Critica Sociale - Anno XXI - n. 20 - 16 ottobre 1911
814 crancA SOCIALE non vi lasciò che le misere vestigia di opere ri- spondenti a un'agricoltura primitiva. La dominazione normanna, succeduta alla mu- sulmana, fu benefica in Sicilia per il risveglio della latinità, che dalla notte delle dominazioni barba- riche suscitava i gloriosi Comuni italiani. Ma i Normanni aggravarono il problema fondiario di Sicilia, rafforzando lo sfruttamento dei latifondi coi diritto feudale, e attorno a questo fecero sor- gere un nuovo diritto pubblico. Dal baronato giuridico, per via di quella enorme truffa che fu la così detta " abolizione della feu- dalità per generosa rinunzia dei baroni „, si giunse al feudalismo, non più di diritto ma di fatto, dei moderni monopolizzatori del suolo. Gli effetti di questo succedersi di predoni del- l'antico demanio pubblico di Sicilia sono ben noti: povertà di produzione agricola, malandrinaggio, malaria, assenza di viabilità, abbrutimento delle plebi. Naturale dunque la protesta contro la con- quista di Tripoli, finchè in Italia esistano altri de- serti da colonizzare, altre Tripolitanie da conqui- stare alla civiltà. . Senonchè sorge la domanda: erano pazzi i Ro- mani. che, in Sicilia — il loro granaio — essicca- vano' le fonti della loro stessa ricchezza, per poi tentare di recare la prosperità agricola nell'Africa, a loro del tutto straniera? Come si spiega questo assurdo? O non v'è piuttosto una causa perma- nente del fatto singolare, per cui, dai Romani agli odierni latifondisti, tutti i dominatori di Sicilia non fecero che sfruttare il terreno come una miniera, inaridendolo, corrompendo il clima e imbarbarendo le popolazioni? Perchè mai proprio in Sicilia, la più civile delle provincie conquistate, i Romani avrebbero importato duecentomila schiavi, a col- tivarla da ergastolani e a vivervi di malandri- naggio? *** L'enigma si spiega pensando alle cause del lati- fondo siciliano : le quali, come quelle del latifondo romano, persistono ancora e lo mantengono vivo, a dispetto delle leggi eversive e del codice civile moderno. La genesi del latifondo sta anzitutto nelle particolari condizioni di suolo e di clima, che permettono di mietervi grani indefinitamente, solo raschiando la terra e alternando alla semina il pa- scolo naturale; poi nel diritto di proprietà privata, che, in quelle condizioni di suolo e di clima, trova il suo tornaconto nello scarso prodotto lordo e nelle deserte campagne, quando il prezzo d'affitto sia massimo e nullo il capitale impiegato -- -o meglio non impiegato — in migliorie agricole. La proprietà privata del suolo non porta ovunque gli stessi effetti: nella vallata del Po essa trasfor- ma la palude in ubertose campagne; in Sicilia, come nel Lazio, impoverisce l'agricoltura e imbar- barisce le genti. Sola soluzione del problema la so- cializzazione, che passi il latifondo in dominio della collettività. Non occorre per ciò che sia attuato il socialismo per tutte le proprietà fondiarie. In at- tesa che la piccola proprietà divisa si prepari alla socializzazione per altre vie, può organizzarsi un vasto demanio pubblico, cominciando dai latifondi della semina e del pascolo. I peculii dei reduci " americani „ non sceme- ranno di un ettaro il latifondo italiano. La sola viabilità, con le affittanze brevi, neppure risolve il problema: attorno alle stazioni ferroviarie, in pieno latifondo, non un casolare è sorto, nè un germe di coltura intensiva; dalle strade pubbliche, invano dischiuse, non parte alcuna vicinale, indizio di col- tura intensiva e di popolamento reale. Che anzi, più la terra della semina, selvaggia com'è, 'Anca- risce per l'aumento della popolazione, e tanto meno il proprietario trova tornaconto a migliorarla. Il rimboschimento nella misura antica non è più possibile, avendosi oggi maggiori bisogni di terra coltivabile. Occorre invece disporre i divi frananti a terrazzi, con alberatura sui bordi per rattenere la terra; occorre livellare nuovamente il suolo ec- cessivamente accidentato e rotto, per introdurvi le macchine in luogo dei primitivi arnesi di lavoro; occorre sistemare lo scolo delle acque. Per questo occorrono tre cose: associazioni di lavoratori che si sostituiscano alla impotente o nociva azione dei singoli; affittanze lunghe e rico- noscimento delle migliorie per rendere possibili le trasformazioni agricole; credito di apposite Banche. Neppure la grande irrigazione rigenererebbe la Sicilia, la Calabria, la Basilicata, dove la superficie irrigabile è assai poca in confronto a quella acci- dentata ed alpestre. Nella maggior parte di tali regioni mancano le cadute d'acqua utilizzabili per muovere le indu- strie. Più assai è< da sperare nella forza del vento, che è quasi continuo, per caricare gli accumulatori elettrici e muovere le macchine agricole. Simili opere di trasformazione agricola, solo le grandi associazioni di lavoratori e le affittanze lunghe possono compiere. le*Ar Attribuendo virtù risolutrice di quel problema alle reclamate e pur sempre necessarie opere pub- bliche, si crea dunque un alibi ai veri responsabili della mancata soluzione. Le opere pubbliche, spe- cialmente quelle della viabilità e della bouffica idraulica, sono nel Mezzogiorno urgenti per ragioni complesse di civiltà e influiranno sul progresso agricolo: ma è semplicismo credere che, con alcuni, e fossero pur molti, milioni di opere pubbliche, si risolva il problema della produttività agricola nella immensa superficie dei latifondi, come lo sperare prodigiose palingenesi dai milioni degli " Ameri- cani Neppure dunque risparmiando i milioni e i Mi- liardi che Tripoli minaccia di ingoiarci, si risolverà il problema del latifondo siciliano e dell'Agre ro- mano. Per colonizzare l'Italia, affidando la terra a Cooperative con lunghe affittanze collettive, è gio- coforza urtare nel diritto di proprietà dei feudatari, che dispongono ancora delle forze politiche della nazione; in Tripolitania, se mai, si darebbe la terra di nessuno (1). Si è detto che non devesi conquistare il deserto tripolino, perchè noi abbiamo prima altri deserti da colonizzare. Anche a Tunisi e all'Egitto (quando vi ci invitò l'Inghilterra) si rinunciò col pretesto che vi erano qui altri deserti da colonizzare: eppure, malgrado la rinunzia, il problema del latifondo non fece alcun passo. Allora quella perla di Araby Pascià fu proclamato dalla democrazia italiana il Gari- baldi dell'Egitto. La democrazia ora vede nell'av- ventura tripolina impegnato l'onore della bandiera l'avvenire di una più grande Italia. Essa non vide l'importanza di Tunisi che la Francia con- quistava, ed esagera ora l'importanza di Tripoli che la Francia, chissà con quali segreti intendi- menti, non disputa ed anzi, pare, ha offerto all'Italia. La ripartizione dei demani pubblici, la vendita dei beni ecclesiastici, l'abolizione della feudalità dovevano, a volta a volta, risolvere il problema della terra nel Mezzogiorno, specialmente in Sicilia, (1) Facciamo tutto le riserve su questa “ Ipotesi „ del nostro col- laboratore. Le terre dl nessuno , In Tripolltanla sono le sabbie e le steppe. (Nota dona CRITICA).
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