Critica Sociale - Anno XXI - n. 19 - 1 ottobre 1911

MITIGA SOCIALE .295 Essi fingeranno sempre di.— non aver capito. Sono tanto modesti quei signori! Noi avremo scritto e detto cento volte, fino alla noia, sempre la medesima cosa: che lo sciopero generale è, -virtualmente, un grande, incomparabile mezzo di battaglia; esso riassume, in qualche modo, e simboleggia, tutta l'energia della ri- voluzione proletaria. Invero, soltanto perchè il prole- tariato dee concedere oggi il proprio lavoro — ma può sempre più condizionarne la cessione — e potrà un giorno ricusarlo con un gran gesto collettivo — sol- tanto per cotesto esso è servo, esso si va emancipando, esso si emanciperà. Ma lo sciopero generale non può essere un balocco .di tutti i giorni e di tutto le occasioni. Anche inteso come fazione episodica per conquiste parziali od acci- dentali difese, anzitutto, esso dev'essere..., generale, e a questo il proletariato, quasi ovunque, è tuttavia mi- maturo; inoltre, dee proporsi uno scopo preciso, pros- simo, raggiungibile; deve, in terzo luogo, poter reg- gersi finchè siffatto scopo sia pienamente raggiunto, senza diserzioni, senza rilassamenti, senza trascendere ' a tumulti e a violenze; e questo è il punto più diffi- •cile, sovratutto in un paese tutto semianarehico — in •alto ed in basso — come è ancora il nostro, dove la disciplina è sconosciuta, e le organizzazioni operaie sono scarse di soldati e di provvigioni. Lo sciopero generale, perciò, di semplice protesta, tumultuario, impulsivo, fatalmente indisciplinato, è un rischio grande per la massa, e il più spesso — sopra- tutto se ripetuto di frequente e per motivi non pro- porzionati — fallisce miseramente e si ritorce a suo danno. Esso oscilla, di necessità, fra due opposti e uguali pericoli: fra la reazione e lo scherno. Suscita .lo scherno degli avversari se appare debole, diviso. addomesticato: una semplice, innocente e inconcludente parata. Può provocare una reazione formidabili°, se, estendendosi ai pubblici servizi, ripiombando la società in una condizione quasi selvaggia, turbando interessi vasti e gelosi, trascendendo ad eccessi, esso si risolve, in sostanza, in una rivoluzione mancata. Per quanto, dunque, sia opinione assai diffusa, anche fra socialisti rifornisti, che, di fronte a certe offese, a certe minaccio del potere, anche cotesta forma di protesta valga me- glio del nulla, meglio dell'acquiescenza e del silenzio completi; noi pensiamo che, di regola, essa sia da com- battere a viso aperto, e da prevenire. E che sia da com- battere ugualmente quella predicazione, che dispone gli animi del popolo a farvi ricorso. La perpetua in- certezza, su questo tema, che regna nelle file anche del nostro partito, è una delle cause maggiori della sua sua debolezza ed inconsistenza. Conviene dunque preparare, addestrare le masse ope- raie ad altre forme, più intellettuali e meno arrischiate, di opposizione e di battaglia. Quanto più la causa che si vuol sostenere è vitale ed è santa, quanto più fiera e tenace lotta essa comporta ed esige, tanto meno si deve rischiare di comprometterne il successo col ricor- rere a un'arme, che così facilmente si spezza nella mano che la brandisce, seppure non ferisce, anzi, chi l'impugnò. Lo sciopero generale, applicato ai casi più comuni e frequenti del conflitto civile, tanto più vuol essere sconsigliato, quanto più si crede alla sua im- • portanza, al suo valore, alla sua possibile efficacia in determinati momenti eccezionali della storia. Ma ciò, per fermo, non significa che, allorquando, per uno scatto •generoso, anche se improvvido, delle masse, per un •sentimento sincero e reale che le agiti — non per ar- tificiosi suggestioni dottrinali — lo sciopero generale, economico o politico, prorompa; debba e possa un so— cialista, che invano lo ha sconsigliato, sotto pretesto di coerenza formale, comodamente appartarsi e disin- teressarsene. Egli allora dovrà mescersi ad esso, per interpretarne lo spirito, per porne in luce il lato più nobile, per cavarne, se possibile, qualche risultato ap- prezzabile e impedirgli di prolungarsi oltre limiti ragio- nevoli o, comunque, di degenerare; riservando, si ca- pisce, le ragionevoli critiche al giorno del consuntivo, e non mai solidarizzandosi coi nemici del proletariato, nè fornendo armi alla astiosa censura dei bigotti del- l'ordine, dei bottegai inferociti. Tutto questo è ben semplice e chiaro; e risponde al più elementare senso comune, come al senso più ele- mentare di fraternità sociale ed umana. Ma ditelo dunque ai testoni sapientissimi dei giornali uso Corriere della Sera! Essi, ripetiamo, si faranno idioti volontari, ba- lordi per elezione, e tireran via a rimboccarci: — Come?! Prima esaltaste lo sciopero generale, poi lo sconsigliato? Lo sconsigliaste, e poi vi andate in mezzo, ve ne fate gli interpreti, e pretendete magari di capitanarlo? E infine, dopo avervi preso parte, lo criticate? Ah! bandieruole famose! E avranno un pubblico per chiosare: "che cime! „. Non hanno essi, .ad esempio, dall'articolo nostro della scorsa quindicina — nel quale si prevedeva con sgo- mento, che al nuovo indirizzo politico, segnato e reso 'necessario dall'impresa di Tripoli, agli sperperi che esso importerà e al conseguente abbandono delle ri- forme civili, potrebbe seguire un periodo di delusioni e di conflitti, un periodo convulsionario come altri già superati, infesto insieme al proletariato, alla borghesia, ai Governi, al Sovrano — un periodo che avremmo voluto con ogni sforzo deprecare, pur sentendo che una certa galvanizzazione momentanea avrebbe potuto derivarne al nostro partito ed un certo compiacimento al romantioune che tuttora lo inquina — non hanno essi, i probi glossatori, da un articolo così fatto, desunto e bandito alle turbe che da noi si eccitava allo sciopero, alla rivolta, alla sovversione? Una frase, che chiudeva l'articolo, una frase di amara fierezza: "avanti! sianzo pronti!, bastò loro alla prode bisogna. E han trovato, fin nelle nostre schiere, ottimi compagni, che hanno letto, pensato, e conchiuso: — È proprio cosi! Non è dunque — ripetiamolo anche una volta — non è dunque a costoro che pensiamo di chiedere con- fessate ed oneste resipiscenze. , E nemmeno ci detta queste note la fregola scioe, ca di differenziarci da compagni carissimi — o dal Gruppo, o della Confederazione del Lavoro -- cui la probità politica insospettabile e l'assoluto disinteresse personale collocano cento cubiti più alto dei loro e dpi nostri piccoletti denigratori. Le oscitanze, che poterono, un istante, dividerli da noi, troppo si spiegano con le incerte previsioni dell'ora, carica di nubi, con la dif- ferenza dei consueti contatti e delle assillanti respon- sabilità rispettive; per qualunque, almeno, non sia tanto scemo da confondere la politica attiva — quella, sopra. tutto, che si propone di agire sovra masse, che il re- gime borghese inchioda (per poi cinicamente farne loro un delitto!) nella più profonda incoltura — coi facili e , leggiadri estetismi dei filosofanti perdigiorni da caffè e da poltrona. Se torniamo sulla cronaca dell'adunanza di Bologna — troppo monca anche nei fogli che meglio erano in

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