Critica Sociale - Anno XXI - n. 15 - 1 agosto 1911
CRITICA SOCIALE 229 Io credo che i socialisti non abbiano abbastanza riflettuto su quest'ultima, fra le varie cause, da me indicate, del « superamento » del loro ideale. Essi si sono più volentieri appigliati a ragioni esterne di dissolvimento: hanno accusato un morto: il positivi- smo; hanno combattuto e deplorato il revisionismo bernsteiniano, senza accorgersi che le ruinate leggi storiche ed economiche del Marx avevano poco da spartire con lo spirito filosofico del marxismo; hanno ritenuto che alcune variazioni dell'ambiente econo- mico avessero dato il tracollo alla loro dottrina; ma niente, o poco, hanno sospettato che questa dottrina possedesse una vita autonoma, e dovesse quindi ri- trovare in se stessa, più che all'esterno, le ragioni del proprio successo, come quelle del proprio deca- dimento. La moderna critica scientifica ha scoperto, in ogni dottrina, in ogni sistema d'idee, una funzione essen- zialmente pratica. L'ideale, ch'è sceso nella realtà ed è stato fecondo di opere, è un ideale che ha esau- rito la propria funzione. L'ideale non si effettua che nel modo e nei limiti in cui lo consentono le forze di cui dispone e le condizioni storiche nelle quali opera. Esso lascia, nel suo passaggio, come un depo- sito di realtà: è quello che poteva, e non altro, e non più. In questa sua metamorfosi terrena, esso lo- gora se stesso, si consuma, si volatilizza. Noi lo cer- chiamo in noi medesimi, e non lo troviamo più. Pos- siamo vederlo fuori di noi, ma trasfigurato, irrico- noscibile, mostruoso, sotto forma di costruzioni con- crete, che, il più delle volte, niente contengono, niente ci ricordano, dell'idea da cui trassero il primo im- pulso. Quest'idea s'è affievolita, o è morta, nell'atto della generazione; ma, frattanto, il nuovo organismo di fatti, quasi per inerzia, vive, si svolge, si sviluppa, si fortifica, profonda nella storia le proprie radici, ramifica, fiorisce, dà frutti, si moltiplica fecondo, copre la terra... Se lo spirito del socialismo può essersi atrofizzato, le organizzazioni operaie vivono, si rafforzano, si dif- fondono. La prassi lavoratrice sembra identificarsi sempre più col socialismo, il quale si scolora, sva- nisce. Il socialismo — come ideale — pare non serva più. Certo, troppo presto cessa di essere utile; e può pungere il rimpianto del suo tramonto prematuro, può sorridere l'idea — ch'è voto, e fervido augurio — d'una sua prossima, improvvisa, vivace resurrezione. Ma, a guardare i Sindacati operai, essi mostrano, purtroppo, di non averne più bisogno, e perciò di non curarsene più. « Operare bisogna: il socialismo, frattanto, verrà n. E' questa la psicologia delle moderne Unioni di lavoratori e del riformismo, che sembra intenderne molto adeguatamente lo spirito « pratico >5... 4. LA MODA DELLO SPIRITO. Noi non avremo considerato appieno l'attuale crisi dello spirito socialista, la « crisi dell'ideale », senza aver prima accennato ad un'altra e potente ragione del suo abbandono, la quale sembra riassumere in sintesi tutte le altre, sembra colorirle d'una luce nuova e denudarne l'anima profonda. Il socialismo è abbandonato, perchè è passalo di moda. Dicendo ciò, noi sappiamo di non servirci di una espressione tautologica; ma solo di Una espressione, che ha bisogno di essere convenientemente esplicata. Noi ci rappresentiamo le diverse dottrine filoso- fiche come una varietà di sintesi ideali del mondo, aventi una comune identità di origini. Noi, con esse, appaghiamo uno spontaneo bisogno d'interpretazio- ne e di apprezzamento della vita, della storia, del- l'universo, una spirituale necessità di conoscere i valori del mondo, di pronunziare il giudizio e di trac- ciare le linee del bene e del male e le vie ideali della rigenerazione umana. Pel nostro uso intellettuale, per la nostra intima quiete, pel desiderio del meglio, noi serbiamo queste dottrine, noi teniamo fede a questi schemi, che rappresentano come una tradu- zione ideale della realtà, che eternamente ci fluttua d'intorno. È merito del Bergson avere indagato quan- to e come codesto moto possa esprimersi nella fissità dei concetti. Nella loro comune funzione, le varie filosofie si equivalgono tutte. Esse non sono controllabili al lume di « obbiettive n verità, nè seguono una linea di progresso « obbiettivo ». Invero, anche la nozione delle così dette scienze « positive » s'è, a tal riguardo, modificata. Noi non procediamo alla progressiva a scoperta» d'una realtà, ch'è fuori di noi e che at- tende di essere da noi disvelata. Invece, la « co- struiamo » attraverso i nostri strumenti, ed essa va- ria a seconda della qualità e dell'uso di questi stru- menti. Ma se la « verità » sperimentale è incerta, la « verità ), filosofica non esiste: perché non ve n'è una sola: ve ne sono molte, infinite. Noi aderiamo a questa od a quella, perchè credia- mo di scorgere nell'una o nell'altra un carattere di maggiore verosimiglianza o perchè l'una, più che l'altra, in un dato momento, meglio interpreta e sod- disfa le naturali o acquisite tendenze dell'animo no- stro; o perchè l'una, più che l'altra, è la filosofia dominante; o, con massima probabilità, per tutte que- ste ragioni insieme. Ogni dottrina filosofica non ha una verità intrin- seca: ma la verità che noi le attribuiamo. La verilà è una funzione della nostra fede. La verità è quella che ci sembra tale. Bisogna crederci. Così può riuscir vera, a seconda dei casi e degli individui, la filosofia platonica o la cristiana, quella di Aristotele o quella di Plotino, quella di Hegel o quella di Spencer, quel- la di Tolstoi o quella di Nietzche, quella di Mazzini o quella di Marx. La loro funzione è identica. Tutte hanno ragione e tutte hanno torto. Ma noi procla- miamo falsa quella che non professiamo. L'errore è una verità che non ci serve... Quando un'idea è nata, acquista un'esistenza. La sua vita segue la linea della parabola. Vi sono idee che hanno fortuna, e idee che non ne hanno affatto: ma, più spesso, ogni idea raggiunge un massimo di fortuna, dopo il quale tramonta. La verità diventa un errore allorchè ha esaurito il proprio corso, Noi non ce ne accendiamo più. Essa è o superata»: cioè passata di moda. È la sua parabola che si conchiude. Sorta avida di vita, anelante all'avvenire, circon- fusa d'un'aureola di luce, fremente per mille battiti d'aie, essa ha volato superba nell'atmosfera spiritua- le, conquistando e trascinando gli intelletti, infiam- mando le volontà e spronando all'azione. Era il suo successo. Ogni idea conosce due specie di successo: il successo esterno, numerico, di massa; e il successo interno, ch'è simpatia, è convinzione, è fede. Essi corrono parallelamente per un certo tempo; ma, ad un certo grado, il rapporto fra loro accenna ad in- vertirsi, e il secondo successo perde in confronto del primo. La fede scema quanto più largo è il consenso;
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