Critica Sociale - Anno XXI - n. 19 - 1 ottobre 1911
CRITICA SOCIALE 293 glie più facilmente i cordoni della borsa e diventa più generoso. Questo partito italiano è una fiaba. Noi, colla nostra politica inopportuna, sciocca, senza direttive nè in un senso, nè in un altro, abbiamo creato nel paese un pro- fondo malcontento, una irrequietezza di cui natural- mente si sono valsi tutti gli elementi (e sono, per così dire, la totalità) contrariissimi al dominio turco, il che però non significa che siano favorevoli a noi. Citati alcuni episodi a dimostrazione di quest'ul- tima tesi, l'on. Caetani cosi proseguiva: . Fanatismo religioso. — Il papa nero. La popolazione della Tripolitania per Moltissima parte è nomade e non riconosce che in misura minima l'autorità dell'Impero ottomano. Non paga quasi tasse, è libera come l'aria e, a pochi chilometri dalle mura di Tripoli, un viaggiatore, che si arrischi senza opportuna scorta, scherza con la propria vita. Ora, se noi occupassimo Tripoli, dovremmo comin- ciare dallo stabilire l'ordine pubblico tra quelle popo- lazioni, che vivono in un deserto sconfinato, bianco, giallastro, dove si muore di caldo, ove si soffoca dalla polvere, ove, per seguire molti fantasmi che mai po- tremo raggiungere, faremmo morire i nostri soldati a centinaia e a centinaia per malattie, senza vedere un solo nemico. Le popolazioni della Tripolitania sono tra le più fanatiche del mondo musulmano. Nell'oasi di Kufra, a mezzodì della Cirenaica, ha dimora il famoso papa nero, il pontefice del Vaticano musulmano, il capo della grande setta dei Senussi, setta che è una specie, mi permettano l'espressione, di massoneria ec- clesiastica. (Si ride). È una setta segreta con distintivi speciali, e con vari gradi d'iniziazione, e il capo di essa è pontefice massimo, arbitro in questioni di dogma e in questioni di diritto. Tutti portano un distintivo, tutti sono pronti a sa- crificare la loro vita per un ordine, che dal pontefice venisse dato. Questo capo è forse uno degli uomini più intelligenti che esistano nel mondo musulmano; è nipote del primo fondatore, e il suo impero si estende dalle rive dell'At- lantico sin nel cuore dell'Arabia; egli ha il grande van- taggio di avere un grandissimo impero senza le mo- lestie di governarlo. Quest'uomo fornisce gli insorti di armi, gli insorti del Wadai, quest'uomo eccita le popolazioni del Ma- roCco contro i Francesi, quest'uomo getta il fermento del malcontento nelle popolazioni dell'Algeria e della Tunisia, per cui, se il Governo francese si allarma ed estende la sua azione politica verso Ghadames, egli è perchè teme l'azione nascosta di questa setta musul- mana. I Senussi sono l'anima della rivolta contro i Turchi nell'Asir al nord del Jemen. E noi vogliamo proprio andare ad occupare queste terre eccitando contro il nostro dominio una delle più temibili forze del fanatismo musulmano, per cui ci troveremmo in istato di continua guerra, e quindi di spese senza fine? E aggiungerò anche un altro fatto, che si deve pren- dere in attenta considerazione; vale a dire che, dalla battaglia di Adua in poi, e più specialmente dopo i disastri della guerra russo-giapponese, un fermento agita tutto il mondo musulmano e da per tutto si dice: vedete, gli Europei possono essere sconfitti dagli Asia- tici; noi abbiamo d'innanzi l'avvenire; dobbiamo cac- ciarli fuori del nostro paese, gettarli dentro il mare. Occupando Tripoli, noi andremmo ad aggiungere nuovo materiale al gravissimo fermento di quelle po- polazioni, non solo a danno nostro, ma anche a danno di tutte le altre nazioni civili, e specialmente della Francia e dell'Inghilterra, che hanno milioni di sud- diti musulmani: occorre tener presente che i musul- mani arrivano oggi a quasi 800 milioni. Ricordi e minai vani! Tutte queste spese, tante complicazioni, tanti pen- sieri per un lembo di deserto quasi inaccessibile, senza nessuna ricchezza (Interruzioni). Parlerete dopo, demolirete dopo i miei argomenti. Non c'è nessun fatto che io abbia affermato che non sia l'assoluta verità; portatemi altri fatti e ne discute- remo l Io parlo con tanta vigoria, forse con una tinta che potrebbe sembrare a molti colleghi anche un po' esa- gerata; ma parlo in questo modo perché temo che il nostro paese si lasci trascinare da un accecamento si- mile a quello che lo condusse ad occupare l'Eritrea ed il Benadir. Anche allora fu una minoranza di persone intelli- genti, animate dalle migliori intenzioni, che ci trasci- narono in un'avventura con tutte le conseguenze che sappiamo, con tutte quelle conseguenze così gravi, che ancora oggi non ci siamo rimessi dal disagio creato dalle medesime. Credo utile quindi che da questi banchi sia, almeno da uno, levato un grido di protesta e di allarme contro questa follia, contro questo accecamento, e sarebbe, a mio modo di vedere, altamente opportuno che, ad esso si aggiungesse un mbnito assai più autorevole da parte del ministro. Ma lasciamo andare questi sogni vacui da grande potenza, nei quali ci culliamo da qualche anno, e con- centriamo piuttosto la nostra attenzione, il nostro in- gegno, le nostre forze, su un'altro fenomeno che io considero il fenomeno più grandioso della nostra Italia, quello della emigrazione. La nostra emigrazione, per le proporzioni che ha preso, posso errare, ma credo che sia il fatto storico pila importante della terza Italia, la più ammirabile, la più importante dimostrazione della grande virtù del popolo italiano. Il discorso, a questo punto, si raccoglie e si chiude in una vibrante apologia, piena di senno e di cuore, della nostra emigrazione — quella vera, quella spontanea, quella che, a prezzo di audacie e di sacrifici inauditi, ha salvato l'Italia dal falli- mento, e le avrebbe dato onore e ricchezza ben maggiori se lo Stato avesse volto a suo presidio gli 800 o 900 milioni sepolti nella sterile " villeg- giatura „ Eritrea. Parole, richiami, ammonimenti, prodigati al vento del deserto! I vari Foscari di Montecitorio si baloccavano colle testimonianze due volte millennarie di Ero- doto sulle messi perpetue di Cirene, e il Marchese di San Giuliano si sbracciava a protestare che nessun torto era stato fatto agli italiani dal Governo ot. mano, che la nostra esportazione in Turchia era salita in soli quattro mesi a circa 30 milioni, che lo scarso commercio con Tripoli si doveva a cause tutte naturali e ineluttabili, che i nostri capita- listi a nessuno sforzo potevano essere indotti per crearci in Oriente una rete d'interessi economici, e che, infine, come s'era tante volte proclamato e da lui e dai suoi predecessori — e doveva essere sillaba che non si cancella — " la nostra politica,
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