Critica Sociale - Anno XXI - n. 19 - 1 ottobre 1911
CRITICA SOCIALE 301 tariato e dell'opera sua, nell'esaltazione di esso a Nemesi storica; Marx senti la certezza del socialismo. E, invero, senza il proletariato che, unito, operi la propria emancipazione, che persegua, cioè, il pro- prio comune ideale, il socialismo stenta a compren- dersi o corre verso la propria dissoluzione. Da una concezione profondamente idealistica esso trae per- ciò la sostanza della propria vita ideale e del proprio sviluppo storico; non già da ragioni di piatto de- terminismo. Una rivoluzione a pura base determini- stica è difficile a concepirsi: tutt'al più, spiegherà e rischiarerà lo sfacelo, il precipizio; ma giammai fornirà la fiaccola dell'ascesa, perchè questa fiaccola può solo accendersi alle vivide scintille dello spirito umano, in perenne anelito verso nuove creazioni di vita e di giustizia. Confonde insieme due cose chi rinfaccia al marxi- smo la Magenfrage, assumendola ad indice di gretto materialismo: confonde, cioè, il metodo della filo- sofia di Marx con la materia di cui essa vive, con- fonde la praxis col Suo obbietto. Marx non tanto su- pera il determinismo per i fini ideali che assegna alla storia, quanto pel riconoscimento della loro effi- cacia trasformatrice, della loro virtù pratica. In ciò è il divario profondo tra determinismo e marxismo: entrambi possono concepire un ideale, ma solo il marxismo gli attribuisce una 'grandissima efficienza concreta attiva. Nel valore della praxis — non sembri un paradosso — è tutto l'idealismo di Marx. Importa poco quale sia il contenuto di questa praxis, di que- st'attività umana sensibile, cosciente, volontaria: e qui spunta la Magenfrage. Marx non era un morali- sta, non doveva insegnare il catechismo, non propa- gare l'ascetismo, non guidare le pecore smarrite e incamminarle nelle vie del paradiso. Voleva invece agire sulla storia, forzarla, volgerla a sé, cioè al proletariato, per opera del proletariato stesso, col fine ideale del socialismo. Se quest'opera e idealisti- ca a, per iniziarsi, per compiersi, era costretta ad affrontare e risolvere una vile questione di stomaco, la colpa non era certo di Marx nè del suo idealismo, come non è sua colpa se oggi quella questione mi- naccia di coincidere col socialismo. Marx da una simile praxis attendeva la creazione di circostanze storiche nuove, e quindi il dispiegarsi d'una nuova praxis con rinnovato obbietto, con elevato contenuto: in una parola, attendeva, non per gioco determini- stico, ma per lavorio di superamento, nella stessa risoluzione dei problemi materiali la risoluzione dei problemi morali ed intellettuali del proletariato. Ma l'idealismo della sua filosofia non è qui: è nel potere creativo della praxis. Nell'odierna rifioritura di studi filosofici, Marx è naturalmente relegato fra i materialisti. Io penso in- vece che, da un Osane più accurato della sua filoso- fia, debba apparire per lo meno improprio il suo posto di classificazione ». Si afferma, dai più, che egli rientra nel quadro di quei pensatori, che hanno maggiormente insistito sull'accrescimento dei valori umani materiali, esteriori, trascurando affatto i va- lori spirituali ed interni. Se ciò è vero —ed è vero solo in parte —, a me sembra che la filosofia di Marx non diventi meno idealistica, perchè la sua sostanza è altra, è diversa, ha altre fonti ed altri elementi di vita. Non può definire una filosofia l'indagine dei fini — materiali o ideali — che la contingente azione umana assegna a se stessa, bensì la universale con- cezione del -mondo, della vita, del divenire, che ogni dottrina, anche rudimentalmente filosofica, suol reca- re nel proprio grembo. Ora, la concezione marxi- stica del mondo, il materialismo storico, lungi dal- l'essere deterministica, assegna una precipua fun- zione alla libera attività dell'uomo, sino al punto da preintuire tutta una novella società, il socialismo, come il risultato di una prassi incessante del prole- tariato, diretta a quella mèta, inspirata a quell'idea- le. Se questo è materialismo deterministico, io non so qual nome possa poi darsi, per esempio, al deter- minismo di Spinoza o al materialismo di Buchner. Certo, il marxismo non è l'idealismo sognante e sentimentale degli utopisti. Il sogno e il sentimento, la fede insomma, servono all'azione: e guai all'azio- ne che crede di poterne far a meno; ma non sono necessari a una dottrina filosofica perché possa chia- marsi idealistica: la filosofia vuol spiegare il mondo, non vuole guidare all'azione; in quella spiegazione è la sua vera essenza, non nell'azione che possa de- rivarne. E, d'altra parte, nella spiegazione del Marx, il mondo non appare quale apparve a Platone o a Tommaso d'Aquino o a Hegel o a , cento altri. No. Marx guarda sopratutto a quella che è la realtà sto- rica, realtà diabolicamente _complessa, opera non di Dio, ma dell'uomo. Il determinismo parrebbe rispuntare, in tutto il suo rigore, quando Marx parla di substrato economico e di soprastrutture ideologiche. Ebbene, di questo determinismo sono macchiati un po' tutti: anche gli idealisti puri, contro il loro desiderio ed a confuta- zione della loro evanescente dottrina. Ed esso signi- fica semplicemente e nella sua più elementare inter- pretazione che l'uomo ha una storia. Marx, è vero, voleva dir più di questo: lo sappiamo, lo sapete; ma alle condizioni economiche non dava maggiore im- portanza che a un fattore - passivo, sul quale l'uomo opera, e nel quale trova come la materia conveniente a costruire le proprie ideologie. Questo non è deter- minismo. Nè Marx affermò mai l'inesistenza o l'inef- ficienza di motivi ideali nella storia. Se, solo per un momento, avesse supposto ciò, egli' non sarebbe sta- to socialista, nè avrebbe agitato il mondo nel nome del socialismo. *** Bisogna dire il vero: l'idealismo del marxismo, lu- meggiato molti anni fa, in Italia, da Antonio Labriola e dal Croce, è stato ripreso e vigorosamente affer- mato, dopo un lungo tripudio deterministico, solo dal sindacalismo: commisto, però, con idee novissi- me, esagerato, spinto alle estreme metamorfosi. La praxis arrovesciata del Marx diventa puro volontari- smo, slancio vitale, formazione ex-novo: il Sindacato operaio e lo sciopero generale acquistano il valore di un principio di negazione del capitalismo: il Sin- dacato, nucleo della società futura; lo sciopero, mito in atto del socialismo. L'importanza data al fattore della volontà si connette anche, indubbiamente, con la delusa attesa della concentrazione industriale e della proletarizzazione crescente. Se il fatalismo sto- rico è sempre un assurdo, non è, ora, meno innam- missibile, ai fini del socialismo, una prassi, il cui còmpito sia soltanto quello di aiutare ed integrare il naturale svolgersi degli eventi. Il sindacalismo, ingigantendo l'ufficio attivo e volitivo della prassi, pare dica: « Lavoratori, il socialismo non sarà, se voi non lo vorrete!» Questa affermazione, pur sug-
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