Critica Sociale - Anno XXI - n. 19 - 1 ottobre 1911

292 CRITICA SOCIALE ficate nel Pezzan e a Murzuk, sono le più alte che si siano mai riscontrate, e i nostri operai in quel paese non potrebbero lavorare. Non vi possono lavorare neppure gli indigeni, e d lavoratori della terra sono incroci con i negri dell'A- frica centrale. Quindi la mano d'opera italiana nella Tripolitania sarebbe impossibilitata nella sua esplica- zione. Volerla per forza cacciare in quella regione, significa voler tramutare la Tripolitania in un cimitero per gli emigranti italiani. (Interruzioni varie). Lasciatemi parlare: credetemi pure, ho ragione, e quello che dico lo dico con profonda convinzione. Si parla di miniere. Altro errore! Non ci sono miniere in Tripolitania: lo si può dire a priori, perché geolo- gicamente tutta quella catena di montagne, di cui è composta l'Algeria e la Tunisia e che si estende verso il Pezzan, non ha mai avuto miniere d'importanza. Vi saranno dei giacimenti di fosfati, ma vere miniere non esistono, ed io interpello i miei colleghi e do- mando loro se l'esperienza degli altri paesi colonizza- tori non ha forse dimostrato che la presenza di miniere di minerali preziosi in un paese colonizzabile è una calamità e un impaccio al suo duraturo progresso. Le miniere d'oro non sono state la rovina, un tempo, della California? I paesi si arricchiscono con il lavoro dei campi, col lavoro della terra, col lavoro dell'uomo; non con le miniere, perchè le miniere si esauriscono, e, una volta esaurite, se non si supplisca con qualche ci- vile industria, tutti abbandonano la regione. Una buona politica coloniale è quella che segue gli interessi nazionali spontaneamente avviatisi, li assiste e li incoraggia, ma non quella che tenta crearli artifi- cialmente: la sapienza di quelli che seggono al suo banco, onorevole ministro, è certamente, mi perdoni il termine, inferiore a quella della comune media degli abitanti di un paese; gli emigranti, non i Governi, creano le colonie... E poi, on. ministro, vi è un fatto morale, di cui ogni giorno ci è offerta la prova: il nostro emigrante lascia la patria anche per andare in un paese che non sia più il suo, dove non sia più perseguitato dall'esattore, dal parroco o dal poliziotto. Va all'estero, serbando nell'a- nimo suo un profondo affetto per il suo paese; ma ama di respirare altra aria e di sentire la libertà di altre democrazie. Gli italiani di Tripoli. — Il grano... di Odessa. Diversivo vatieaneseo. Si parla poi dei nostri interessi economici in Tripo- litania. Anche questi sono una grande esagerazione. Un giornale di Roma ha mandato a Tripoli un suo in- telligente redattore per studiare imparzialmente, e forse anche con una favorevole tendenza alle espan- sioni coloniali, le condizioni del luogo; e, pochi giorni or sono, ha pubblicato una corrispondenza, preziosa per la causa che difendo. Egli riconosce che di veri italiani in Tripolitania ve ne sono 200 soli. Gli altri sono italiani finti, persone di diversa provenienza, che cercano di passare o sono riusciti a passare per ita- liani, allo scopo di valersi di quelle condizioni speciali e di quei vantaggi, di cui noi godiamo in tutti i paesi sotto il regime delle capitolazioni. Vi è poi il famoso molino a cilindri di Tripoli. A sentir parlare della grande industria italiana rappre- sentata dal molino di Tripoli, par quasi di sognare; è do tener presente che il molino di Tripoli è stato fon- dato nell'erroneo concetto di poter macinare i grani locali. Dopo averlo costruito, fu scoperto che non vi erano grani locali... (Ilaritcì).. sicché a Tripoli si macina del grano che viene acquistato a Odessa, e si rimanda poi in parte anche in Italia... Io mi domando quale sia la ragione economica di quell'industria... Discutendo poi degli interessi italiani a Tripoli, si parla del Banco di Roma. Io non voglio parere settario; ma l'opinione che il Banco di Roma sia il rappresentante dei nostri inte- ressi, degli interessi della terza Italia, in Tripolitania, mi getta del freddo. Il Banco di Roma, lo sappiamo, è il Banco nel quale il Vaticano pone tutti i suoi risparmi. Ora, istintivo, senza alcuna intenzione malevola, viene il sospetto legittimo che questo primato del Banco, espressione diretta del Vaticano, che ci dimostra ogni giorno, durante le grandi feste nazionali, quali sono i suoi sentimenti verso di noi, non possa essere vera- mente diretto al vantaggio di nostri interessi. (Com- menti). Nasce legittimo il sospetto nasconda una politica fi- nissima, intesa a distrarre l'attenzione nostra da que- stioni di politica interna... (Vivi commenti — Interru- zioni). La verità è bene dirla e, se scotta, vuol dire che ha colpito nel segno l (Commenti animati). Siete degli illusi! DI PALMA. Lo ha sostenuto il Governo il Banco di Roma in Tripolitania. Ridda di milioni in vista. — Gli indigeni. ' CAETANI. Onorevoli colleghi, ho parlato dei van- taggi e mi sarà facile dimostrare anche gli svantaggi. Ometto tutte le questioni di grande politica interna- zionale. Se noi andiamo a Tripoli, dobbiamo preparare una spedizione militare, armare delle navi, costituire dei quadri, ed andare ad occupare il paese. Ma questo paese non ha strade, non ha porti, non ha ferrovie, non ha fabbricati, non ha nulla, nulla, nulla! Quindi noi, per quelle ragioni altissime, per me incomprensibili, per cui si dovrebbe occupare la Tripolitania, dovremmo cominciare a profondere un numero incalcolabile di milioni in operazioni militari; centinaia di milioni. Ne abbiamo tanti da gettar via? Ecco la domanda che rivolgo all'onorevole presidente del Consiglio, il quale testé mi ha negato 60 mila lire per una scuola orientale al Cairo. Se non può concedermi 60 mila lire all'anno per un istituto di tanta importanza per il no- stro prestigio in Oriente, suppongo che non potrebbe approvare di spendere centinaia di milioni per una spedizione militare in Tripolitania. Un altro elemento a cui non si pensa mai sono gli indigeni. In quella biblioteca, di cui ha parlato l'onorevole Di Palma, si parla spesso di un partito italiano, di popo- lazioni che guardano assetate verso il nostro paese per essere liberate dal giogo dell'Impero turco. Illusione anche questa! Il nostro viaggiatore, quando arriva a Tripoli, generalmente è avvicinato da qual- cuno di quegli interpreti avventurieri affaristi, i quali in ogni italiano vedono un sognatore di questa occu- pazione territoriale; quindi sanno con molta abilità dargli ad intendere mille frottole parche l'italiano, nel- l'illusione di aver informazioni di grande valore, scio-

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