Critica Sociale - Anno XXI - n. 15 - 1 agosto 1911

232 CRITICA SOCIALE non può esser messa in dubbio. t certo. Noi dissi- pammo troppo la nostra anima, perchè potessimo poi raccoglierci in essa per comporvi i motivi di un'etica superiore. La corrente dei fatti, impetuosa- mente passata sulla nostra vita spirituale, l'ha logo- rata, livellata, consunta. Noi non siamo più capaci di essere corsi da fremiti d'idealismo morale, d'imporci orgogliosamente una disciplina etica, al di sopra e al di fuori degl'imperativi correnti e dei ceppi legali, di simboleggiare nella voluta conformazione della nostra esistenza una più bella e superiore espres- sione della vita collettiva. Ogni nostro moto, ogni nostro atto, noi lo imprigioniamo sempre più nelle maglie di regolamenti esteriori; noi ne perdiamo, a poco a poco, la sicurezza, il controllo, la respon- sabilità... «La vecchia parola del Vangelo — osservano i gio- vani socialisti cristiani —: nulla giova il possesso economico se l'anima non s'arricchisce, è apparsa ai socialisti sterile programma di asceti. Ed oggi il socialismo deplora l'impoverimento spirituale delle masse organizzate ». Essi non hanno torto; ma del loro pensiero si può accettare l'idealismo critico, non la tendenza ad iniet- tare il socialismo d'una forte dose di spirito cristia- no: spirito, di cui quello è la più aperta e recisa ne- gazione. Lo spirito cristiano non può condurre che a forme di misticismo infecondo, a forme di asceti- smo morboso, a un rannicchiarsi, e mortificarsi, ed esaurirsi della coscienza, nelle sue virtù di fierez- za, di baldanza e di combattività. Esso riplasma da se stesso i mali che voleva combattere; con la colpa, in più, di aver distratto- dalle organizzazioni le ener- gie idonee, che, con maggiore o minor fervore, vi si erano, bene o male, consacrate. •Dal movimento obbiettivo dell'unione operaia astraggono pure altre concezioni idealistiche del so- cialismo. Un rapido sguardo alle idee, espresse dal Marchioli in uno degli ultimi numeri della Critica Sociale, ce ne fa sùbito accorti. Il Marchioli va, anzi, più in là ancóra. Sopprime addirittura, nel socialismo, la nozione della lotta di classe. Questa, egli afferma, «deve essere superata, e lo sarà, perchè l'idealità del socialismo è perenne e non può morire soffocata sotto rigidi schemi e mi- sere formule». Distrutta la nozione della lotta di classe, e distrutta quindi la nozione di classe, il so- cialismo diventa davvero una reo communis, cioè un ideale per tutti, un ideale di a giustizia sociale », che tutti possano proporsi e tutti possano raggiungere, soli o associati, migliorando se stessi e l'ambiente nel quale vivono. A me sembra che questa concezione sia col mar- xismo nell'istesso rapporto, in cui era il socialismo utopistico, quando il proletariato non ancora era nato, come classe distinta, dotata di interessi e di aspirazioni proprie. Il Marchioli afferma che la nuo- va base del socialismo dev'essere l'idealismo: che, anzi, lo è sempre stato, senza che noi ce ne accor- gessimo. Può essere benissimo. Anzi lo è certamente. Noi non siamo, e non ci chiamiamo socialisti, se non perchè crediamo che gli attuali valori della vita non rispondano ad un ideale di giustizia e di etica sociale, e desideriamo perciò che ad essi vengano sostituiti valori superiori — quelli stessi del nostro ideale — poi quali lottiamo e speriamo. Noi non saremmo, nè ci chiameremmo socialisti, se non avessimo elevato questa costruzione ideale della vita, verso cui ten- diamo coi nostri sforzi; e invece lottassimo per sem- plici soddisfazioni immediate, o anche fossimo con tutto il mondo certi — d'una certezza matematica e incontrovertibile — che il socialismo sia un avveni- mento fatale, indeprecabile, posto in una data fissa e insensibile all'opera della nostra volontà. Il nostro essere e la nostra funzione sarebbero in tal caso perfettamente inutili: il determinismo dei fatti ope- rerebbe tutto. Ma i socialisti non sono, e, più, non si credono, inutili, superflui. I socialisti sanno di avere un ufficio nel mondo, un ufficio desunto e informato tutto ad una superiore idealità sociale. Il socialismo non può non essere idealistico, ap- punto perchè è imbevuto tutto d'ideale, di cui rico- nosce la forza fattiva in sè e nella storia. E il ma- terialismo di Marx — ormai è accertato — è, anche per le sue fonti di derivazione, intessuto d'idealismo: d'un idealismo, che vuol mettere solo in rilievo l'im- portanza passiva della base economica. Ma, ciò ammesso, l'ideale della a giustizia sociale » il nostro spirito non sa concepirlo, o, meglio, non sa sentirlo, se non in confronto d'una classe sfruttata che sia come la protagonista cosciente del grande dramma sociale, che si aderga, a dar vita ai decreti della storia, cinta di fiamma, divinamente bella, sim- bolo delle umane rivendicazioni. Se noi non idealiz- ziamo una classe — la classe sfruttata —, e vogliamo parlare ancóra di « giustizia sociale », finiremo col rendere questa espressione tanto nebulosa ed eva- nescente, che difficilmente riesciremo — e così pare avvenga al Marchioli — a profilarne le pallide sem- bianze. 6. ESAME iI COSCIENZA. . Tutti- i medici del socialismo consentono, dunque, ch'esso possa rifiorire, a patto soltanto di tuffarsi nelle acque miracolose dell'idealismo. La sua crisi è crisi d'ideale. Esso non chiede altro che ideale: e quelli gli danno idealismo. La cosa è un po' diversa. Qui non si tratta di porre a base del socialismo una filosofia piuttosto che un'altra. Si tratta invece di ridonargli quel soffio di vita spirituale e quella forza di espansione morale, ch'esso sembra abbia perduti. L'uno e l'altra esso oggi, per una serie di ragioni, forse non avrebbe più, neppure se la sua filosofia tradizionale, invece che materialismo, si . fosse chiamata idealismo. E dico chiamata », perchè in realtà il materialismo marxi- stico tale assolutamente non era, ma era commisto d'idealismo: sicchè bisogna compiacersi che il so- cialismo riprenda, in certo modo, la sua veste nativa, senza peraltro cadere in velleità, in eccessi, in illu- sioni, che ne traviserebbero tutto l'aspetto, Io tra- sfigurerebbero, lo renderebbero goffo e impacciato. Benchè l'abito non faccia il monaco, il socialismo non può vestire da frate. Oggi l'atmosfera intellettuale del mondo è ricorsa da fremiti idealistici (e mi guardo bene dallo scri- vere « fremiti d'ideale »). Ora, se il socialismo riu- scirà ad accoglierne ed a farsene bello, esso non avrà fatto che seguire la moda: non diversamente che se la filosofia corrente fosse la materialistica, ed esso procurasse di agghindarsene. Ciò può soddisfare il gusto, del tutto superficiale, di pulsare all'unisono col battito del pensiero contemporaneo. La e trovata n è, senza dubbio, a economica». Ma io non so se con ciò il socialismo sarà riuscito

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