Critica Sociale - Anno XXI - n. 16 - 16 agosto 1911

CRITICA SOCIALE 47 lite, se non sia monacella sterile e consunta, di- venta bagascia. Il Partito si è fatto l'« agenzia di affari » del proletariato. « Buoni affari, o cattivi? — saremmo tentati di chiedere. — Poichè è ben questo che importa ». Ma quella parola, scritta col- l'inchiostro destinato alle parole più turpi: la bi- sca, il postribolo, non ci licenzia ad arrischiare la celia. E si badi: non si fa la questione, che proponeva il Salvémini e cui riaccenna Rodolfo Mondolfo una pagina più in là: se il Partito socialista, in Italia, nell'ora che volge, non indulga troppo a taluni in- teressi parziali e di gruppo, m danno di interessi proletari più generali. Questa, che esiste realmente, che addita un pericolo vero (sebbene, a senso no- stro, troppo gonfiato dai critici), è questione di tattica, di procedura, di distribuzione e graduazione di sforzi. Non all'utilità si lancia l'anatema; al con- trario! Si denunzia una utilità ingiustamente ripar- tita, quindi usurpata, negata, alla maggioranza. E da un Bentham mintelligente si fa appello a un Bentham più sapiente, più accorto, più giusto. Per Colucci, al contrario, l'ideale, e la vita del- l'ideale, sono nella rinuncia, nella castità, nel do- lore. Questa voce udimmo, nella storia, altre volte; risonò in Galilea, ai tempi di un immenso sfacelo; echeggiò nelle catacombe; spingeva gli anacoreti nelle Tebaidi selvagge. Poi, con accento ben di- verso, la udimmo, dalle tumide labbra dei ben pa- sciuti, fra le nubi profumate di avana, scagliare un'aspra diffida alle falangi operaie, rimproverando ad esse la Mapenfrage. Ma il socialismo si ergeva a sbugiardarla ogni volta. Come avviene che ora si rioda, da socialisti, in nome e per la salvezza del socialismo? Che deli- rio é questo, che sogna, da una massa denutrita, esasperata, macabra di lavoratori, prepararsi le su- preme riscosse, la civiltà del domani ? No, non è in questo la crisi; non è qui la chiave del disagio, della paventata paralisi; nè di qui può venirci la reviviscenza invocata. D'onde ? — L'abbiamo detto: dall'azione; solo dal- l'azione. — Dalla ignuda azione, allora, senza luce, senza ideale? — Ed ecco Tullio Colucci che ci co- glie in contraddizione, rinfacciandoci il socialismo, che vorremmo infondere al Sindacato operaio, per dargli un'anima, un senso ed un avvenire. Ecco Rodolfo Mondolfo, che ci improvvisa pragmatisti, nostro malgrado. Ecco un altro nobile ingegno, Pio Schinetti del Secolo, che anch'egli, ci domanda: « E come?». Ma troppo, in questo fascicolo, ci è avaro lo spazio. FILIPPO TURATI. TRA L'IDEALE E L'AZIONE Per l'unità di teoria e "praxis" Ha scritto una volta lo Stuart Mill, che, per le idee, la diffusione crescente, l'avviamento alla gra- duale conquista dell'universale consenso, segna la parabola discendente della loro energia fattiva. Quella vita intensa, che esse traevano dal contrasto, quell'entusiasmo, che soltanto le resistenze accen- devano, si spengono e scompaiono: l'idea, che ha conquistata l'umanità, ha cessato di essere un'idea- forza per diventare un morto luogo comune. Il fe- nomeno è rilevato oggi dal Colucci nel suo magni- fico articolo (1): l'ideale, che si attua nella realtà, (1) Nella Crtttoa del Is agosto: Grandezza e decadenza dei socia- lismo. uccide se stesso; la sua vita era nel suo esser negato; la negazione della sua negazione è il suo supera- mento. La ragion d'essere dell'ideale è eminentemente dialettica: condizioni sine quibus non del suo sor- gere sono i difetti della realtà, la consapevolezza di essi, il disagio del bisogno, onde sorgono le aspira- zioni. Illuminate dei vividi colori della speranza, che trae vigore dallo stesso contrasto, queste aspi- razioni diventano la meta degli sforzi dell'attività operosa, s'irradiano della luce dell'ideale. La op- posizione fra i due momenti antagonistici, l'attuale e il futuro, s'intensifica e s'acuisce nelle fantasie; la crisi del passaggio dall'uno all'altro viene, per mag- gior vivezza ai rappresentazione intuitiva, conside- rata non nel lento cammino della graduale conqui- sta, ma accentrata in un unico punto critico, che opera, quasi per un colpo di bacchetta magica, la trasformazione improvvisa. Il concepimento dialet- tico dello sviluppo diventa schematismo, che accen- tua la distinzione fra i momenti, separandoli netta- mente anche nel tempo: ed ecco, da parte del Marx e dell'Lngels, la vivace uipintura della miseria cre- scente, nell'acuirsi degli antagonismi, sino all'estre- mo grado, onde s'accenderà la vampata del fuoco rivoiuzionario. Quella fosca dipintura della degradazione pro- gressiva della immensa maggioranza della umanità proiettava una luminosità radiosa sull'ideale della redenzione: di fronte alla negazione assoluta della Menschlichkett, la negazione della negazione ap- pariva un'opera grandiosa, come fine della preisto- ria e inizio della storia dell'umanità, accendeva gli entusiasmi, suscitava gli eroici ardori. Tuttavia, l'abbandono di quello schematismo dia- lattico avrebbe dovuto, per se stesso, recare bene- fici effetti. Quando si fosse inteso che la teoria della miseria crescente doveva significare, non peg- gioramento delle condizioni obiettive del proleta- riato, ma (come il Marx stesso e il Lassalle ave- vano spiegato) acuirsi della sensibilità soggettiva e della -insofferenza di ogni inferiorità e di ogni ne- gazione della umanità, sarebbe anche avvenuto, senza danno, l'abbandono di tutto il bagaglio ac-• cesaorio del catastrofismo e del fatalismo conse- - guente, rinvigorendosi la coscienza di questo fatto: che soltanto nella volontà operosa può ricercarsi la forza trasformatrice delle condizioni reali. L'ideale avrebbe dovuto apparire in tutta la sua nobiltà di contenuto etico e spiegare tutta la sua potenza di stimolo all'azione; la crisi, che nel- l'ora presente travaglia il socialismo, non avrebbe dovuto presentarsi. Crisi d'ideale, come afferma il Colucci; crisi, per Miro, che, se esiste innegabil- mente per il partito socialista e per tutte le orga- nizzazioni proletarie, viene però sentita ...a una mi- noranza soltanto, da quelli (e son sempre i meno) che amano far l'esame di coscienza per conto pro- prio eri altrui. Egli è che la praxis s'è troppo disgiunta dalla teoria, l'azione troppo separata dall'ideale. Da una parte, la grande maggioranza limita il proprio oriz- zonte alle necessità ristrette del momento; nella lotta d'ogni giorno, vede solo le finalità immediate, particolaristiche; al posto del proletariato la pro- pria Federazione di mestiere, al posto dell'umanità la propria a.00perativa. I lamenti di Salvémini,. che 'han dato luogo a polemiche vivaci qualche mese ad- dietro,- non esprimevano un disagio che egli. solo sentisse. Dall'altra parte, per contrasto, qualche spi- rito sognatore, come il Marchioli, imagmando che -la lotta di classe consista solo nelle ristrette Manife- stazioni del momento, invece di assurgere a un alto significato umano, vuole che essa 'sia superata dal- l'ideale di giustizia sociale. E dimentica affatto che

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