timore » dei fatti ed una speciale ammirazione per le soluzioni effimeramente utilita- rie. Se quel timore e questa ammirazione siano poi permeati di « volontarismo », io con certezza non so: e assai mi piacerebbe di saperlo. Ma c'è un secondo aspetto dell'idealismo: quello che qui propriamente c'interessa: l'idealismo ch'è fuori o, meglio, al di sopra delle classi, e si fonda sul concetto della giustizia sociale. Marchioli dice che il riformismo n'è sempre più pervaso, sino al punto da rendersi necessario un atto di coraggio, col quale spezzare l'antica gnoseologia materialistica, per sostituirvi una filosofia della prassi intimamente idealistica. Ebbene, no. Io difendo il riformismo. Il quale, in verità, non s'è mai macchiato d'un simile.., delitto: non ha mai concepito e tenuto a guida della sua prassi un idealismo a base di giustizia sociale: que- sto suo preteso idealismo non è inconfessato; invece non esiste affatto, o esiste solo in una misura tra- scurabile. Nella collaborazione di classe — si dice — nelle municipalizzazioni, nelle statizzazioni, nella conqui- sta del suffragio universale, delle riforme tributarie, eccetera, il concetto di classe fa posto ad un concetto superiore: quello d'ella giustizia sociale. 'h in ciò un fondo di vero; ma, principalmente, quel supposto idealismo è il travestimento di un particolare modo di essere della coscienza riformistica, il quale si riassume in una soverchia cura e, talvolta, in una grave insufficienza: cura ed insufficienza che si spie- gano e si alimentano l'una l'altra: cura delle riforme, comunque utili al proletariato o alle diverse sue ca- tegorie; insufficienza, insieme, di sensazione della classe come entità unica, distinta, rivoluzionaria. Ciò, spesso, fa apparire idealismo quel ch'è sfruttamento materialistico delle circostanze o povertà d'ardenza sovvertitrice. Non nego con questo che il riformismo conosca superiori e generali necessità sociali, ma nego che la sua sostanza sia in ciò. L'idealismo della « giustizia sociale a Marx non ha mai conosciuto; ed il riformismo, che da Marx discende, non credo che sino ad oggi lo abbia accettato in sè, sino a farne il suo carattere essenziale. Egli non ha tali velleità; ma opera, in tutti i modi, da un punto di vista pro- letario: se questo coincide talvolta con una linea di giustizia sociale » sarà tanto meglio per tutti; ma il riformismo non parte per la effettuazione di questa « giustizia », anche perchè si tratta di... un concetto cosi elastico .e nebuloso, che chiunque può credersi in diritto, e in dovere, di vederlo sempre effettuato nell'opera propria. Il volere municipalizzazioni e sta- tizzazioni, suffragio universale e riforma tributaria non appartiene esclusivamente al riformismo socia- listico: se in qualcosa questo deve differenziarsi da altri riformismi, non sarà dunque in ciò, bensì nel contenuto proletario di cui riempie le proprie aspi- razioni. Non c'è ragione quindi di scorgere nella sua prassi una prassi idealistica, di convertire il suo in- tricato determinismo in un puro idealismo. Se le classi s'incontrano e... si fecondano, pronubo il ri- formismo, non è necessario che a questa funzione produttiva abbia presieduto un alto fine ideale, bensì solo uno scopo di pratica utilità: e non solo da parte del ., proletariato, ma anche da parte della bor- ghesia o cieile sue frazioni. La '« coincidenza degli interessi a non è un fine, è un semplice mezzo: stru- mento di utilità proletarie, se non di socialismo:. né il riformismo ha sinora manifestamente scambiato fine con mezzo, perché noi possiamo proclamarlo addirittura fuori d'ogni concetto di classe e navi- gante nel fantastico mare di una giustizia sociale e di un socialismo per tutti. Ed ora, appunto questo vediamo: quali siano, i rapporti tra il socialismo che noi conosciamo e il socialismo della « giustizia sociale ». Lo accennai in principio: il socialismo marxistico è un socialismo a base storica, il socialismo della giustizia sociale » è un socialismo a base etico-sen- timentale; quello ritrova il suo fulcro nel proleta- riato, questo in una e rappresentanza » di tutte le classi; quello nella lotta o collaborazione di classe, questo nell'armonia delle classi; quello nella guerra al capitalismo, in qualsiasi forma si presenti, questo al « parassitismo n, al e monopolismo n, alla «pluto- crazia » sociale; quello s'irrobustisce di concetti e di forze economiche, questo si arresta ai concetti etici ed alle forze sentimentali. Io concepisco il marxismo come un'oasi di folto pensiero socialistico verdeggiante oltre una infinita distesa di aspirazioni comunistiche. La terra madre è satura di'sentimento: però, solo in condizioni spe- ciali di fertilità, solo col capitalismo, col proletariato e con Marx, questo sentimento s'è sviluppato a con- cezione storica. Indietro non è che utopisrno, nel quale necessariamente ricade chi nella sua nozione socialistica rinunzia o attribuisce una parte non unica nè primaria al proletariato. Dire che il pro- letariato non può effettuare da solo il socialismo, è dire semplicemente questo: che esso deve servirsi della borghesia o delle sue frazioni nella sua opera rivoluzionaria. Dal fatto che il proletariato non ef- fettuerebbe il socialismo, né accrescerebbe oggi le proprie utilità, e neppure esisterebbe, senza la col- laborazione passiva nè l'esistenza del capitalismo, non deriva che l'uno e l'altro devano di comune ac- cordo dar vita ad un socialismo della «giustizia so- ciale ». No. Il soggetto attivo, la volontà unica di questa ricostruzione socialista è soltanto nel proleta- riato. La borghesia, come classe, non può e non deve cooperarvi; può trovar conveniente questa o quella

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