Critica Sociale - Anno XXI - n. 18 - 16 settembre 1911

274 CRITICA SOCIALE verrebbe — il partito socialista — anche affiochito e buon figliolo come si confessa — l'espressione politica, la rappresentanza organizzata e militante di tutto ciò che, in Italia, non ha ancora perduto la testa, non escluse le forze seriamente ed accorta- mente conservatrici. Al quale ufficio, d'altronde, esso vanta già un doppio titolo, che nessuno gli può disputare: la più assoluta compattezza e con- cordia — le divergenze sul problema militare spa- riscono di fronte al problema coloniale, cosi come oggi vien posto; e l'articolo di Bissolati sul Secolo odierno (n. 16312) ne fa piena fede — concor- dia che gli debbono invidiare anche i repubblicani ed i radicali; e la consonanza perfetta che, nella su- bietta materia, è fra i partiti socialisti di tutte le nazioni; consonanza la quale, a questo pacifismo, conferisce un valore dottrinale e pratico, che non può sfuggire a nessuno. Decisivo, in proposito, l'esempio del Congresso, teste tenutosi a Jena. Il partito socialista tedesco — precursore e maestro d'ogni altro nella propa- ganda dei principii e nella organizzazione econo- mica, politica ed elettorale delle grandi masse — sembrava su due punti meno « avanzato», in con- fronto di altri partiti socialisti più giovani: nello spirito nazionale (se non nazionalista) in esso as- sai pronunciato, che sovente gli valse l'elogio dei conservatori d'altri paesi; e nella scarsa influenza sul Governo, in proporzione all'enorme contingente di forze che pure spiega nei Comizi. Quanto, di quest'ultimo fatto, si debba alla costituzione tuttora feudale dell'Impero, quanto alla rigidità teutonica dello stesso partito, é difficile precisare; come pure in qual misura cotesti due coefficienti siano recipro- camente causa ed effetto. Certo è che per nessuna incrinatura l'alcoolismo herveista di Francia era pe- netrato nel granito del partito germanico. Eppure bastarono le solenni manifestazioni del proletariato socialista attorno a Berlino, perché il Kaiser — non sospetto di tenerezze democratiche e paradossalmente portato alla amplificazione e osten- tazione imperialistica — non solo annacquasse lar- gamente il consueto suo vino; ma, nel recentissimo discorso d'Amburgo, si effondesse in dichiarazioni pacifiste, quali finora dal suo labbro non si erano udite. E ieri, a Jena, alla parola imperiale faceva eloquente riscontro il discorso di Bebe' — il deca- no, morto Liebknecht, e la sintesi vivente di tutto il partito. Le parole del mirabile vecchio, pur nella cauta sobrietà dello stile e nella custodita misura del pensiero decisamente antiguerresche, ebbero virtù di fondere in un solo volere e in un solo en- tusiasmo di consensi l'unanimità del Congresso; la qual cosa, in Germania, significa l'unanimità del proletariato, che vuole e conta qualchecosa. E han valso a stabilire irrevocabilmente la certezza, che la guerra, pel Marocco, non si farà. Marx — dalla soffitta o dal primo piano, non monta — dalla piazza, occorrendo — pone ed impone il suo Me- sorabile veto! E la Germania — come la Francia e come l'In- ghilterra — formidabilmente ricca ed armata — non vivrebbe, non respirerebbe, senza colonie, senza espansioni guarentite e senza dominio dei mari. Ma l'Italia, l'Italia, l'Italia?!! Così essendo, a mantenere in sesto i cervelli dei nostri governanti, se accennassero mai a sgarrare, anche basteranno i quattro untorelli del socialismo italiano. E saranno, forse, di troppo. L'attuale pre- sidente del Consiglio — senza essere personalmente nè un Cavour né un Tiburzi, come pretendono sia stato diplomato da noi molti che non ci hanno mai letto — è abbastanza fine ed accorto per non dare ai suoi dolci avversari la ineffabile gioia di vederlo cascare nel trabocchetto che gli vanno ordendo dinnanzi; nè vorrà, verso il limite estremo di sua carriera, fare a brani la innastata bandiera del più largo suffragio, per invidia degli allori sanguinosi che attristarono e disonorarono la canizie di Crispi. Altri, che a lui succedesse, con minore autorità, an- cor meno' potrebbe avventurarsi ed osare. Ma poniamo -- si fa per discorrere! — che l'in- verosimile e l'assurdo, per taluni di quegli impre- visti onde spesseggia la politica, smentissero il nostro ottimismo; che il Governo, spingendosi al di là di una cauta azione diplomatica, intesa a guaren- tirci libertà di commerci, sotto l'egida éguale del diritto delle genti, venisse trascinato e sospinto a un colpo di follia. La nostra fede evoluzionista -- cui consolida or- mai un « cinquantenario » abbondantemente supe- rato non ci consentirebbe di trarne motivi di alle- grezza. Ma sarebbe, lo sproposito, così evidente e colossale, e le sanzioni naturali si farebbero così rapidamente sentire in danno del paese, che il rin- savimento non potrebbe sopraggiungere tardo. Il partito socialista, comunque, non ne subirebbe de- trimento nelle sue fortune. Al contrario! Non soltanto, già lo notammo, diverrebbe esso. immantinenti, la militante espressione di tutte le riscosse civili della nazione; ma, nel nuovo terreno di lotta, troverebbe le risorse e gli stimoli, onde l'attuale politica, di transazioni e di adattamenti ne- cessari, tanto sembra essergli avara. La reazione profonda, che seguirebbe l'abbandono inevitabile delle riforme , in un paese per metà ancora medio evo, e che, per l'altra metà, comin- cia oggi a farsi i muscoli per le grandi mocrerne lotte economiche — fra le minacele, che l'acuirsi incessante del rincaro delle sussistenze e l'indolenza della borghesia nazionale tengono perennemente so- spese su di esso — risveglierebbe d'un tratto tutti gli spiriti combattivi del proletariato socialista, e, tagliando corto a' dissensi di metodo e alle nostal- gie di un passato più agitato e agitante, che an- gustiano la parte più romantica del nostro partito, ne farebbe il salvatore ed il vindice, gli infonde- rebbe nuovo slancio verso nuove sicure vittorie. Si ricostituirebbe — con maggiore ragione e ma- turità di esperienze — una situazione consimile quella, che deluse così presto le speranze e smontò i piani reazionari, fioriti con Crispi, Budini e Pel- loux, sino, e poco al di là, del fatale 'W. l'unità si ricementerebbe coi repubblicani; forse Leonida Bissolati — l'imputato, oggi, della prematura salita al Quirinale! -- ritroverebbe il grido della storica auletta, non precisamente ortodosso e non dimen- ticato. L'ostruzionismo e lo sciopero generale si ria- biliterebbero; e potrebbe darsi che, in alto luogo — cessato lo spirare dei benigni favonii — si acqui- stasse prudenzialmente più di una valigia. Tutto questo non é nei nostri augurii. Carità di patria anzitutto, poi convincimento saldo del do- vere, che si impone negli Stati liberi dell'oggi, di preferir sempre, potendo, le misurate procedure, anche se un tal po' sonnolenti, del progresso tran- quillo, ai sobbalzi e ai terni al lotto dei periodi epilettici, segnano ben altri orizzonti ai nostri più intimi voti . Ma, se il bromuro del buon senso non bastasse a prevenire nei responsabili gli accessi, cli cui l'aura si annunzia con tanto insueto fracasso; se la mulaggine dei turchi e dei tripolini d'Italia, ricu- sandosi alle provvide doccie della fredda ragione, si accanisse a spingere le cose verso il precipizio; pensiamo — ed è l'ora, forse, di non dissimularlo — che il partito socialista e il proletariato organizzato

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