Critica Sociale - Anno XXI - n. 16 - 16 agosto 1911

248 CRITICA SOCIALE l'ideale non può esistere se non per contrapposi- zione alla realtà; che una giustizia sociale ideale, che non intendesse contrapporsi a una ingiustizia reale, non avrebbe alcun significato; che, al su- peramento dell'antagonismo di classe in una uma- nità consociata, può aspirarsi soltanto quando la realtà offra la divisione delle classi; e che il rag- giungimento questo ideale è possibile soltanto per l'attività operosa della classe, che vede negata in sé l'umanità e combatte perciò la lotta per la propria emancipazione. Ben altra era, nei fondatori del socialismo, la unità di ideale e d'azione, di teoria e di praxis. Ben altra, anche (o m'inganno); da quella che mi par concepita dal Turati e dal Colucci. La salvezza, dice- il Turati, sta nell'azione, che, realmente, sola, genera il pensiero... La verità, af- ferma il Colucci, è una funzione della nostra fede; varia col variare delle nostre finalità, delle nostre azioni... Teorie pragmatistiche entrambe, esse vengono a dare, pur senza volerlo, la giustificazione di quel movimento, che non vuol vedere al di là delle con- tingenze momentanee, che troppo si subordina alle finalità particolaristiche, che manca per ciò dell'a- nima orientatrice. L'uno conferisce all'azione una priorità assoluta sul pensiero, facendo della teoria, messa in posizione del tutto subordinata, una pura funzione della praxis; l'altro, nell'affermare che verità sia sempre quella che ci serve e che tutte le teorie possano, a seconda dei momenti, essere vere o false, dimentica che l'umanità, nei suoi fon- damenti costitutivi, ha una certa identità perma- nente e raccoglie a unità di sintesi, nell'unità della sua vita, la varietà dei singoli momenti fra loro con- trastanti. Come, del resto, può egli stesso più oltre affermare che l'idea non muore, che l'idea é eterna? Come si concilia questa perennità di vita con la effimera esistenza delle verità di ogni giorno, se non di ciascun particolare istante? L'unità della teoria e della praxis é, invece, a mio parere, in quel fecondissimo concetto della praxis rovesciata, che il Marx ha posto nelle sue note critiche su/ Feuerbach. In principio era l'azione: 'scrisse una volta l'Engels; e dall'azione trae im- pulso e sviluppo il pensiero, che, del resto, è esso pure un operare. Ma i risultati dell'azione non sono puri fatti, si cangiano in fattori; la teoria non è un semplice prouotto, si muta in una produttrice di praxis, e la anima e la orienta e la dirige e la vi- vifica. Non ideale senza azione, ma neppure azione senza ideale: i due momenti si. unificano in quella attività sintetica, che è la vita; la vita piena e com- pleta, in cui il pensiero e gli atti formano una unità, non disgiungibile se non per il coltello del necro- scopo. Per questo il socialismo ha voluto essere, come egregiamente nota il Colucci, non soltanto un mo- vimento di masse, ma anche una particolare conce- zione della vita, della storia, del mondo. Per que- sto ha sentito, a ogni tratto, il bisogno di fare i conti con la filosofia; per questo non saprà risol- vere la sua presente crisi d'ideale, senza raggiun- gere una coerente unità di concezione della vita e del mondo. Il problema psicologico é, anche per esso (e come potrebbe non essere ?), problema filo- sofico. Nato dal positivismo antropologico del Feuer- bach, facilmente esso fu tratto poi ad allearsi con altre forme di positivismo, cui lo accostava la co- mune parentela con le dottrine del Saint-Simon e il comune fondo di umanismo; ma poi questo acco- stamento cooperò con altri molteplici elementi (au- spici gli stessi Feuerbach, Marx ed Engels) a far credere a molti che il materialismo fosse la vera premessa filosofica del socialismo. E vi fu un pe- riodo, in cui nessun socialista, che si rispettasse, credeva di potersi sottrarre al dovere di una pro- fessione di fede materialistica; e dal materialismo scaturiva anche la incrollabile fede nella fatalità obiettiva uel uivenire del nuovo assetto sociale. Poi la lezione delle cose, la necessità delle lotte e delle conquiste di classe han fatto cadere la fiducia fata- listica, hanno insegnato la necessità dell'azione. Ma, come questa lezione veniva da fatti particolari, così troppo spesso a condizioni particolari fu limitata la sua efficacia. La coscienza di classe, di cui Engels per primo tratteggiò il lento ed arduo processo di sviluppo, è lungi dall'aver raggiunta la sua pie- nezza universalistica e il suo completo valore etico. Ora, l'esistenza obiettiva eli una classe non diventa vita reale e capacità efficacia storica, se non nella misura, in cui essa raggiunge la sua co- scienza: concetto, questo, capitale nell'Engels e nel Marx, riaffermato recentemente, se non mi ingan- no (non ho qui la collezione della Critica, ma ri- cordo un bell'articolo sul concetto di classe), su queste stesse colonne, dal Colucci. Il raggiungimento della coscienza di classe è tut- t'uno con la soluzione della crisi d'ideale. Ma può quella coscienza piena conquistarsi al di fuori di una generale concezione della vita e del mondo? Può chi si orienta verso la supposizione che la coScienza sia un puro prodotto passivo, che la vo- lontà sia fatalmente ed esclusivamente determinata dall'esterno (sì che al mondo esteriore sia subordi- nata come l'effetto alla causa e sia illusione sup- porle un'autonomia e capacità di dominio), può tendere con tutta l'energia della propria volontà operosa, col pieno consentimento della sua coscien- za con le altre coscienze solidali, a un ideale di rinnovazione, di redenzione dell'umanità, di riven- dicazione di tutti i suoi valori? Conquistare la coscienza di classe significa, per il proletariato, conquistare la coscienza dell'umanità. Ma l'umanità e i suoi valori costituiscono una con- cezione filosofica: quella concezione del reale Ha- manismus, che il Marx legava in unità indissolu- bile con la umwatzende Praxis, da lui, pertanto, fatta strumento di teoria e teoria essa stessa. Il materialismo non s'accorda con questa praxis: ed ecco il disagio fra la teoria e l'azione, il disagio che sentono quegli intellettuali, che ancora aderi- scono alla vecchia concezione. Non lo sentono le masse, perché dall'azione non assurgono ancora alla teoria: ma, in questo loro limitarsi, giorno per giorno, alle urgenze immediate della pratica, pie- gandosi agli adattamenti che questa esige, non é forse quella crisi d'ideale, che il Colucci lamenta? R. MONDOLFO. BATTIAMO E RIBATTIAMO IL CHIODO I Ancora contro il pericolo dello scrutinio di lista senza proporzionale Lo studio di Gino Bandini — che abbiamo an- che stralciato in opuscolo (I) — avrebbe, in qualche modo, « esaurito il tema » e fornita la dimostra- zione matematica, irresistibile, della tesi prospet- tata in epigrafe. Ma il pericolo, come già accennammo, e da molte parti ci si conferma, esiste pur sempre. La discus- sione preliminare del disegno w. legge Giolitti, av- venuta agli Uffici della Camera, è stata assai signi- (I) Por la riforma elettorale l il pericolo Imminente. — Ceni. 20 (presso la Critica Sociale).

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